Rapporto CNEL: sale l’occupazione, ma è sempre più precaria e frammentata (e aumentano i poveri)

In Italia lavoro precario e frammentato, e ci sono oltre 3 milioni di poveri. Lo dice il CNEL nel suo rapporto che ha analizzato le dinamiche del mercato del lavoro dopo la crisi, le novità istituzionali introdotte negli anni recenti con le riforme dei rapporti di lavoro e le misure di contrasto.

Pubblicato il 07 Dic 2018

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Nel nostro paese oltre 3 milioni di lavoratori risultano poveri, un numero che sale a oltre 5 milioni se si considera il reddito annuale invece di quello mensile, inoltre più di 2 milioni di famiglie risultano povere nonostante almeno un componente sia occupato, per effetto di un lavoro sempre più precario e frammentato.  Sono queste alcune delle conclusioni, forse le più allarmanti, del XX “Rapporto sul mercato del lavoro e sulla contrattazione collettiva”. Un documento elaborato dal CNEL, il Consiglio Nazionale Economia e Lavoro, in collaborazione con ANPAL e INAPP, che ha analizzato le dinamiche del mercato del lavoro dopo la crisi, le novità istituzionali introdotte negli anni recenti con le riforme dei rapporti di lavoro e le misure di contrasto.

Aumentano gli occupati ma non il volume di lavoro

Secondo i dati illustrati, la diffusione della povertà tra i lavoratori è legata alla persistente bassa competitività del sistema, al minor numero di ore lavorate, alla precarietà dell’occupazione, all’impiego di manodopera poco qualificata e alle scelte di alcune aziende per contenimento dei costi.  Nel periodo compreso tra il 2014 e il primo semestre 2018, la crescita dell’occupazione, oltre che al parttime, resta ancorata ai lavori a tempo determinato che sono aumentati del +35%, pari a 800mila lavoratori. Crescita moderata si registra per i lavori a tempo indeterminato (+460 mila) mentre risulta un calo deciso del lavoro autonomo (-117 mila).

I segnali di crescita dell’occupazione, purtroppo, non si sono trasformati in un aumento del volume del lavoro rispetto al periodo pre-crisi. Tra le persone occupate sono molte di più quelle che lavorano a orario ridotto che quelle impiegate a tempo pieno, in calo dell’8%, mentre cresce la quota del parttime involontario, soprattutto per le donne e nel mezzogiorno. Ad aumentare il quadro, fortemente critico, anche il crescente divario fra crescita delle fasce più qualificate e di quelle meno qualificate, con una polarizzazione asimmetrica al contrario, cioè la fascia più qualificata dell’occupazione cresce meno di quella poco qualificata. E il trend non si è invertito dopo la fine della crisi nel corso della cosiddetta ripresa bloccata del 2011.

Rafforzare scuola e formazione 

Per combattere la disoccupazione, in particolare giovanile, il CNEL ha sottolineato, anche nelle stesse sedi istituzionali, la necessità di rafforzare con una scuola ben orientata le competenze di base e professionali dei giovani, di potenziare i servizi di orientamento al lavoro e l’alternanza fra scuola e lavoro. Un’esperienza positiva, secondo il CNEL, che ha già coinvolto un numero consistente di studenti (oltre un milione) e di imprese (132.873), nonché migliaia di professionisti, moltissimi enti locali e no profit.

Salario minimo legale, ma da solo non basta

Uno degli strumenti di contrasto al lavoro povero, adottato in quasi tutti i paesi europei, spiega lo studio, è il salario minimo legale che non è certo l’unica misura che può contrastare il lavoro povero, ma potrebbe garantire una protezione più efficace nei confronti dei bassi salari, riducendo discrezionalità e abusi nella determinazione dei livelli retributivi. Misure che non bastano come suggerisce la strategia europea e come il CNEL ha anche raccomandato al Parlamento e al governo. 

Il documento, quindi, indica tra gli strumenti necessari, una significativa riduzione stabile del cuneo fiscale sulle retribuzioni, con particolare riguardo a quelle dei lavoratori con basso salario. Una misura da combinare con politiche dirette a favorire la partecipazione dei lavoratori a buone occasioni di lavoro e ad accrescere l’intensità occupazionale. Il nostro sistema di sicurezza sociale non è stato in grado di contenere la povertà anche perché le principali misure assistenziali non sono state di carattere universalistico, né hanno risposto in modo proporzionato agli effettivi bisogni dei beneficiari.

Serve una revisione degli ammortizzatori sociali

Il rapporto, quindi, esamina in dettaglio l’evoluzione più recente con particolare riguardo alla Cassa integrazione e agli strumenti di tutela della disoccupazione. Anche per questo aspetto l’Italia è la nazione che più di tutte ha patito la crisi quanto ad intensità e durata. Fatto 100 il 2007, le spese sono cresciute oltre una volta e mezza, mentre i benefici sono più che raddoppiati dal 2012 e si sono mantenuti oltre tale livello fino a toccare il valore massimo nel 2013.

In Italia la spesa pro capite più elevata in assoluto nel contesto europeo è da imputarsi a strumenti diversi dal sussidio di disoccupazione che hanno un tasso di rimpiazzo più elevato. Secondo il CNRL, quindi, serve una revisione più ampia del sistema di protezione sociale, superando la tradizionale impostazione solo assicurativa del sistema per introdurvi principi di tipo solidaristico al fine di garantire trattamenti adeguati ai bisogni di tutti i lavoratori, specie di quelli a bassi salari.

Dalla social card al reddito di cittadinanza

Per contrastare la povertà l’Italia, sia pure in ritardo rispetto ad altri paesi, ha introdotto, negli anni, alcune misure specifiche, dalla social card fino al REI, una forma di reddito minimo di inserimento che la legge di bilancio del 2018 ha previsto fosse trasformato in misura universalistica, con una dotazione fino a 2,7 miliardi di euro con la previsione di coprire 2 milioni è mezzo di persone di cui 700.000 minori. Il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle, individua il fattore della povertà soprattutto nella mancanza di lavoro retribuito e assume come misura essenziale del contrasto alla povertà l’offerta di occupazione.  

Per il CNEL, comunque, il contrasto alla povertà non può esaurirsi nella erogazione di sussidi monetari, pur necessari, che vanno anche distinti dalle politiche attive per il lavoro, perché la povertà non dipende solo dalla mancanza di lavoro o da un lavoro povero, ma riflette molte condizioni individuali e familiari delle persone è, per questo, serve un ventaglio di misure, non solo di aiuto economico, ma di prevenzione e di assistenza. 

La Blockchain aiuterà i centri per l’impiego

Da parte del CNEL anche un apprezzamento all’impegno del governo a potenziare i Centri Pubblici per l’Impiego, anche se , però, che è necessario anche recuperare i ritardi del passato. Il monitoraggio dei servizi a cura dell’Anpal, presentato nel rapporto ne rileva in modo documentato le maggiori criticità. Dalle carenze di personale non solo quantitative, ma soprattutto di addetti con le competenze necessarie a svolgere i servizi richiesti dalla normativa, all’inadeguatezza delle dotazioni informatiche.  Il ruolo dei centri, però, risulta ancora troppo spostata sulla dimensione informativa e amministrativa.  

Uno dei limiti dell’attività dei Centri Pubblici per l’Impiego e in genere delle politiche attive, sottolineato dal CNEL è la mancata realizzazione della interconnessione delle banche dati e del sistema informativo unitario delle politiche del lavoro. Uno strumento per superare tale limite è la tecnologia Blockchain, che grazie a una raccolta sistematica, connessa e certa dei dati, permette di vincere molte resistenze ancora legate al concetto superato di “proprietà dei dati”, che hanno rallentato la messa in atto e la condivisione del fascicolo elettronico del lavoratore e del sistema informativo unitario.

Il lavoro digitale, la rivoluzione della “Gig economy”

Gli equilibri qualitativi e quantitativi del nostro come di tutti i mercati del lavoro, spiega il documento, sono destinati a essere profondamente influenzati dalle tecnologie, in particolare digitali la cosiddetta Gig economy. I lavori su piattaforma sono già esplosi in tutto il mondo e l’incidenza sull’occupazione è destinata a crescere, soprattutto in lavori tradizionali ripetitivi. Le forme e la qualità del lavoro saranno investite da un cambiamento senza precedenti che svela un’inadeguatezza non solo delle regole tradizionali, ma delle stesse categorie fondative del diritto del lavoro, a cominciare da quella di lavoro subordinato. 

Partendo da esempi di altri paesi o esperienze territoriali, lo studio prevede che la contrattazione collettiva possa riconoscere anche ai lavoratori su piattaforma, in tutto in parte, la normativa di tutela propria del lavoro subordinato. In alternativa si pensa di utilizzare la piattaforma Inps per la gestione delle prestazioni di lavoro occasionale o, ancora, si ipotizza un intervento delle agenzie di somministrazione che a beneficio delle piattaforme digitali potrebbero gestire il personale della Gig economy e anche assumere i Riders da mettere a disposizione delle piattaforme secondo il modello dello staff leasing a tempo indeterminato.

Premi di risultato e welfare aziendale

Una parte del Rapporto, infine, è dedicata ai premi di risultato e al welfare aziendale e analizzata in base ai dati sulla contrattazione decentrata emergono, infatti, note positive. Nel periodo maggio 2016 – giugno 2018 sono circa 15.639 le imprese che hanno fatto domanda per avere la detassazione del premio di risultato, l’88% in base a un accordo aziendale per un totale di 33.869 istanze e per 5 milioni circa di beneficiari. Il valore complessivo del premio detassato annuo è superiore ai 3 miliardi, corrispondenti a 1.291 euro per ogni beneficiario.

Gli accordi sul welfare di dicembre 2017 sono 5.236 per un totale di 2.491.374 lavoratori beneficiari e un valore annuo medio stimato pro capite di 1435 euro. Le misure di welfare vanno dalla previdenza complementare fino alle varie forme di sostegno al reddito e alle misure di educazione dei figli, fino alla conciliazione fra vita e lavoro. Agli accordi sul welfare si aggiungono 400 accordi di partecipazione agli utili per un totale di beneficiari di 1.057.403, e un valore medio di 1.348 euro e inoltre 2.039 piani di partecipazione paritetici per un totale di beneficiari di 1.731.073 con valore medio pro capite annuo di 1.674 euro.

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Fabrizio Cerignale

Giornalista professionista, con in tasca un vecchio diploma da perito elettronico. Free lance e mobile journalist per vocazione, collabora da oltre trent’anni con agenzie di stampa e quotidiani, televisioni e siti web, realizzando, articoli, video, reportage fotografici. Giornalista generalista ma con una grande passione per la tecnologia a 360 gradi, da quella quotidiana, che aiuta a vivere meglio, alla robotica all’automazione.

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