Le tensioni commerciali colpiscono la fiducia delle imprese e frenano la crescita

L’Economic Outlook dell’OCSE mette in guardia sui rischi provocati da incertezza e sfiducia sui mercati mondiali. Serve sviluppare la Digital economy. La mancanza di competenze e infrastrutture adeguate contribuisce a spiegare perché le tecnologie digitali non sono riuscite a migliorare produttività e salari. L’Italia nel 2019 a crescita zero.

Pubblicato il 21 Mag 2019

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“Ogni azienda investe per produrre, produce per vendere, ma se non sa dove e come vendere, allora gli investimenti rallentano o si fermano, e l’economia frena. Un guaio per tutti, che tutti dobbiamo sforzarci di risolvere”. Così Angel Gurria, segretario generale dell’OCSE, l’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico, spiega il periodo di forte incertezza internazionale e i suoi contraccolpi più concreti per Paesi, mercati, imprese, cittadini.

La crescita economica globale rimane troppo debole, attorno al +3% l’anno, mentre lo sviluppo del commercio mondiale è calato drasticamente: quest’anno dovrebbe crescere di poco più del 2%, il tasso più basso degli ultimi dieci anni. Lo scenario risente delle tensioni tra Stati Uniti e Cina, da risolvere con accordi e logiche multilaterali.

Poi occorre investire in infrastrutture per i trasporti, infrastrutture digitali, come le reti 5G, Green economy, Sostenibilità ed energie rinnovabili. Ma soprattutto bisogna sviluppare le competenze dei lavoratori, portate dalla Digital transformation, e aggiornare le funzioni a rischio automazione.

Perché, senza nuove competenze, molti rischiano di essere lasciati indietro, in ogni parte del mondo, e nei 36 Paesi, tra cui l’Italia, che fanno parte dell’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico. La digitalizzazione sta cambiando il modello di Business delle aziende, e in parte anche la cartina geografica dello sviluppo economico.

Prospettive che emergono dal Rapporto OCSE sull’economia mondiale (OECD Economic Outlook), presentato oggi dalla sua sede parigina. “Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, le crescenti tariffe e dazi doganali, hanno colpito la fiducia delle imprese e interrotto la crescita. Con tanta incertezza e poca fiducia, gli investimenti ne risentono e la produzione manifatturiera si è indebolita”, sottolinea Laurence Boone, capo economista dell’OCSE.

Che guardando al prossimo futuro mette in guardia: “i rischi principali comprendono un prolungato periodo di tariffe più alte tra Stati Uniti e Cina, nuove barriere commerciali tra America ed Europa, un rallentamento dell’economia più accentuato in Cina, debole crescita prolungata in Europa, e vulnerabilità finanziarie da alto debito pubblico e privato”.

Le tensioni commerciali frenano la crescita

La crescita globale ha subito un forte rallentamento alla fine del 2018, e si sta ora stabilizzando a un livello moderato, attorno al 3%. Negli ultimi mesi il commercio nell’area dell’euro si è arrestato e le esportazioni dal Giappone, dalla Corea del Sud e dall’Asia sudorientale verso la Cina si sono ridotte.

Nuove tariffe sugli scambi tra Cina e Stati Uniti deprimerebbero ulteriormente il commercio e la crescita, mentre Pechino rimane la chiave di volta per la crescita economica globale: un rallentamento più marcato di quello già visto nel grande Paese asiatico (Pil cinese al 6,6% lo scorso anno, 6,2% previsto a fine 2019, e 6% per il prossimo) comporterebbe rischi importanti sia per la crescita globale che per le prospettive commerciali.

L’OCSE prevede che l’economia globale crescerà del 3,2% quest’anno (dopo il 3,5% del 2018) e del 3,4% nel 2020, ma questo leggero recupero non sarà sufficiente a migliorare gli standard di vita. L’Outlook prevede poi revisioni al ribasso per molte delle principali economie, e avverte che gli attuali tassi di crescita sono insufficienti per ottenere importanti miglioramenti nell’occupazione o per la crescita economica.

Secondo le stime, la crescita dell’economia nell’area euro, dopo il +1,8% dello scorso anno, scenderà all’1,2% quest’anno, per poi recuperare all’1,4% il prossimo. Gli Stati Uniti di Donald Trump sono invece cresciuti del 2,9% nel 2018, per arrivare al 2,8% quest’anno e scendere al 2,3% nel 2020.

Il compito dei governi per uscire dal pantano

“La fragile economia globale è destabilizzata dalle tensioni commerciali, ci sono rischi molto seri all’orizzonte, e i governi devono lavorare di più insieme per garantire il ritorno a una crescita più forte e più sostenibile”, rimarca il capo economista dell’OCSE, con un giudizio netto: “non possiamo accettare un’economia che non funziona per tutti”.

L’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico invita i governi ad agire subito per garantire un futuro economico più forte. Chiede il ritorno alla cooperazione internazionale e al dialogo multilaterale per ripristinare la prevedibilità delle politiche e rilanciare gli scambi commerciali. Rinnova l’invito a combinare le riforme strutturali in tutti i Paesi della zona euro, con ulteriori investimenti pubblici nei Paesi europei a basso indebitamento.

Tutto ciò dovrebbe concentrarsi sulle reti digitali, dei trasporti e dell’energia, e sulle riforme dell’istruzione, della formazione e della concorrenza, necessarie nell’economia del XXI secolo, che darebbero slancio alla ripresa della crescita, stimolerebbero la produttività e stimolerebbero la crescita dei salari nel medio termine.

Aziende per cui la carenza di infrastrutture è un freno agli investimenti

Competenze e reti per il mondo digitale

Gli investimenti pubblici sono crollati dopo la crisi finanziaria dell’ultimo decennio, e non si sono ancora ripresi. La mancanza di competenze e infrastrutture adeguate contribuisce poi a spiegare perché le tecnologie digitali non sono riuscite a migliorare produttività e salari. “I governi devono intensificare il dialogo internazionale per ripristinare la fiducia e investire per preparare le sfide di domani: sono necessarie urgentemente migliori competenze e infrastrutture per un mondo digitale”, sollecitano gli specialisti OCSE.

Il rischio automazione per fasce di reddito dei lavoratori

Lo sviluppo di un’economia sempre più tecnologica e innovativa presuppone connessioni alle reti digitali a Banda larga e 5G, mentre oggi solo un cittadino europeo su quaranta ha accesso a connessioni ultra-veloci, e i nuovi strumenti Hi-tech che entrano prepotentemente nel mondo del lavoro e delle imprese devono essere accompagnati dalla formazione per poterli utilizzare al meglio, e per poter dare nuove risposte occupazionali di fronte al rischio automazione per molte mansioni e figure professionali. Anche, in molti casi soprattutto, tra i livelli intermedi della scala professionale e tra molti ‘colletti bianchi’.

L’Italia in cerca di una ripresa che non c’è

Secondo i calcoli degli analisti dell’OCSE, l’economia italiana nel 2019 sarà impantanata in questo scenario critico e fermo al palo, con una crescita del Pil pari allo zero per cento tondo, rispetto allo scorso anno (quando era stata dello 0,7%), e con un lieve incremento nel 2020, pari allo 0,6%. Quella Made in Italy è in pratica un’economia destinata, ancora per diverso tempo, a galleggiare attorno alla crescita zero, o poco più, tra modesti rialzi e rischi di nuove frenate.

Come rimarca l’OCSE, già in altri Report recenti sul Belpaese, il Pil pro capite è attestato praticamente allo stesso livello di vent’anni fa, e il livello di povertà rimane elevato, specialmente tra i giovani. La scarsa crescita della produttività e le significative diseguaglianze sociali e regionali rappresentano sfide persistenti da affrontare con vigore. Il rapporto debito pubblico/Pil presenta poi sempre livelli elevati, attorno al 134%, e continua a rappresentare una fonte di rischio.

Per uscire dalla palude, servirebbe un’ambiziosa serie di riforme. Secondo le stime, entro il 2030 la crescita annua del Pil nazionale dovrebbe passare da attorno allo zero per cento o poco più con le misure attualmente in vigore, a oltre il 1,5% qualora le riforme fossero adottate: tra queste, l’OCSE sottolinea che il miglioramento dell’efficienza dell’amministrazione pubblica e del sistema giudiziario avrebbero l’impatto più significativo sul Pil del Paese.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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