Plastic Tax verso la revisione, tra le preoccupazioni delle imprese e i dubbi degli ambientalisti

Plastic tax, il Governo apre a possibili modifiche di una misura fortemente contestata. Le imprese del settore salgono sulle barricate contro una misura che mette a rischio un settore strategico, ma anche Legambiente e il WWF chiedono modifiche.

Pubblicato il 08 Nov 2019

Imballaggi alimentari

Il nome con cui è comunemente conosciuta è Plastic Tax anche se la definizione precisa della nuova misura prevista nella manovra di bilancio per il 2020 è quella di “Imposta sugli imballaggi in plastica“. Una tassa che costerà alle imprese produttrici un euro per ogni chilogrammo di materia plastica contenuta nei manufatti con singolo impiego (Macsi) e che avrà un impatto che la Federazione Gomma Plastica/Unionplast stima in un rincaro di 110 euro l’anno per ogni cittadino.

Le plastiche riciclate sono già in crescita

Un’imposta che andrà a influire su un comparto strategico della nostra economia visto che il censimento fatto dalla Federazione Gomma Plastica Unionplast parla di 11 mila imprese italiane, il 22% del totale europeo, che generano 30 miliardi di euro di fatturato per un totale di 110 mila persone occupate.

La produzione 2018 p stata di 5,74 milioni di tonnellate, con una lieve crescita delle plastiche riciclate ogni anno, passate da 1,09 milioni tonnellate del 2017 a 1,12 milioni di tonnellate del 2018 (circa il 20% del totale), a fronte di un lieve decremento dei polimeri vergini, che hanno invece raggiunto i 4,62 milioni di tonnellate contro i 4,72 del 2017.

Le intenzioni del Governo

In questi giorni il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dichiarato di voler incontrare le aziende del settore, pur rimarcando l’importanza di un provvedimento volto a “tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini”. Anche il ministro dell’Economia e delle FInanze Roberto Gualtieri ha detto che sulla plastic tax il Governo è aperto “a miglioramenti ma senza stravolgere il senso della norma”.

Tre le ipotesi allo studio: restringere la gamma dei prodotti ai quali si applicherebbe la tassa, rinviarne l’avvio di qualche mese per concedere più tempo alla filiera per adeguare gli impianti e infine ridurre l’aliquota da un euro al chilo a una cifra compresa tra i 40 e i 60 centesimi al chilo.

Unionplast: “A rischio la competitività di un settore di eccellenza”

A opporsi con forza a questo provvedimento, la Federazione Gomma Plastica Unionplast, che si dice pronta a tutelare i propri iscritti in ogni sede. “La plastic tax rischia di affossare ulteriormente la competitività di un settore di eccellenza – spiega il presidente Luca Iazzolino – che sta già intraprendendo una transizione verso soluzioni più sostenibili. Già oggi, infatti il 15% della plastica utilizzata proviene da economia circolare, con un trend in continua crescita, anche sulla spinta delle dinamiche di mercato. Basti pensare che la domanda di polimeri riciclati è salita nel 2018 del 3,1%, a fronte di una discesa dei consumi di materie plastiche vergini”.

“Il provvedimento avrebbe un effetto molto rilevante sulle aziende, che si troverebbero a fare fronte a costi di produzione molto maggiori – sottolinea – che inevitabilmente dovranno tradursi, almeno in parte, in un aumento del prezzo verso le aziende utilizzatrici di imballaggi e, ancora più a valle, verso i consumatori finali”.

“Dobbiamo evitare il ripetersi di provvedimenti inappropriati che fanno male al Paese, come ad esempio la messa al bando tout-court delle plastiche monouso – conclude il presidente – che ha messo a rischio la sopravvivenza di 30 aziende e di tremila posti di lavoro, per la maggior parte nelle aree del Centro e del Sud Italia che già scontano elevati tassi di disoccupazione e di desertificazione produttiva”.

L’esempio dell’acqua imbottigliata

Alberto Bertone

Un esempio vale a volte più di mille parole. Come ha spiegato Alberto Bertone, patron dell’Acqua Sant’Anna, una tassa da mille euro su una tonnellata di materiale plastico utilizzato per realizzare le bottiglie, che costa 700 euro a tonnellata, comporterebbe un aggravio del costo della materia prima del 130%.

Il che, in pratica, farebbe sì che “una bottiglia d’acqua minerale da 50 centesimi costerebbe 1 euro”. E di conseguenza – rimarca Bertone – crollerebbero i consumi, lo Stato non incasserebbe 2 miliardi e la filiera, compresi i produttori di plastica e di macchinari, subirebbe un pesante contraccolpo con chiusure di impianti e licenziamenti”. Una soluzione alternativa alla plastic tax, secondo Bertone, sarebbe l’introduzione del vuoto a rendere come già accade in alcuni paesi del Centro e Nord Europa.

Federchimica: “Aumento dei costi mette in crisi la ricerca per la sostenibilità”

Una forte opposizione arriva anche da Federchimica, la Federazione nazionale dell’industria chimica che rappresenta, tra gli altri, i produttori di materie plastiche, di prodotti per la detergenza e di cosmetici, che sarebbero fortemente colpiti dal provvedimento. “Si colpisce la plastica in modo demagogico – spiega il presidente, Paolo Lamberti – senza tener conto dell’impatto disastroso che questa tassa avrà su tutte le imprese, con ricadute devastanti sugli investimenti a favore dell’innovazione.

“Un dirompente aggravio di costi che, oltre a mettere in gravissimo pericolo la sopravvivenza di tante piccole e medie imprese, di fatto sottrarrà i fondi che le imprese chimiche destinano alla ricerca e all’innovazione per trovare le migliori soluzioni tecnologiche in ottica di sostenibilità – conclude – che, negli ultimi 10 anni, ha aumentato del 70% la quota di personale dedicato”.

Legambiente e WWF: “Bene plastic tax ma bisogna esentare quella da riciclo”

Una tassa che non convince del tutto nemmeno il mondo ambientalista, come ha espresso anche nel corso di un’audizione in senato anche il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani. “È uno strumento previsto dalla direttiva europea per limitare l’uso della plastica e questo è positivo – spiega – così come la volontà di puntare sulla tassazione dell’usa e getta”.

“Quello che non convince, però, sono due cose: la tassa non deve essere applicata ai manufatti realizzati in plastica riciclata e bisogna estenderla a tutti i prodotti plastici, non solo agli imballaggi. Oggi, infatti, la plastic tax viene prevista solamente per i due milioni di imballaggi in plastica ma, secondo noi, deve essere estesa anche agli altri 4 milioni di tonnellate di manufatti perché allargare la platea dei materiali trattati permetterebbe anche di abbassare la quota di tassazione”.

Nell’auizione di ieri al Senato il WWF ha lodato l’Italia che “ribadisce, introducendo la plastic tax sui manufatti in plastica monouso anche in forma di fogli, pellicole e strisce, di essere tra i primi Paesi in Europa a voler affrontare concretamente l’emergenza plastica”, confermando quanto di buono ha fatto già dal 2011 con il bando ai sacchetti di plastica per la spesa.

Tuttavia secondo il WWF “occorre distinguere gli oggetti riciclabili e non riciclabili con una tassazione differenziata che incentivi le produzioni virtuose. Analogo incentivo andrebbe previsto anche per tutti quegli oggetti realizzati con percentuali consistenti di materiale riciclato, mentre la norma presentata al Senato premia solo quelli realizzati in plastica riciclata al 100%”.

Il punto di vista di chi si occupa di medicina ambientale

“L’introduzione della plastic tax – spiega il prof. Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale – non aiuterà a risolvere il problema per cui è stata pensata (riduzione dell’inquinamento da plastiche). Genererà di contro solo demonizzazione di un prodotto che ha rivoluzionato le nostre esistenze, di cui non possiamo fare a meno e che continua e continuerà a fornirci prodotti e dispositivi essenziali per la nostra vita e per il progresso. Oltretutto, una tassa che porta al raddoppio del costo della materia prima, può portare ad una forte contrazione della produzione con ricadute realmente spiacevoli in termini occupazionali in quel settore produttivo”.

Come funziona la Plastic Tax

Come funziona la Plastic Tax e il credito d’imposta per la riconversione green

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Fabrizio Cerignale

Giornalista professionista, con in tasca un vecchio diploma da perito elettronico. Free lance e mobile journalist per vocazione, collabora da oltre trent’anni con agenzie di stampa e quotidiani, televisioni e siti web, realizzando, articoli, video, reportage fotografici. Giornalista generalista ma con una grande passione per la tecnologia a 360 gradi, da quella quotidiana, che aiuta a vivere meglio, alla robotica all’automazione.

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