Transizione 4.0, la levata di scudi di Ucimu: “Misure non sufficienti”

La nuova impalcatura del piano Transizione 4.0 ha generalmente soddisfatto le aspettative delle imprese; ma non mancano diversi elementi di criticità. In questo articolo vi raccontiamo le perplessità e le richieste sollevate dalla nuova presidente di Ucimu – Sistemi per Produrre Barbara Colombo.

Pubblicato il 21 Nov 2020

Barbara Colombo, presidente di Ucimu

Anche se il nostro sondaggio sul gradimento delle misure previste dal piano Transizione 4.0 ha dato esiti ampiamente favorevoli (il 70% si è detto soddisfatto della nuova architettura del piano), non mancano certamente alcuni elementi di criticità. A rilevarli, in un articolo firmato sul Sussidiario, la presidente di Ucimu – Sistemi per Produrre, l’associazione dei costruttori italiani di macchine utensili.

Nel suo intervento Colombo esprime innanzitutto apprezzamento per “l’attenzione che le autorità di governo hanno riservato al tema della transizione 4.0”, ma – dice – “siamo ancora distanti dal poter contare su un vero e proprio piano di politica industriale in grado di sostenere la trasformazione digitale dell’industria del nostro paese”.

I rilievi mossi dalla presidente di Ucimu (che intervisteremo in settimana, seguiteci sulla nostra pagina Facebook) vertono su quattro punti critici, vediamoli.

La durata del piano

Il primo è la durata del nuovo piano. Dopo aver promesso un piano di durata pari ad almeno tre anni, se non a cinque, il nuovo piano durerà solo due anni. Certo, il ministro Stefano Patuanelli si sta spendendo sui media spiegando che “il piano vale dal 16 novembre 2020 al 30 giugno del 2023, che sono quasi tre anni”, però per serietà vanno precisate due cose. In primis che la partenza anticipata al 16 novembre è una cosa positiva, ma lo sarebbe ancora di più se non diventasse ufficiale, ahinoi, solo l’1 gennaio 2021, quando entrerà in vigore la legge di bilancio. Quindi siamo davanti a un paradosso: le misure saranno retroattive, ma fino al 2021 non vi è certezza che saranno approvate dal Parlamento. La seconda è che la coda al 30 giugno 2023 è quella “solita” che c’è ogni anno e vale per le sole consegne: per gli ordini la deadline è il 31/12/2022. Dunque non ce ne voglia il ministro, ma tra partenza anticipata sulla quale però un imprenditore serio non può fare affidamento e la normale fine al 31/12/2022 la proroga del piano è effettivamente biennale.

Colombo inoltre punta il faro sul fatto che le aliquote maggiorate siano in vigore solo per il primo dei due anni. “Aver contenuto in soli due esercizi il proseguimento degli incentivi 4.0, fra l’altro con ritorno, nel secondo esercizio alla incentivazione ridotta, non concede alle imprese un tempo sufficiente per programmare i propri investimenti. L’incentivo 4.0 deve divenire strutturale”, scrive.

Su questo però il Governo ha di fatto seguito una logica chiara: misure più forti e concentrate sul primo anno servono a dare un boost immediato ai provvedimenti; gli anni successivi (che però avrebbero dovuto essere almeno tre) servono per dare più tempo a chi non riesce a investire nel 2021.

Lo strumento del credito d’imposta

Il secondo rilievo mosso da Colombo è la scelta di puntare tutto sul credito di imposta, abbandonando definitivamente il sistema della maggiorazione degli ammortamenti, di cui pure negli scorsi mesi si era tornato a parlare (il suggerimento era nel piano Colao). “In momenti difficili come l’attuale – scrive Colombo – sarebbe auspicabile lasciare le aziende libere di scegliere tra un ventaglio di opportunità (ovviamente a parità di condizioni) così da individuare la misura più adeguata alle proprie esigenze”.

Sul tema non ci sentiamo di supportare la critica della presidente. È vero che molte aziende sono “affezionate” – nel senso che conoscono bene – al sistema della maggiorazione degli ammortamenti; ed è anche vero che in alcuni, limitati casi, questo sistema risulta più efficace rispetto al credito d’imposta.

Però sul piatto della bilancia bisogna mettere anche il fattore semplicità. Che non è certamente l’arma vincente del nuovo Piano Transizione 4.0. Già solo guardando l’articolato dell’articolo 185 del testo del disegno di legge di bilancio ci si accorge che la disciplina è lunga e complessa. Il piano ha ricevuto in eredità tutta la complessità del primo piano Industria 4.0 (gli allegati, i requisiti tecnici, le perizie, le circolari ecc.) e ora è andato ad aggiungere un sistema complicatissimo di aliquote, massimali e durate diversificate. Per i beni materiali 4.0 ci sono tre scaglioni, ma sono 50%, 30% e 10% solo per il primo anni, mentre passano al 40%, 20% e 10% dal secondo; per i beni normali l’incentivo è al 10% per il primo anno e poi al 6% per il secondo anni, ma per il primo anno diventa il 15% se l’investimento è funzionale allo smart working. Poi ci sono i software che se sono 4.0 sono agevolati al 20% per tutti i due anni e se non sono 4.0 invece sono agevolati al 10% il primo anno e al 6% il secondo. Insomma, una “selva” di aliquote che, per quanto frutto di oculati ragionamenti, rischia di far venire il mal di testa all’imprenditore e di sortire l’effetto scoraggiamento. Figuriamoci se fosse stata aggiunta anche la possibilità di scegliere lo strumento, con tutti i calcoli sulla convenienza dell’uno o dell’altro strumento…

Incentivi a fusioni e acquisizioni

La presidente Colombo sottolinea poi una lacuna del piano: non aver messo sul piatto degli incentivi per il “potenziamento delle aziende, anche tramite fusioni e/o incorporazioni”, che è una “indifferibile necessità” nell’attuale scenario competitivo internazionale in cui operano i costruttori di macchine.

Ma che cosa ha in mente esattamente Colombo? Un incentivo che defiscalizzi le plusvalenze che si orginino in queste operazioni di M&A: “I risultati economici delle fusioni e/o incorporazioni, devono essere resi neutri rispetto alle imposte”, dice esplicitamente.

Ricordiamo che l’imposizione sulle plusvalenze in Italia è del 26%. Azzerare quelle imposte – è il ragionamento – sarebbe un bell’incentivo a vendere per quei soggetti che potrebbero valutare di conferire le proprie partecipazioni in realtà più strutturate e in grado di competere sui mercati internazionali.

Allungare i tempi di consegna

L’ultimo elemento di criticità sollevato da Colombo è quello dei tempi di consegna del vecchio piano Impresa 4.0 (quello di super e iperammortamento). Entro il 31/12/2020 c’è ancora tempo per consegnare i beni acquistati nel 2019 con il regime dell’iperammortamento. Questa scadenza – scrive Colombo – “va posticipata di almeno 3 mesi, pari al periodo di chiusura imposto dal lockdown, per permettere ai produttori di terminare quanto ordinato senza incorrere in eventuali penali”.

Ma c’è di più, aggiungiamo. Il tema delle consegne in realtà è “caldo” anche per i prossimi anni. Da quest’anno infatti non c’è più differenza tra i 6 mesi di coda per le consegne dei beni tradizionali e i 12 mesi di coda per quelli 4.0. La “coda” è al 30 giugno dell’anno seguente per tutti i beni. Facciamo un esempio: se si acquista un macchinario a novembre 2021, per godere delle aliquote “boost” in vigore solo l’anno prossimo (50% per i beni 4.0 e 10% per i beni semplici) è necessario appunto versare, entro il 31/12/2021, un acconto pari al 20% del bene e riceverlo in consegna entro il 30/06/2022. Se la consegna slitta, si ricade nella disciplina di minor vantaggio in vigore per l’anno successivo.

Questo per il 2021. Per gli acquisti del 2022 invece il limite della consegna del bene è al 30/06/2023 e in caso di ritardo si perde del tutto il diritto all’incentivo.

Purtroppo però alcune tipologie di beni – pensiamo ai magazzini automatici e agli impianti più complessi – richiedono diversi mesi per la consegna e il rischio di sforare è concreto. Per questo una proroga delle consegne al 30 settembre dell’anno successivo, anziché al 30 giugno, sarebbe auspicabile in ogni caso.

Bene le modifiche alla Formazione 4.0

Plauso invece per le modifiche al credito d’imposta per la Formazione 4.0. Gli imprenditori sono “molto soddisfatti” del nuovo sistema che prevede la possibilità di fruire dell’incentivo anche a copertura dei costi dei formatori. 

La richiesta era stata fatta proprio da Ucimu a più riprese negli ultimi due anni; a fronte di un incentivo che stenta a decollare, stante le difficoltà burocratiche e lo scarso appeal economico, crediamo che un tentativo in questa direzione fosse la cosa giusta da fare prima di rassegnarsi, eventualmente, all’idea che il credito di imposta potrebbe non essere lo strumento giusto per incentivare la formazione aziendale.

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Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

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