Centro Studi Confindustria: “Ripresa a metà 2021, ma solo se ripartiranno i consumi”

Secondo l’analisi e le previsioni del Centro Studi di Confindustria, la ripresa arriverà soltanto da metà 2021, se la campagna vaccinale sarà rapida ed efficace. Secondo l’analisi, infatti, con il sollevamento delle restrizioni alle attività commerciali le famiglie tornerebbero a spendere. Famiglie che attualmente sono propense al risparmio, anche in vista del peggioramento delle aspettative sulla situazione economica e occupazionale del Paese. Preoccupa l’indebitamento eccessivo delle imprese, in tutti i settori, che renderà molto difficile nel 2021 programmare nuovi investimenti. A livello internazionale, segnali positivi vengono dal miglioramento dell’export e degli scambi, ma il tasso di crescita dell’Eurozona si conferma anche a gennaio negativo.

Pubblicato il 30 Gen 2021

fiducia imprese

La ripresa arriverà soltanto nel terzo trimestre del 2021, se la campagna vaccinale abbatterà l’emergenza e riprenderanno i consumi: sono queste le previsioni del Centro Studi di Confindustria (CSC), che rivede a ribasso la crescita complessiva stimata per il 2021.

Infatti, secondo l’analisi del CSC, ad inizio anno il giudizio delle famiglie sull’economia è peggiorato, comportando un aumento della propensione al risparmio. I consumi sono ostacolati, inoltre, dalle restrizioni ancora vigenti per contenere l’epidemia.

Nel terzo trimestre del 2021 potrebbe arrivare un forte rimbalzo, se la campagna vaccinale sarà rapida ed efficace. Con la diminuzione dei contagi, infatti, le restrizioni verrebbero sollevate (o per lo meno allentate) liberando per i consumi le risorse accumulate in questi mesi col risparmio “forzato”.

Le ripetute chiusure delle attività hanno comportato, inoltre, un aumento dei prezzi dei beni industriali (che sono risaliti da -0,3% a +0,4% annuo), rincaro che è stato esattamente compensato dai prezzi dei servizi, che invece hanno frenato da +1,0% a +0,4%, seguendo la profonda crisi di vari comparti.

Non si può parlare di deflazione, precisa il CSC: la misura core è rimasta invariata a +0,5% annuo, cioè quell’aumento molto moderato dei prezzi che da anni caratterizza l’economia italiana. A ciò vanno aggiunte le due componenti “volatili”: i prezzi alimentari hanno contribuito al rialzo (da +0,7% a +1,3%), ma è stato determinante il forte calo dei prezzi energetici (-8,4% da +0,6%), sulla scia del crollo della quotazione del petrolio in primavera, nel portare in negativo la variazione dell’indice complessivo dei prezzi in Italia.

Più ampia la forbice tra servizi e industria

Più ampia a inizio 2021 la forbice tra servizi e industria: nei servizi la flessione dell’attività è rimasta profonda a fine 2020 (Purchasing Managers’ Index a 39,7), a causa della riduzione degli ordini, domestici ed esteri, legata alle misure di contenimento della pandemia.

Più resiliente l’industria, dove si registra un PMI a 52,8, che indica un miglioramento dell’attività a dicembre ( fino a novembre la produzione si era mantenuta, dopo una certa oscillazione, sui livelli di settembre). Il divario è confermato dalla fiducia delle imprese, che a inizio 2021 cala ancora nel commercio e resta bassa negli altri servizi, per la seconda ondata di epidemia, mentre si conferma più alta nell’industria.

Industria che è stata colpita in maniera disomogenea dalla pandemia, soprattutto nella prima fase, quando i divari tra settori sono stati molto ampi: il calo di produzione ha particolarmente colpito, infatti, il settore dei prodotti in pelle (che ad aprile 2020 ha registrato un -92,8% rispetto ai livelli di gennaio), mentre ha interessato in maniera più lieve altri, come il settore farmaceutico (-5,5%).

Nel 2020, dopo il forte recupero nel terzo trimestre, i settori manifatturieri più penalizzati, con crolli di attività oltre il -20%, restano quelli legati alla filiera della moda (tessile, abbigliamento, pelle) e dell’automotive, che era già in difficoltà prima della pandemia. Viceversa, i settori dell’alimentare- bevande e della farmaceutica hanno limitato entro il -5% la perdita nel 2020, rispetto all’anno precedente.

Anche le imprese sono state interessate dalla pandemia in modo disomogeneo: secondo un’indagine Istat, tra quelle più colpite ci sono le micro imprese del Mezzogiorno (ben 7 imprese su 10 hanno dichiarato una riduzione del fatturato rispetto all’anno prima, nella metà dei casi tra il -10% e il -50%).

Meno colpite, invece, sono state quelle imprese che l’Istat definisce “proattive” (imprese di dimensione maggiore, con più
elevati livelli di produttività, formazione, investimenti per addetto), che sono state favorite da un’organizzazione in comparti più dinamici (a maggiore intensità tecnologica/di conoscenza).

Cresce il debito delle imprese

Una situazione che si è riflessa anche nell’aumento del ricorso al prestito per far fronte al calo di fatturato (prestiti “emergenziali”), con l’indebitamento che è cresciuto in modo eccessivo in tutti i settori. Infatti, se prima della crisi a un’impresa dell’industria servivano 2,2 anni di flussi di cassa per ripagare un debito, ora per alcuni settori (come l’automotive, metallurgia e macchinari) non è nemmeno possibile stimare il numero di anni che servirebbero a estinguere il debito. Anche nei servizi il peso del debito è balzato, a 11,2 anni di cash flow. Per il commercio e l’alloggio-ristorazione i flussi di cassa sono caduti in negativo.

Una situazione che rende molto difficile, per le imprese, progettare nuovi investimenti. Nel 2021 si prevede che la situazione resti tesa, anche se meno critica: il fatturato dovrebbe risalire in parte e il cash flow tornerebbe positivo quasi ovunque. Tuttavia, in tutti i settori il debito resterebbe pesante: nel manifatturiero servirebbero 5,4 anni di cash flow, più del doppio del 2019. Nei servizi quasi 4 anni. E questo valore medio non rende appieno le difficoltà di comparti come
alloggio-ristorazione e commercio, dove l’onere per interessi resterebbe oltre il 10% delle risorse interne.

Export in miglioramento

In miglioramento, invece, il dato legato all’export italiano di beni, che risale in novembre (+4,1%) dopo una battuta di arresto in ottobre, tornando sui livelli pre-crisi. Il recupero è diffuso ai mercati UE ed extra-UE (in calo, però, a dicembre) e ai principali tipi di beni (di consumo, strumentali, intermedi).

Una ripresa non omogenea, sia per i paesi che per i settori interessati: tra i paesi di destinazione spiccano in positivo Germania, Svizzera, Cina e USA, mentre tra i prodotti i metalli e gli autoveicoli. In miglioramento le prospettive per inizio 2021, secondo gli indicatori qualitativi sugli ordini manifatturieri esteri (PMI e fiducia delle imprese).

Positive anche le indicazioni dagli scambi mondiali, che si consolidano sopra i livelli pre-crisi (+2,8% a novembre su febbraio). Tuttavia, lo scenario sanitario globale è molto incerto e le restrizioni anti-Covid continuano a pesare, specie sull’export di servizi dei paesi (alle voci “viaggi” e “trasporti”). Il prezzo del petrolio Brent a inizio 2021 ha continuato a seguire il lento miglioramento dello scenario globale, risalendo a 55 dollari al barile; resta tuttavia ancora lontano dal livello pre-Covid (64 dollari).

Non c’è crescita nell’Eurozona

Prosegue anche a gennaio (e per il terzo mese consecutivo) la contrazione dell’economia dell’Eurozona, a causa delle restrizioni contro i contagi: il PMI composito è sceso ancor di più sotto la soglia neutrale (47,5). Tra i settori, alla crisi dei servizi si affianca una minor espansione nel manifatturiero.

Tuttavia, la contrazione del Pil a fine 2020 è stata meno significativa di quanto atteso (Pil in Francia -1,3%, Germania +0,1%) e il livello di attività a inizio 2021 è ben superiore alla primavera scorsa. A gennaio, più di 1 famiglia su 10 lamenta una peggiore situazione finanziaria, 1 su 5 tra i redditi bassi. Il risparmio “forzato” aumenta molto: la quota di risparmiatori è salita al 24%, un multiplo dei valori 2019.

L’Italia soffre anche le conseguenze dell’instabilità politica: i tassi sovrani  hanno registrato un moderato aumento a gennaio (da 0,50% a 0,71% e poi a 0,62% il BTP) e lo spread sulla Germania è salito da 1,05% a +1,20%. Soltanto i massicci acquisti BCE di titoli di Eurolandia, attesi restare in campo per tutto il 2021, stanno evitando costi maggiori per l’Italia, tenendo a freno i tassi. La Borsa ha risentito di più, curvando al ribasso dopo la prima settimana di gennaio (-3,4%; +0,7% quella USA).

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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