Crescono le applicazioni dei robot collaborativi (e l’occupazione non ne risentirà)

La robotica è uno degli assi portanti della manifattura italiana. E la sua declinazione collaborativa sta aprendo nuovi scenari d’uso in settori non tradizionali, come ad esempio la microbiologia. Le riflessioni di Andrea Maria Zanchettin del Politecnico di Milano, Michele Pedretti di Abb, Mario Savarese della Copan Wasp e i dati di Sergio Scicchitano, ricercatore dell’Inapp, sul rapporto tra adozione della robotica e occupazione

Pubblicato il 25 Mag 2021

Robot collaborativo in un laboratorio di microbiologia

Il futuro della robotica, sopratutto quella collaborativa; le nuove frontiere legate a esperienze insolite per dei robot, come l’uso nei laboratori di microbiologia che processano i tamponi per il Covid-19; e l’impatto che questo comparto potrà avere sull’occupazione. Sono questi i temi principali della puntata di Italia 4.0, la trasmissione di Class CNBC condotta da Simone Cerroni in onda mercoledì 26 maggio alle 21:00 sul canale 507 di Sky e disponibile in streaming sul canale video di Milano Finanza.

In studio, per confrontarsi su questi argomenti, Andrea Maria Zanchettin, professore del Politecnico di Milano, Michele Pedretti, Business Developement Manager Robotic Division di Abb, Mario Savarese, AD della Copan Wasp, azienda bresciana che si occupa dell’automazione nei laboratori di microbiologia, e Sergio Scicchitano, economista e ricercatore dell’Inapp, l’Istituto nazionale analisi politiche pubbliche.

Punto di partenza della trasmissione sono i numeri globali del fenomeno. Secondo i dati della IFR, la federazione internazionale della robotica, sono circa 2,7 milioni gli automi installati nelle fabbriche di tutto il mondo con una crescita esponenziale visto che nel 2009 erano 1 milione. Numeri confermati anche dalla società di ricerca Roboglobal, che prevede che il valore mondiale della robotica industriale aumenterà dai 45 miliardi di dollari del 2020 a 73 miliardi nel 2025.

Numeri destinati a crescere, quindi, come avvalorato dal sondaggio fatto da Abb su 1.650 grandi e piccole imprese di diversi settori in Europa Stati Uniti e Cina. Da questo risulta che l’84% delle imprese introdurrà o aumenterà la robotica nel prossimo decennio. “Il 43% – – ha spiegato Pedretti – ha affermato di voler utilizzare la robotica per migliorare salute e sicurezza sul posto di lavoro, il 36% ha considerato l’ipotesi di utilizzare l’automazione robotizzata per migliorare la qualità del lavoro dei dipendenti”.

Italia al sesto posto mondiale, e la densità cresce: 256 robot ogni 10 mila addetti

In questo panorama l’Italia si conferma sesto paese al mondo per numero di robot installati, dopo Cina, Giappone, Usa, Corea del Sud e Germania, e decima su scala globale per densità, con 212 robot ogni 10 mila operatori, classifica guidata da Singapore.

“La robotica italiana è sempre stata protagonista nel mondo”, spiega Zanchettin. “Se prendiamo in considerazione la robotica industriale, va detto che il suo tradizionale mercato di riferimento, che è l’Automotive, pur restando ancora il principale settore di sbocco con il 34% di quota mondiale nel 2020, è oggi accompagnato da altri settori come Elettronica (25%), lavorazione metalli (10%) e un buon 30% per altre lavorazioni”.

Anche perché, aggiunge il professore, “i robot non sono gli stessi di 40 anni fa: la tecnologia è cresciuta nel tempo, sia per rispondere alle esigenze di applicazioni sempre più complesse, sia per la volontà di uscire dalle attività tradizionali di saldatura e verniciatura dell’automotive. Il trend, adesso, è quello di avere sempre più prodotti pronti per diverse applicazioni negli ambiti più disparati, mentre contemporaneamente la programmazione si sta muovendo verso una sempre maggiore semplificazione per diminuire gli ostacoli all’utilizzo”.

Ma il fenomeno che sta avendo maggiore sviluppo è quella del robot collaborativo che dal 2017 al 2019 ha registrato un raddoppio delle installazioni.

“Ci aspettiamo che la crescita continui – sottolinea Zanchettin – ma non sappiamo quanto ci vorrà perché si arrivi a un consolidamento di questo trend. Abbiamo visto una serie di early adopter che ha sfruttato questi cobot nelle applicazioni più diverse e sono convinto che la tecnologia sia abbastanza consolidata. Penso, però, anche che possa arrivare un maggiore contributo dal mondo della ricerca, soprattutto sul piano dell’integrazione con la componente manuale, quella umana. Oggi le applicazioni collaborative tendono a sostituire l’operatore che va a fare qualcosa a più alto valore aggiunto, ma con questo paradigma si arriverà presto alla saturazione delle mansioni che possono essere completamente automatizzate. Bisogna invece guardare a quelle funzioni che si possono automatizzare solo in parte, con la robotica collaborativa utilizzata in affiancamento a un operatore – e non in sostituzione. Per arrivare a questo, servirà che il robot diventi ‘consapevole’ del fatto che sta lavorando con l’uomo. L’intelligenza artificiale e l’interpretazione del contesto anche a livello semantico potranno dare un grande contributo su questo fronte”.

Il caso YuMi, quando il cobot entra in un laboratorio di microbiologia

Una situazione che sta già trovando applicazione, anche grazie all’accelerazione imposta dalla pandemia al comparto della microbiologia.

Nei laboratori di analisi, infatti, da febbraio 2020 si è passato dalla gestione di una media di 5 tamponi naso faringei al giorno a 5 mila analisi quotidiane, il tutto nell’arco di solo due settimane con un dato che, a livello globale, è passato da da 100 milioni di analisi all’anno a 20 miliardi.

Per gestire questi numeri serve un sistema in grado di aiutare l’operatore a svitare una provetta o rimuovere l’astina, che sono un’attività banale per chi si occupa di automazione, ma che possono rallentare molto chi deve fare l’analisi.

Una sfida colta dalla Copan Wasp, di Brescia, azienda bresciana parte del gruppo Copan, che si occupa di automazione nei laboratori di microbiologia, con 178 dipendenti e 47 milioni di euro di fatturato.

“Copan Wasp ha introdotto la tecnologia collaborativa dal 2017 all’interno delle catene di lavoro – racconta Savarese – dove la necessità era quella di avere una collaborazione continuativa perché ci sono campioni particolarmente complessi e pericolosi per i quali serve una soluzione automatizzata. Per questo abbiamo adottato Yumi, il cobot a due bracci di ABB, in operazioni industriali come l’etichettatura e la movimentazione: tutte fasi in cui il nostro cliente, che è un tecnico di laboratorio, può sentirsi sicuro di affidare al cobot il campione da processare. Questa è un’applicazione di collaborazione continuativa che è stata molto apprezzata perché si occupa della parte più pericolosa alla quale l’uomo aveva tutto l’interesse a rinunciare”.

Dalla collaborazione continua a quella sporadica, un cobot per ogni esigenza

Per arrivare a questo si è fatto ricorso a YuMi, uno dei prodotti più innovativi di Abb. “Si tratta di un collaborativo a due bracci – spiega Pedretti – ognuno dei quali con 7 gradi di libertà, con un payload di mezzo kg al polso, nato per lavorare fianco a fianco con i lavoratori. La nostra soluzione, che abbiamo proposto sul mercato già dal 2015 in occasione dell’Exp di Milano, risponde proprio all’esigenza di avere una soluzione continuativa con il cobot al fianco dell’operatore o davanti a lui a condividerne l’area di lavoro. Per arrivare a questo, però, c’era bisogno di una velocità che fosse paragonabile a quella dell’operatore, circa 1500 mm al secondo; infine, per rispettare i termini di sicurezza, oltre a tutti i sensori del caso abbiamo dovuto adottare un payload ridotto. Yumi, quindi, è nato specificamente per lavorare con i lavoratori, in mezzo a loro, su una cooperazione continuativa”.

Ma ABB ha guardato anche agli step intermedi tra la robotica in costante collaborazione con l’operatore e la robotica industriale classica in gabbia. “Abbiamo lanciato sul mercato un prodotto in grado di rispondere alla richiesta di una collaborazione intermittente, che vuole dire avere un robot sempre in movimento ma con una collaborazione non continuativa con l’operatore, che lavora in uno spazio diverso e poi va a controllare che cosa il robot sta facendo”, spiega Pedretti.

Le operazioni sono separate, “ma possono essere mixate” nella stessa area. Facendo questo abbiamo potuto sviluppare “un robot nuovo – GoFa – che avesse payload maggiori di Yumi e velocità molto elevate, fino a 2,2 metri al secondo, che si riducono nel momento in cui l’operatore entra nella sua area di lavoro”.

E poi c’è Swifti, l’altra new entry di ABB pensata per il caso della collaborazione sporadica dove il robot opera principalmente da solo, alla massima velocità, ma l’operatore deve poter entrare e lavorare in sicurezza mentre il robot funziona. “Un punto comune tra tutti questi è la semplicità d’uso, che è la chiave del successo per rendere questa tecnologia accessibile anche alle Pmi”, sottolinea Pedretti.

Il robot ruberà il lavoro all’uomo? Si, ma solo quello più pesante

Infine il tema della “concorrenza” tra uomo e robot in termini occupazionali. Anche qui ci vergono in aiuto i numeri, quelli di uno studio del World Economic Forum 2020 che prevedono per il 40% delle imprese intervistate una riduzione della forza lavoro dovuta all’integrazione tecnologica, ma al tempo stesso un’espansione per il 34%. I datori di lavoro, quindi, stimano che entro il 2025 ci sarà un decremento dal 15% al 9% di personale che svolge ruoli superflui, mentre le nuove professioni subiranno un incremento dall’8% al 13,5%. Gli effetti complessivi saranno comunque positivi: entro il 2025 ci saranno infatti 85 milioni di posti di lavoro sostituiti dalle macchine ma ne verranno generati 97 milioni.

“L’Inapp ha fatto uno studio con l’Università di Trento e l’Istituto di statistica della provincia di Trento – spiega Scicchitano – per mettere a confronto tecnologia e volumi occupazionali in Italia dal 2011 al 2018. Abbiamo utilizzato i dati dettagliati, contenuti nell’indagine campionaria Inapp, per avere informazioni su compiti, doveri e mansioni per tutte le 800 professioni italiane. Questo ci ha permesso di distinguere tra gli operatori dei robot, coinvolti nella progettazione, installazione, manutenzione e funzionamento di forme di automazione legate all’automazione, e i lavoratori ritenuti esposti alla sostituzione con i robot perché svolgono attività specifiche che possono essere abbinate ad applicazioni robotiche precise, come i saldatori e i robot di saldatura. I dati della ricerca dimostrano che in questo periodo l’introduzione di robot industriali non ha prodotto un impatto negativo sul tasso di occupazione”.

Da un lato, quindi le categorie occupazionali potenzialmente esposte al rischio di sostituzione da parte dei robot industriali non hanno risentito dell’introduzione di questi ultimi, dall’altra i posti destinati agli addetti ai robot sono aumentati del 50% in poco meno di 10 anni, con uno sviluppo maggiore nelle aree caratterizzate da un ricorso più intenso ai robot industriali.

“Secondo le nostre stime – spiega Scicchitano – un aumento dell’1% nell’adozione di robot potrà portare a un incremento di 0,29 punti percentuali nelle quote di operatori di robot”.

Ma se nell’ultimo decennio l’introduzione di robot industriali non ha generato effetti negativi sul tasso di occupazione ad elevato contenuto routinario o ripetitivo, lo stesso non si può dire di quei posti che richiedono sforzo fisico al lavoratore. “In questo caso  l’introduzione dei robot ha contribuito a ridurre il peso relativo delle occupazioni che richiedono l’impegno del busto e, in particolare, dei muscoli addominali e lombari”, conclude Scicchitano.

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Fabrizio Cerignale

Giornalista professionista, con in tasca un vecchio diploma da perito elettronico. Free lance e mobile journalist per vocazione, collabora da oltre trent’anni con agenzie di stampa e quotidiani, televisioni e siti web, realizzando, articoli, video, reportage fotografici. Giornalista generalista ma con una grande passione per la tecnologia a 360 gradi, da quella quotidiana, che aiuta a vivere meglio, alla robotica all’automazione.

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