Smart working in calo dopo l’emergenza della pandemia, il futuro è nelle formule ibride

Nella fase post-emergenza della pandemia mondiale rallenta la corsa dello smart working, ma il lavoro ‘agile’ resterà – con formule e misure variabili – nel 90% delle grandi aziende e nel 60% della Pubblica amministrazione

Pubblicato il 03 Nov 2021

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Nella fase post-emergenza della pandemia mondiale rallenta la corsa dello smart working, ma il lavoro ‘agile’ resterà – con formule e misure variabili – nel 90% delle grandi aziende e nel 60% della Pubblica amministrazione.

Nel 2021 sono diminuiti gli smart worker: erano 5,3 milioni a marzo di quest’anno, poi scesi a 4,7 milioni a giugno, calati a 4 milioni in settembre. Ora si calcola che saranno 4,3 milioni nel post pandemia, con formule ibride tra casa e lavoro: in media 3 giornate ‘agili’ su 5 nelle grandi aziende, 2 giornate su 5 nelle PA.

Sono i numeri ricavati dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, con finora un bilancio con luci e qualche ombra: per oltre un terzo degli smart worker sono migliorati work-life balance e produttività, ma il 28% ha sofferto di tecnostress e il 17% di overworking. Mentre tra le aziende che lo hanno messo in pratica, vincono lo Smart Working Award 2021 Banca D’Italia, Cameo, Inail, ING Italia, Net insurance e Webranking.

“Nel corso del 2021 con l’avanzamento della campagna vaccinale è progressivamente diminuito il numero degli smart worker, passati da 5,3 milioni nel primo trimestre dell’anno a 4 milioni nel terzo trimestre”, fa notare Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working. Che rileva: “ora si calcola che il totale dei ‘lavoratori agili’ italiani si assesterà attorno a quota 4 milioni e 300mila circa, passando da un monte ore complessivo più alto a formule e soluzioni più ibride che ridurranno un po’ il totale del tempo impiegato in smart working”.

La pandemia ha accelerato l’evoluzione dei modelli di lavoro verso forme di organizzazione più flessibili e intelligenti e ha cambiato le aspettative di imprese e lavoratori, anche se emergono delle differenze fra le aziende che rischiano di rallentare questa rivoluzione: le grandi imprese stanno sperimentando nuovi modelli di lavoro, con la ricerca di nuovi equilibri tra presenza e distanza capaci di cogliere i benefici potenziali di entrambe le modalità di lavoro. In molte organizzazioni, soprattutto PMI e PA, invece, si sta tornando prevalentemente al lavoro in presenza a causa della mancanza di cultura basata sul raggiungimento dei risultati. Un arretramento che si scontra con le aspettative dei lavoratori e gli obiettivi di digitalizzazione, sostenibilità e inclusività del Paese.

A settembre si contano complessivamente 1,7 milioni di lavoratori agili nelle grandi imprese, 630mila nelle PMI, 810mila nelle microimprese e 860mila nella PA. Progetti di smart working strutturati o informali sono presenti nell’80% delle grandi imprese (contro il 65% del 2019), nel 53% delle PMI (nel 2019 erano il 30%) e nel 67% delle PA (contro il 23% pre-Covid). Lo smart working rimarrà o sarà introdotto nel 90% delle grandi aziende, dove aumenteranno sia i progetti strutturati sia quelli informali, nel 62% delle PA, in cui prevalgono le iniziative strutturate ma anche molta incertezza sul futuro (un quarto non sa se lo smart working potrà restare o iniziare nel post-Covid), e nel 35% delle PMI, fra cui prevale un approccio informale (22%) ed è forte la tendenza a tornare indietro (un terzo di quelle che ha sperimentato lo smart working prevede di abbandonarlo).

“Ora è necessario costruire il futuro del lavoro sul vero Smart Working, che non è una misura emergenziale, ma uno strumento di modernizzazione che spinge a un ripensamento di processi e sistemi manageriali all’insegna della flessibilità e della meritocrazia, proponendo ai lavoratori una maggiore autonomia e responsabilizzazione sui risultati”, rimarca Corso.

Le modalità di lavoro in Smart Working saranno ibride

Le modalità di lavoro in Smart Working torneranno a essere ibride, alla ricerca di un migliore equilibrio tra lavoro in sede e a distanza: nelle grandi imprese sarà possibile lavorare a distanza mediamente per tre giorni a settimana, due nelle PA. La scelta di proseguire con lo smart working è motivata dai benefici riscontrati da lavoratori e aziende. L’equilibrio tra lavoro e vita privata è migliorato per la maggior parte di grandi imprese (89%), PMI (55%) e PA (82%). Ma la combinazione di lavoro forzato da remoto e pandemia ha avuto anche conseguenze negative sugli smart worker: è calata dal 12% al 7% la percentuale di quelli pienamente ‘ingaggiati’, il 28% ha sofferto di tecnostress, il 17% di overworking.

“Per cogliere tutti i benefici dello smart working serve l’impegno di tutti i soggetti”, sottolinea Alessandra Gangai, direttrice della Ricerca Smart Working nella PA: “alle organizzazioni spetta il compito di strutturare progetti coraggiosi, lavorando su policy, tecnologie, spazi di lavoro e stili di leadership; i lavoratori devono allenare skill più adeguate al nuovo work-life balance; i policy maker devono accompagnare questa trasformazione con onestà intellettuale e lungimiranza”.

Il 55% delle grandi aziende e il 25% delle pubbliche amministrazioni ha avviato interventi di modifica degli spazi dell’organizzazione per adattarli al nuovo modo di lavorare. La maggior parte delle organizzazioni non interverrà sulle dimensioni ma sull’organizzazione degli ambienti di lavoro, le altre si concentreranno sulla riduzione degli spazi (in particolare il 33% delle grandi aziende), non mancano infine organizzazioni (ad esempio il 18% delle PA) che prevedono un aumento degli spazi necessari.

Il punto di vista dei lavoratori

Nel complesso la diffusione dello Smart working, seppure emergenziale, ha avuto un impatto positivo sui lavoratori: per il 39% è migliorato il proprio work-life balance, il 38% si sente più efficiente nello svolgimento della propria mansione e il 35% più efficace, secondo il 32% è cresciuta la fiducia fra manager e collaboratori e per il 31% la comunicazione fra colleghi.

Ma il perdurare della pandemia e i lunghi periodi di lavoro da casa forzato hanno anche avuto alcune ripercussioni negative. È diminuita ulteriormente la percentuale di smart worker pienamente ingaggiati (cioè legati all’azienda e attaccati al proprio lavoro, oltre che soddisfatti), che è passata dal 18% al 7% restando comunque, seppur di poco, superiore a quella degli altri lavoratori, che è pari al 6%.
Il tecnostress (cioè gli impatti negativi a livello comportamentale o psicologico causati dall’uso delle tecnologie) ha interessato un lavoratore su quattro, in misura maggiore smart worker (28% contro il 22% degli altri dipendenti), donne (29% contro il 22% dei colleghi) e responsabili (27% contro il 23% dei collaboratori). Alcuni possibili effetti negativi del tecnostress sono il peggioramento del work-life balance, dell’efficienza e l’overworking. Nel complesso l’overworking (ovvero dedicare un’elevata quantità di tempo alle attività lavorative trascurando momenti di riposo) ha coinvolto il 13% dei lavoratori e in misura maggiore gli smart worker degli altri lavoratori (17% contro 9%), le donne degli uomini (19% contro 11%) e i manager rispetto ai collaboratori (19% contro 9%).

I benefici sociali e ambientali dello Smart working

I benefici e le opportunità che derivano dallo Smart Working riguardano non solo le organizzazioni e i lavoratori, ma anche una maggiore sostenibilità sociale e ambientale. Secondo le grandi imprese, la sua applicazione su larga scala favorisce l’inclusione delle persone che vivono lontano dalla sede di lavoro (81%), dei genitori (79%) e di chi si prende cura di anziani e disabili (63%).

La possibilità di lavorare in media 2,5 giorni a settimana da casa porterà poi a significativi risparmi di tempo e risorse per gli spostamenti: 123 ore l’anno e 1.450 euro in meno per ogni lavoratore che usa l’automobile per recarsi in ufficio. In termini di sostenibilità ambientale, infine, si può stimare che l’applicazione dello Smart Working ai livelli previsti dopo la pandemia comporterà minori emissioni per circa 1,8 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, pari all’anidride carbonica che potrebbero assorbire 51 milioni di alberi.

L’Osservatorio Smart Working ha anche individuato e premiato i casi di maggiore successo all’interno delle aziende, con l’assegnazione degli Smart Working Award 2021, il riconoscimento alle organizzazioni che si sono distinte per capacità di innovare le modalità di lavoro grazie ai loro progetti di Smart Working. Cameo e ING Italia sono i vincitori tra le grandi imprese, Net insurance e Webranking si sono distinte tra le PMI, Banca D’Italia e Inail hanno primeggiato nella categoria PA.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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