Dal gemello digitale del paziente al calcolo spaziale, le 10 tecnologie emergenti secondo il World Economic Forum

Dai “pazienti virtuali” che potrebbero sostituire gli esseri umani con i loro gemelli digitali nelle sperimentazioni cliniche ai materiali da costruzione che combattono il cambiamento climatico; dall’idrogeno verde al computing spaziale che consente di tracciare e controllare i movimenti e le interazioni degli oggetti con le persone nel mondo fisico per creare nuove modalità di interazione uomo-macchina e macchina-macchina. Ecco le migliori 10 tecnologie emergenti secondo il World Economic Forum

Pubblicato il 29 Dic 2020

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Se i volontari umani necessari per testare i vaccini contro il coronavirus avessero potuto essere sostituiti da repliche digitali, i vaccini per il Covid-19 avrebbero potuto essere sviluppati ancora più velocemente. Il paziente digitale, o meglio il gemello digitale del paziente umano, è una delle 10 migliori tecnologie emergenti di quest’anno selezionate dal World Economic Forum e dalla rivista scientifica Scientific American.

La classifica delle Top 10 Emerging Technologies, scelte tra una lista di 75 candidati, è la seguente

  1. Micro-aghi per iniezioni e test diagnostici indolori
  2. Utilizzo della luce solare per convertire l’anidride carbonica in materiali utili
  3. Pazienti virtuali per sostituire gli esseri umani con “gemelli digitali” nelle sperimentazioni cliniche
  4. Calcolo spaziale, il passo successivo nella convergenza dei mondi fisico e digitale
  5. Medicina digitale, App in grado di diagnosticare (e perfino curare)
  6. Aerei elettrici
  7. Materiali da costruzione che combattono il cambiamento climatico
  8. Misurazioni quantistiche ad alta precisione
  9. Idrogeno verde
  10. Sintesi dell’intero genoma, per curare molte malattie genetiche.

In questo articolo ve le presentiamo una per una. In fondo troverete il link al PDF dello special report del WEF.

Micro-aghi per iniezioni indolori e test più rapidi

Sono aghi appena visibili, e permettono iniezioni indolori e analisi cliniche più rapide. Sono utilizzabili sia con una siringa che su un cerotto, e prevengono il dolore evitando il contatto con le terminazioni nervose.

Tipicamente sono lunghi 50-2.000 micron (quanto un foglio di carta) e spessi 1-100 micron (quanto i capelli umani), penetrano nello strato superiore di pelle (“pelle morta”) per raggiungere il secondo strato (l’epidermide) costituita da cellule vitali e un liquido noto come liquido interstiziale. Non raggiungono, o toccano solo a malapena, il derma sottostante dove si trovano le terminazioni nervose. Poiché consentono di iniettare i farmaci direttamente nell’epidermide o derma, sono molto più efficienti dei normali cerotti transdermici, che si basano sulla diffusione attraverso la pelle.

Alcuni prodotti basati sui micro-aghi consentiranno di fare prelievi a casa e di spedirli a un laboratorio di analisi. Sono già disponibili siringhe e cerotti con micro-aghi per la somministrazione di vaccini, e molti altri sono in sperimentazione clinica per il trattamento del diabete, del cancro e del dolore. Quest’anno i ricercatori hanno lanciato una nuova tecnica per il trattamento di disturbi della pelle quali psoriasi, verruche e alcuni tipi di cancro: si tratta di un mix di micro-aghi a forma di stella e crema o un gel terapeutico. Micro-aghi accoppiati a biosensori consentono in pochi minuti di misurare direttamente i marker biologici indicativi dello stato di salute o della malattia (es. glucosio, colesterolo, alcol, sottoprodotti di droghe o cellule immunitarie). È in fase di sperimentazione anche l’integrazione dei micro-aghi con dispositivi di comunicazione wireless per misurare molecole biologiche, in modo da dosare in maniera ottimale una dose di farmaco per realizzare medicine personalizzate.

L’uso di dispositivi con micro-aghi non richiede attrezzature costose né formazione specifica. Per esempio, gli Stati Uniti e l’Europa hanno recentemente approvato un dispositivo per la raccolta del sangue di Seventh Sense Biosystems, che consente a chiunque di raccogliere un piccolo campione di sangue, sia per l’invio a un laboratorio che per autocontrollo.

L’Università di Pittsburgh ha in fase di sperimentazione un vaccino contro SARS-CoV-2 che verrà somministrato mediante un cerotto con micro-aghi. La ricerca, apparsa sulla rivista EBioMedicine, descrive i primi risultati ottenuti sui topi che, secondo gli esperti, sono davvero molto incoraggianti. Il cerotto è grande quanto un’unghia e conta più di 400 micro-aghi sulla sua superficie ed aderisce alla pelle come un normalissimo cerotto. Tale cerotto, sui topi, sembra indurre la produzione di anticorpi specifici in quantità sufficienti a neutralizzare il coronavirus SARS-CoV-2. Il vaccino dei ricercatori di Pittsburg, denominato PittCoVacc, utilizza frammenti di proteine virali sintetizzate in laboratorio per stimolare una risposta immunitaria. L’azienda Vaxxas sta sviluppando un cerotto con micro-aghi per vaccini che nei primi test su animali e sull’uomo ha mostrato un miglioramento del sistema immunitario utilizzando solo una frazione della dose abituale.

I micro-aghi possono anche contribuire a ridurre il rischio di trasmissione dei virus trasmessi dal sangue e di ridurre i rifiuti pericolosi (si pensi allo smaltimento degli aghi convenzionali). Naturalmente, i micro-aghi non possono essere utilizzati quando sono necessarie dosi elevate, né d’altra parte tutti i farmaci riescono ad attraversarli. Lo stesso vale per alcuni marcatori biologici che non possono essere campionati attraverso di essi.

Processi chimici alimentati dalla luce per convertire l’anidride carbonica in materiali utili

La produzione di molte sostanze chimiche – come metanolo, formaldeide e acido formico (ampiamente utilizzate per fare adesivi, schiume, compensato, ebanisteria, pavimenti e disinfettanti) – consuma combustibili fossili, produce emissioni di anidride carbonica e, perciò, impatta sul cambiamento climatico.

Una nuova tecnologia utilizza la luce solare per convertire le emissioni di anidride carbonica in queste sostanze chimiche, contribuendo a ridurre le emissioni in due modi: la prima, trasformando le emissioni in materiali utili; la seconda, utilizzando la luce solare come fonte di energia al posto di altri combustibili fossili.

Per farlo, si usano catalizzatori attivati dalla luce solare, una nuova generazione di  foto-catalizzatori. Questi, come una sorta di “raffinerie solari”, sono in grado di rompere il doppio legame esistente tra carbonio e ossigeno per ottenere quelle molecole necessarie per produrre medicinali, detergenti, fertilizzanti e tessuti. I foto-catalizzatori tradizionali sono semiconduttori che usano la luce ultravioletta ad alta energia per generare gli elettroni coinvolti nella trasformazione di biossido di carbonio. Ma la luce ultravioletta è scarsa (rappresenta solo il 5% della luce solare) e dannosa. I nuovi catalizzatori sono un’importante evoluzione dei catalizzatori esistenti (che funzionavano solo con luce ultravioletta), ottenuta modificando con l’azoto il biossido di titanio di cui erano fatti, in modo da funzionare anche con la luce visibile del sole.

Le ricerche sulla “chimica basata sulla luce solare” sono al momento condotte in USA da centri di ricerca quali il Joint Center for Artificial Photosynthesis del California Institute of Technology in partnership con il Lawrence Berkeley National Laboratory. In Europa, tali ricerche sono condotte da un consorzio di Università Olandesi, il Sunrise consortium e dal dipartimento di Energy Conversion del Max Planck Institute for Chemical in Germania. Anche alcune start-up stanno già lavorando per possibili applicazioni industriali di tali ricerche.

Pazienti virtuali per sostituire gli esseri umani con “gemelli digitali” nelle sperimentazioni cliniche

Già oggi esistono algoritmi – anche basati su Intelligenza Artificiale – che consentono ai computer di diagnosticare malattie con un’accuratezza senza precedenti. L’idea innovativa qui è di sostituire i volontari umani con loro “gemelli digitali” in modo da ridurre i tempi e i costi dei test di farmaci e vaccini evitando di mettere a rischio persone in carne ed ossa.

Questo è solo uno dei possibili benefici dei test di farmaci e trattamenti su organi o corpi “virtuali”, cioè sistemi che simulano come risponderà una persona reale alle terapie. Per il prossimo futuro, quindi, soltanto negli studi in fase avanzata saranno necessari pazienti veri, ma tutte le prove preliminari potranno essere fatte velocemente – e con minori costi e rischi – in piena sicurezza usando “gemelli digitali”.

Tali “pazienti virtuali” vengono modellati a partire dai dati reali delle persone corrispondenti, prelevati per esempio da campioni clinici o dalle immagini ad alta risoluzione degli organi in questione. Da essi viene derivato un complesso modello matematico delle funzioni degli organi da testare. Il risultato è un “organo virtuale” che sembra e si comporta come quello vero.

Sono già in corso sperimentazioni cliniche. La Food and Drug Administration statunitense, ad esempio, utilizza modelli digitali invece di test tradizionali su esseri umani per la valutazione di nuovi sistemi per mammografia o per la progettazione di sperimentazioni di farmaci e dispositivi medicali o per fare diagnosi complesse non invasive.

Ad esempio, HeartFlow Analysis è un servizio su cloud approvato dalla FDA che consente ai medici di diagnosticare malattie coronariche sulla base delle immagini TC del cuore di un paziente. Il sistema HeartFlow usa queste immagini per costruire un modello dinamico del sangue che scorre nei vasi sanguigni coronarici, identificando così eventuali condizioni anormali e loro gravità. Senza questa tecnologia, i medici dovrebbero eseguire un angiogramma invasivo per decidere se e come intervenire.

Sperimentare su modelli digitali dei singoli pazienti può anche aiutare a personalizzare le terapie sotto varie condizioni, per esempio ci sono applicazioni per la cura del diabete.

La costruzione di modelli matematici richiederà database medici di alta qualità sempre più ampi e sono in corso iniziative come il Living Heart Project di Dassault Systèmes, il Virtual Physiological Human Institute for Integrative Biomedical Research e l’Healthcare NExT di Microsoft.

Calcolo spaziale, il passo successivo nella convergenza dei mondi fisico e digitale

Il “calcolo spaziale” è il passo successivo nella continua convergenza del mondo fisico con quello digitale. Già oggi App di realtà virtuale e realtà aumentata (AR-Augmented Reality, VR-Virtual Reality) digitalizzano oggetti che si connettono tramite il Cloud, permettendo a sensori e motori di interagire e rappresentando digitalmente il mondo reale (Internet of Things-IoT e “digital twin“). La novità è combinare queste funzionalità con la mappatura spaziale per consentire a un computer di tracciare e controllare i movimenti e le interazioni degli oggetti con le persone nel mondo fisico. Il computing spaziale genera gemelli digitali non solo di oggetti ma anche di persone e delle loro posizioni – utilizzando GPS, lidar (Light Detection and Ranging o Laser Imaging Detection and Ranging), video e altre tecnologie di geo-localizzazione – per creare una mappa digitale di una stanza, un edificio o una città. Gli algoritmi software integrano questa mappa digitale con i dati dei sensori e con le rappresentazioni digitali di oggetti e persone per creare un mondo digitale che può essere osservato, misurato e che è anche in grado, sotto determinate condizioni, di intervenire sul mondo reale.

Il computing spaziale , infatti, sarà presto in grado di consentire nuove modalità di interazione uomo-macchina e macchina-macchina in molti contesti diversi, per esempio industria, sanità, trasporto e casa. Grandi aziende, comprese Microsoft e Amazon, stanno pesantemente investendo in questa tecnologia.

A titolo di esempio, in campo medico, consideriamo questo scenario futuristico. Viene inviata una squadra di paramedici in un appartamento per soccorrere un paziente che potrebbe aver bisogno di un intervento chirurgico d’urgenza. Il sistema determina il percorso più veloce per raggiungere la persona ed invia in tempo reale le cartelle cliniche del paziente e gli aggiornamenti ai dispositivi mobili dei tecnici e al pronto soccorso più vicino. Inoltre, controlla le luci dei semafori degli incroci attraversati dall’ambulanza, apre le porte d’ingresso dell’edificio dove vive il paziente e fa trovare un ascensore già pronto. Intanto, un team chirurgico usa i modelli di digital twin e di realtà aumentata per studiare il corpo di questo paziente.

L’industria sta già adottando tecnologie di IoT e AR/VR, con ampio utilizzo di sensori dedicati e gemelli digitali per ottimizzare la produttività. Con la tecnologia di Spatial Computing, si può aggiungere il monitoraggio basato sulla posizione delle attrezzature o di un’intera fabbrica, con dispositivi indossabili di AR/VR si può guardare un’immagine olografica che non mostra solo istruzioni per la riparazione ma anche una mappa spaziale dei componenti della macchina, e i tecnici possono essere guidati attraverso e intorno alla macchina per analizzarla nel modo più efficiente possibile, riducendo i tempi ed i costi degli interventi. Oppure un tecnico può operare su una versione di digitale di un vero sito remoto mentre telecomanda diversi robot che si muovono nella fabbrica reale, e gli algoritmi di calcolo spaziale possono aiutare a ottimizzare la sicurezza, l’efficienza e la qualità del lavoro.

Medicina digitale, App in grado di diagnosticare (e perfino curare)

Ci sono App che si sostituiranno alle tradizionali interazioni con il sistema sanitario quando l’accesso all’assistenza sanitaria dovesse diventare limitato – una necessità che la crisi del COVID-19 ha drammaticamente mostrato al mondo.

Molti strumenti di rilevamento sono già disponibili su dispositivi mobili per registrare caratteristiche come voci, posizioni, espressioni facciali, sonno, ma anche messaggi di testo e attività varie. Poi applicano l’intelligenza artificiale per segnalare la possibile insorgenza o aggravamento di una condizione patologica.

Alcuni smartwatch, ad esempio, già contengono un sensore che rileva automaticamente e avvisa le persone in caso di fibrillazione atriale. Strumenti simili sono in sviluppo per lo screening di disturbi respiratori, depressione, Parkinson, Alzheimer, autismo e altre condizioni. Questo tipo di rilevamento (“fenotipizzazione digitale“), non sostituisce un medico, ma può essere utile per evidenziare situazioni che necessitano di follow-up.

Le rilevazioni possono anche essere effettuate grazie a pillole ingeribili che contengono sensori, chiamate dispositivi micro-bioelettronici. Alcuni sono in grado di rilevare cellule cancerose, gas emessi da microbi intestinali, ulcere ed altro. I sensori trasmettono i dati alle App per la loro elaborazione.

reSET della Pear Therapeutics è stata la prima soluzione di “Prescription Digital Therapeutic (PDT)” ad ottenere l’approvazione della FDA. reSET fornisce H24/7 terapie cognitivo-comportamentali (CBT) e fornisce in tempo reale dati medici sui pazienti, gestendo situazioni di allarme. Somryst è un’app per la terapia dell’insonnia cronica, EndeavorRX è il primo videogioco approvato come trattamento terapeutico per bambini affetti da ADHD (deficit di attenzione disturbo da iperattività. Luminopia è un’app di realtà virtuale per il trattamento della ambliopia (“occhio pigro”) alternativa a una benda sull’occhio.

Con lo scoppio dell’epidemia COVID-19, una dozzina di App per rilevare la depressione e fornire utile consulenza sono diventate disponibili. Inoltre, ospedali e agenzie governative in tutto il mondo hanno distribuito Healthcare Bot Service di Microsoft. Invece di aspettare in attesa al telefono, o arrischiare un viaggio al pronto soccorso, persone preoccupate per tosse e febbre potrebbero chattare con un bot in grado di elaborare il linguaggio naturale per chiedere informazioni sui propri sintomi e, sulla base delle analisi effettuate grazie a modelli di IA, l’App potrebbe fare una prima diagnosi ed eventualmente coinvolgere un medico umano. Ad aprile i bot avevano elaborato più di 200 milioni di richieste sui sintomi COVID e tali interventi hanno notevolmente ridotto la pressione sui sistemi sanitari.

Aerei elettrici

Nel 2019, i viaggi aerei hanno rappresentato il 2,5% delle emissioni totali, un numero che potrebbe triplicare nel 2050. Anche se alcune compagnie aeree hanno iniziato a compensare le loro emissioni, sono ancora necessari tagli significativi. Gli Aeroplani Elettrici potrebbero essere la soluzione.

Molte aziende stanno lavorando su motori a propulsione elettrica, in grado di eliminare le emissioni e ridurre i costi del carburante fino al 90%, di manutenzione al 50% e il rumore di quasi il 70%. I motori elettrici hanno generalmente una durata maggiore dei motori alimentati con idrocarburi e hanno bisogno di una revisione ogni 20.000 ore, contro le attuali 2.000.

Tra le compagnie che lavorano sul volo elettrico sono Airbus, Ampaire, MagniX ed Eviation. Per ora si tratta di velivoli destinati a privati ed aziende, ancora in attesa di certificazione da parte della US Federal Aviation Administration. Cape Air, una delle più grandi compagnie aeree regionali, sarà tra i primi clienti ad acquistare l’aereo elettrico da nove passeggeri Alice di Eviation.

L’aereo elettrico X-57 Maxwell della NASA, in fase di sviluppo, sostituisce le ali convenzionali con altre più corte, con una serie di eliche elettriche. Sui jet convenzionali, le ali deve essere abbastanza grandi da fornire portanza quando un aereo viaggia a bassa velocità, ma l’ampia superficie aggiunge resistenza quando si raggiungono velocità più elevate. Le eliche elettriche, invece, possono aumentare la portanza durante il decollo, consentendo di ridurre le dimensioni delle ali e raggiungere una maggiore efficienza complessiva.

Al momento, gli aerei elettrici hanno batterie in grado di produrre molta meno energia in termini di peso rispetto ai motori tradizionali (una densità di energia di 250 watt/ora per chilogrammo contro 12.000 watt/ora per chilogrammo per il carburante degli aerei). Le batterie necessarie per un volo elettrico sono quindi molto più pesanti dell’attuale carburante e occupano più spazio. Però, circa la metà dei voli a livello globale sono inferiori a 800 chilometri, il che dovrebbe rientrare nella portata degli aerei elettrici alimentati a batteria entro il 2025.

Attualmente, sono circa 170 i progetti di aeroplani elettrici in corso. La maggior parte degli aeroplani elettrici è progettata per viaggi privati e aziendali e pendolari, ma Airbus prevede di avere una versione per 100 passeggeri entro il 2030.

Materiali da costruzione che combattono il cambiamento climatico

Il materiale più utilizzato dall’uomo per le costruzioni è il Calcestruzzo. La produzione di uno dei suoi componenti chiave, il cemento, crea gran quantità di anidride carbonica (fino all’8% del totale, secondo il think-tank Chatham House), maggiore a quella emessa da un Paese come l’India! Parliamo di 4 miliardi di tonnellate di cemento prodotte ogni anno, in costante aumento a causa della crescente urbanizzazione.

Sebbene l’industria delle costruzioni sia tipicamente resistente al cambiamento, nel 2018 il Global Cement and Concrete Association ha annunciato una serie di Linee guida del settore per contenere le emissioni e l’uso dell’acqua. Nel frattempo, una varietà di approcci per ridurre le emissioni di carbonio sono già in campo.

Per esempio, la start-up americana Solidia utilizza un processo chimico ideato dalla Rutgers University che consente di tagliare del 30% il biossido carbonio rilasciato nella produzione di cemento. La “ricetta” utilizza più argilla, meno calcare e meno calore rispetto ai processi tipici. CarbonCure, invece, immagazzina anidride carbonica catturata dai processi industriali del calcestruzzo attraverso la mineralizzazione invece di rilasciarla nell’atmosfera. La canadese CarbiCrete segue un approccio diverso: abbandona l’uso del cemento per produrre il calcestruzzo, sostituendolo con un sottoprodotto della produzione di acciaio chiamato scoria di acciaio. Norcem, uno dei principali produttori di cemento in Norvegia, ha l’obiettivo di trasformare una delle sue fabbriche nel primo cementificio al mondo a zero emissioni: l’impianto utilizza già combustibili alternativi provenienti dai rifiuti e intende aggiungere tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio per eliminare completamente le emissioni entro il 2030.

Inoltre, ci sono ricercatori che hanno incorporato alcuni batteri nelle miscele per assorbire l’anidride carbonica presente nell’aria. Tra le Start-up che perseguono l'”edilizia verde” ci sono la statunitense BioMason, che “coltiva” mattoni cementizi utilizzando batteri e particelle. In uno studio pubblicato a Febbraio sulla rivista Matter, i ricercatori dell’Università del Colorado hanno impiegato microbi fotosintetici chiamati cianobatteri per ottenere un calcestruzzo a basso contenuto di carbonio: hanno mescolato batteri a idrogel di sabbia per creare mattoni con la capacità di auto-curare le crepe. Questi mattoni non possono sostituire il cemento in tutte le applicazioni odierne, potranno tuttavia un giorno prendere il posto di materiali portanti leggeri, come quelli utilizzati per pavimentazioni, facciate e strutture temporanee.

Misurazioni quantistiche ad alta precisione, basate sulle peculiarità del regno subatomico

SI parla molto di computer quantistici, meno dei sensori quantistici che potrebbero essere altrettanto rivoluzionari, ad esempio abilitando i veicoli autonomi a “vedere” dietro gli angoli, sistemi di navigazione subacquea, sistemi di allerta per attività vulcanica e terremoti, scanner portatili per monitorare l’attività cerebrale della persona durante la vita quotidiana.

I sensori quantistici raggiungono livelli estremi di precisione sfruttando la natura quantistica della materia, per esempio utilizzando la differenza tra gli elettroni in diversi stati energetici come unità base. Per illustrare questo principio consideriamo gli Orologi atomici. Lo standard dell’ora mondiale è basato sul fatto che gli elettroni negli atomi del cesio 133 completano una transizione specifica 9.192.631.770 volte al secondo: questa è l’oscillazione sulla quale di sincronizzano tutti  gli orologi. Altri sensori quantistici possono utilizzare le transizioni atomiche per rilevare minuscoli cambiamenti nel movimento e minime differenze gravitazionali, campi elettrici e magnetici.

Esistono vari modi per costruire un sensore quantistico. Ad esempio, i ricercatori dell’Università di Birmingham, nel Regno Unito, stanno lavorando per sviluppare atomi in caduta libera e super raffreddati in modo da rilevare piccoli cambiamenti nella gravità locale. Questo tipo di gravimetro quantistico sarebbe in grado di rilevare tubi, cavi e altri oggetti sepolti che oggi possono essere trovati solo scavando. Le navi potrebbero utilizzare una tecnologia simile per rilevare oggetti sott’acqua.

La maggior parte dei sistemi di rilevamento quantistico ad oggi sono ancora molto costosi, grandi e complessi, ma una nuova generazione di sensori più piccoli e più convenienti dovrebbero aprire a nuove applicazioni. I ricercatori del Massachusetts Institute of Technology nel 2019 hanno usato metodi di fabbricazione convenzionali per mettere a punto un sensore quantistico a base di diamante su un chip di silicio, comprimendo più componenti tradizionalmente ingombranti su un quadrato largo pochi decimi di millimetro. Questo prototipo è un passo verso la produzione di massa a basso costo di sensori quantistici che potrebbe essere utilizzati per qualsiasi applicazione che necessita dell’esecuzione di misurazioni precise di campi magnetici deboli.

I sistemi quantistici rimangono estremamente sensibili a disturbi, che potrebbero limitarne l’applicazione ad ambienti controllati. Ma i governi e gli investitori privati stanno investendo molto denaro. Il Regno Unito, ad esempio, ha investito £ 315 milioni nella seconda fase del suo Programma Nazionale di Quantum Computing (2019-2024). Gli analisti del settore si aspettano che i sensori quantistici raggiungeranno il mercato nei prossimi 3-5 anni, iniziando da applicazioni mediche e per la difesa.

Idrogeno verde, per ottenere energia a zero emissioni di carbonio

Quando l’idrogeno brucia, l’unico sottoprodotto è acqua. Ecco perché l’idrogeno è considerata un’allettante fonte di energia a zero emissioni di carbonio. Eppure il processo tradizionale per la produzione di idrogeno non è di certo a emissioni zero e l’idrogeno prodotto usando combustibili si chiama idrogeno grigio. Se, invece, la CO2 usata nel processo produttivo viene catturata e stoccata, si chiama idrogeno blu.

L’idrogeno verde è diverso. È prodotto attraverso elettrolisi, che divide l’acqua in idrogeno e ossigeno, senza altri sottoprodotti. Storicamente, l’elettrolisi richiedeva così tanta elettricità che non aveva molto senso produrre idrogeno. La situazione sta cambiando per due ragioni. In primo luogo, quantità significative di eccedenze di elettricità rinnovabile è diventata disponibile sulla rete elettrica e, piuttosto che immagazzinare l’elettricità in eccesso in array di batterie, essa può essere utilizzata per realizzare l’elettrolisi dell’acqua, “immagazzinando” l’elettricità in forma di idrogeno verde. In secondo luogo, gli elettrolizzatori lo sono diventati più efficienti.

Le aziende stanno lavorando per sviluppare elettrolizzatori che possono produrre idrogeno verde a basso costo come l’idrogeno grigio o blu, e gli analisti si aspettano tale risultato entro il prossimo decennio. Nel frattempo, le aziende energetiche stanno iniziando a integrare gli elettrolizzatori nei progetti di energia rinnovabile. Ad esempio, un consorzio di aziende hanno lanciato un progetto chiamato Gigastack prevede di attrezzare un parco eolico offshore con 100 megawatt di elettrolizzatori in grado di generare idrogeno verde su scala industriale.

Le attuali tecnologie rinnovabili come il solare e l’eolico possono de-carbonizzare il settore energetico fino all’85% sostituendo gas e carbone con elettricità pulita. Altre parti dell’economia, come la produzione e i trasporti, sono più difficili da elettrificare perché spesso richiedono carburante che è ad alta densità di energia o calore ad alte temperature. L’idrogeno verde ha un potenziale in questi settori. La Energy Transitions Commission afferma che l’idrogeno verde è una delle quattro tecnologie necessarie per raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi, soprattutto nei settori industriali più sfidanti, tra cui miniere, costruzioni e prodotti chimici.

Sintesi dell’intero genoma, per curare molte malattie genetiche

All’inizio della pandemia COVID-19, gli scienziati in Cina hanno caricato la sequenza genetica del virus in banche dati genetiche. Un gruppo svizzero ha quindi sintetizzato l’intero genoma e ha riprodotto il virus in laboratorio per studiarlo senza dover aspettare l’arrivo di campioni fisici. Tale velocità è un esempio di come la stampa dell’intero genoma possa far avanzare la medicina.

La sintesi dell’intero genoma è un’estensione della biologia sintetica. I ricercatori possono utilizzare il software per progettare sequenze genetiche che riproducono un microbo, riprogrammando così il microbo per studiarlo o per realizzare un nuovo medicinale.

Finora i genomi consentono soltanto piccole modifiche, ma miglioramenti nelle tecnologie di sintesi e nel software stanno rendendo possibile stampare fasce genetiche sempre più ampie, per alterare i genomi in modo più esteso.

Sono stati prodotti genomi virali, molto semplici, già a partire dal 2002. Con il coronavirus, i genomi virali sintetizzati hanno aiutato i ricercatori a ottenere informazioni per capire come i virus si diffondono e causano patologie. Alcuni sono stati progettati per essere usati nella produzione di vaccini e immunoterapie.

È diventato possibile scrivere genomi che contengono milioni di nucleotidi, come nei batteri e nel lievito. Nel 2019, un team di ricercatori ha stampato una versione del genoma di Escherichia coli. Un altro team ha prodotto una versione iniziale del genoma del lievito di birra, che consiste di quasi 11 milioni di lettere in codice del DNA.

La progettazione e la sintesi del genoma a questo livello di scala consentirà di ottenere “fabbriche” per la produzione non solo di farmaci ma di qualsiasi sostanza. Da biomasse non alimentari o anche da gas di scarico come l’anidride carbonica potrebbero essere ottenuti in modo sostenibile prodotti chimici, combustibili e nuovi materiali per la costruzione.

Molti scienziati vogliono arrivare a poter scrivere genomi più grandi, come quelli di piante, animali ed esseri umani. Arrivarci richiede maggiori investimenti nel software di progettazione (molto probabilmente incorporando l’intelligenza artificiale) e in metodi più veloci ed economici per sintetizzare e assemblare il DNA fatto da sequenze lunghe miliardi di nucleotidi.

Con fondi sufficienti, la scrittura dei genomi di miliardi di nucleotidi potrebbe essere una realtà prima della fine di questo decennio. La capacità di scrivere il nostro genoma consentirà ai medici di curare molte, se non tutte, le malattie genetiche. I ricercatori hanno in mente molte applicazioni, compresa la progettazione di impianti che resistono agli agenti patogeni. Questa potrebbe essere la base per terapie cellulari o per la produzione biologica di cellule o organi “impermeabili” alle infezioni da virus, cancro e radiazioni.

The Genome Project-write, un consorzio nato nel 2016, include centinaia di scienziati, ingegneri ed etici di più di una dozzina di paesi per sviluppare tecnologie, condividere best practice, realizzare progetti pilota ed esplorare aspetti etici e legali e implicazioni per la società.

Il report

Il Report completo è scaricabile dal sito del World Economic Forum qui.

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Antonio Mosca
Antonio Mosca

Manager dell'innovazione certificato dal Ministero dello Sviluppo Economico e dall’Ente Nazionale per la Trasformazione Digitale, Antonio Mosca è da oltre 20 anni alla guida dell'innovazione digitale e della trasformazione aziendale, sia in multinazionali (Korber, Ericsson, Microsoft, EIT Digital) che in società di consulenza (Accenture, Ernst&Young). Ha recentemente fondato la New Digital Solutions, che offre consulenza e soluzioni per l'Innovazione e la Trasformazione Digitale Con competenze approfondite in area ICT, Telecomunicazioni e Industria 4.0, Antonio è esperto di tecnologie quali Internet of Things (IoT), Artificial Intelligence (AI), Big Data e Smart City. Contribuisce come relatore al MIP-Politecnico di Milano e collabora con gli “Osservatori Digital Innovation”, un Think Tank della School of Management del Politecnico di Milano. Pubblica articoli su tematiche di business e tecnologiche, e romanzi.

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