Azionisti, Predix e Pensioni: l’addio di Immelt a GE tra luci e ombre

L’ex amministratore delegato ha investito sull’industria, ma non ha rimborsato a sufficienza gli azionisti. E Predix deve ancora decollare

Pubblicato il 21 Giu 2017

jeff immelt

Una settimana fa Jeff Immelt ha detto addio alla poltrona di numero uno di General Electric, che ha saldamente occupato per sedici anni. Immelt ha trasformato dalle radici la GE ereditata dallo storico leader, Jack Welch, consolidando il colosso attraverso le acque turbolente del dopo 11 settembre e degli anni della crisi globale. Ha tagliato le attività finanziarie e indirizzato gli investimenti sui servizi industriali. Tuttavia, come sottolinea il New York Times, la Borsa non l’ha premiato, le azioni hanno perso valore e gli investitori gli sono stati sul collo. Fino alla sua sostituzione con il capo della divisione medicale, John Flannery.

La questione industria 4.0

Secondo il NYT, tra il 2008 e il 2016 GE ha ridotto di un terzo i propri ricavi, da 181 miliardi di dollari a 123 miliardi. La causa non è un crollo delle vendite di prodotti e servizi, bensì uno spostamento del baricentro degli affari. Immelt eredita un conglomerato con una doppia anima: l’industria, che affonda le sue radici nella lampadina di Edison, e la finanza. Ma con quest’ultima nel 2008, con la crisi dei titoli subprime, non si fanno più soldi. Perciò Immelt scorpora quell’area, insieme alla Nbc Universal, e concentra i suoi sforzi sul lato industriale, che aumenta gli introiti.

E in questo percorso si affaccia la sfida dell’industria 4.0. Macchinari connessi, internet delle cose, manutenzione predittiva. General Eletric investe sulla sua piattaforma, Predix. Nel 2016 la galassia di software e servizi digitali hanno fatto guadagnare alla società 5 miliardi di dollari, che il gruppo conta di triplicare entro il 2020.

La lunga strada di Predix

Secondo il centro di studi americano Lux Research, Predix è tanto forte sul piano del marketing, quanto debole sul fronte delle sue capacità. “Predix non è completamente sviluppato come GE vuole far credere, ha una penetrazione di mercato bassa e non è stato testato sul campo su larga scala”, scrive un analista di Lux, Isaac Brown. Tanto che il centro studi giunge alla conclusione che la piattaforma possa essere considerata meglio come “un uccellino” al momento, anche se ha tutti i numeri per crescere. Il suo completo sviluppo si potrebbe raggiungere entro 3-5 anni.

La battaglia degli azionisti

La strategia di Immelt non ha riscontrato negli ultimi anni il supporto dei suoi azionisti. A cominciare da Nelson Peltz, che nel 2015 con il suo fondo Trian è diventato uno dei principali investitori di GE. Peltz ha spinto i vertici di General Electric per un taglio dei costi, in maniera da centrare gli obiettivi di business. All’inizio Trian era un sostenitore della strategia Immelt, ma quando gli investimenti non hanno restituito risultati a livello di ricavi, Peltz si è messo di traverso. Il fondo è interessato soprattutto alla divisione oil & gas, una delle più redditizie.

Immelt non ha tenuto le forbici nel cassetto. Carlo Calosi, che per la Fiom Cgil segue la partita GE in Italia, ricorda che “due anni fa Immelt in persona ha firmato con Hollande l’accordo tra GE e Alstom per suddividersi il mercato”. E la spartizione “è costata 6.500 esuberi in Europa”, aggiunge il sindacalista. Però la battaglia degli azionisti per lo stacco delle cedole sta mostrando i suoi strascichi. Immelt ha lasciato in eredità un buco da 31 miliardi di dollari, scrive Bloomberg, del capitolo pensioni per non lasciare a bocca asciutta gli investitori. E ora Flannery dovrà piazzare una toppa.

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Luca Zorloni

Cronaca ed economia mi sono sembrate per anni mondi distanti dal mio futuro. E poi mi sono ritrovato cronista economico. Prima i fatti, poi le opinioni. Collaboro con Il Giorno e Wired e, da qualche mese, con Innovation Post.

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