La web tax? Rischia di non colpire solo i giganti del web

L’imposta sui servizi digitali nota come web tax rischia di ripercuotersi anche sulle piccole e medie imprese italiane che utilizzano i servizi digitali per promuoversi o vendere i propri prodotti

Pubblicato il 20 Dic 2018

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La novità principale introdotta dal maxi-emendamento inviato ieri sera dal Governo alla Commissione Bilancio al Senato è la web tax, o meglio “l’imposta sui servizi digitali”, dalla quale il Governo si attende un gettito di 600 milioni di euro.

Che cosa prevede la web tax

La misura colpisce “i soggetti esercenti attività di impresa che, singolarmente o a livello di gruppo, nel corso di un anno solare realizzano congiuntamente un ammontare complessivo di ricavi ovunque realizzati non inferiore a 750 milioni di euro e un ammontare di ricavi derivanti da servizi digitali realizzati nel territorio dello stato non inferiore a 5,5 milioni di euro”.

L’imposta dovuta si ottiene “applicando l’aliquota del 3% all’ammontare dei ricavi tassabili realizzati dal soggetto passivo in ciascun trimestre e si applica ai ricavi derivanti dalla fornitura dei seguenti servizi:

  • veicolazione su un interfaccia digitale di pubblicità mirata gli utenti della medesima interfaccia
  • messa a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni o servizi
  • trasmissione di dati raccolti da utenti e generati da l’utilizzo di un’interfaccia digitale”

I ricavi tassabili sono assunti al lordo dei costi e al netto dell’imposta del valore aggiunto e di altre imposte dirette.

Fuori quasi tutti i big della distribuzione b2b

La misura, come è noto, intende tassare i cosiddetti “giganti del web” (Google, Amazon, Facebook), ma rischia – per come è stata impostata – di danneggiare anche altre realtà.

Il tetto di 750 milioni taglia effettivamente fuori dalla misura la stragrande maggioranza delle imprese produttrici, ma rischia di avere un impatto su alcuni grandi distributori. “Le aziende distributrici di elettronica sono tutte al di sotto del tetto stabilito dalla norma”, spiega Diego Giordani, rappresentante di Assodel, l’associazione che rappresenta i distributori di elettronica.

Anche i grossi dealer di materiale elettrotecnico (Comoli Ferrari, Comet) sono fuori, eccezion fatta per Sonepar che, con l’acquisizione di Sacchi, potrebbe rientrare nella misura.

Gli effetti sulle PMI

Al di là del novero di aziende impattate direttamente dalla misura, c’è anche il nodo delle ripercussioni indirette di questa nuova imposta. Lo spiega bene Marco Gay, Presidente di Anitec-Assinform, l’Associazione di Confindustria che rappresenta le aziende dell’ICT: “La scelta del Governo di aumentare le entrate inserendo una imposta sui servizi digitali preoccupa perché, sebbene si applichi soltanto a grandi imprese globali, rischia di ripercuotersi anche sulle piccole e medie imprese italiane che utilizzano i servizi digitali per promuoversi o vendere i propri prodotti”, dice.

“Come settore – prosegue – siamo consapevoli che sia necessario regolare fiscalmente il settore ma abbiamo espresso la necessità di attendere una normativa almeno europea e auspicabilmente OCSE uniforme per non penalizzare la competitività italiana che sconta un livello impositivo già molto alto. Inoltre la modalità di inserimento nel maxi emendamento, senza proficuo confronto con le categorie e con gli operatori che conoscono il settore, come invece avviene in sede Europea, rischia di produrre una norma sbilanciata e dalle coperture quanto meno incerte. Le entrate ipotizzate dal Governo sembrano infatti molto superiori rispetto alle stime del mercato. Mantenere i saldi di bilancio ad un livello prudenziale è essenziale per la stabilità del Paese ma aumentare la tassazione ulteriormente sulle imprese partendo dell’innovazione non è mai una buona scelta e produce, nel medio periodo, un danno a crescita e lavoro. Siamo comunque disponibili, come Associazione e con le imprese interessate, a sederci e confrontarci con Mef, Mise e Autorità indipendenti competenti per contribuire a definire le regole attuative della norma ed evitare che abbiamo effetti sistemici su tutto il settore produttivo e sulla spinta a innovare e digitalizzare”.

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Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

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