Adriano Olivetti, un’eredità 4.0

Pubblicato il 11 Apr 2017

olivetti

di Arianna Radin*

“Conoscevo la monotonia terribile e il peso dei gesti ripetuti all’infinito davanti a un trapano o a una pressa – diceva Adriano Olivetti, nato “oggi”, l’11 aprile del 1901 – e sapevo che era necessario togliere l’uomo da questa degradante schiavitù”. Così, nella sua fabbrica ad Ivrea Olivetti istituì le Unità di Montaggio Integrate “ovvero gruppi di produzione incaricati della costruzione di una parte della macchina e responsabile della sua qualità prima dell’invio del prodotto al gruppo successivo” (Giulia Clarizia).

Adriano Olivetti
Adriano Olivetti

L’uomo che pensava “la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica” viene descritto ancora oggi come un industriale e utopista, come a sottendere un ossimoro, eppure fosse vivo oggi forse lo racconteremmo  come un visionario, come si fa per i fondatori di grandi società o di innovative start-up. La sua idea di fabbrica, in quanto comunità concreta, è progettata a “misura della persona” nella convinzione che un lavoratore soddisfatto sia un cittadino migliore. Così, nel secondo dopoguerra introdusse il sabato festivo, tutelò la maternità e la salute degli operai e delle loro famiglie, aprì a tutti gli eporediesi una biblioteca ed istituì un centro di formazione e ricerca.

Il benessere dei lavoratori, la loro formazione e la creazione di una comunità, tutti elementi che oggi diamo per scontato, riducendoli a benefits aziendali, non sono forse gli stessi che vengono decantati quando si parla di aziende d’oltreoceano, divenute modello della nostra società postindustriale? La cosiddetta fabbrica antropocentrica (Pintone e Fantini) che “supporta la conciliazione vita e lavoro, con diversi meccanismi, ad esempio permessi di paternità e per la cura della famiglia, benefit per lo studio e l’educazione dei figli, assistenza sanitaria” diventa una novità rispetto al modello olivettiano solo se pensiamo ad una fabbrica 4.0 nella quale la flessibilità lavorativa, l’automazione produttiva e strumenti di condivisione siano a disposizione dentro e fuori l’azienda in modo da migliorare la qualità della vita dei lavoratori e delle lavoratrici, delle loro famiglie e dell’intera comunità.

Perché la rivoluzione industriale 4.0 non rimanga un’utopia – “la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare”, diceva Adriano Olivetti, l’industriale – è necessario anzitutto incentivare, non solo in termini economici, un cambiamento che sia culturale, prima ancora che produttivo, nel quale il lavoro non sia un tormento ma una grande gioia. E questa eredità olivettiana non deve essere dimenticata o sprecata.

Buon compleanno Adriano.


Arianna Radin è dottoressa di ricerca in Sociologia e si occupa di sociologia della salute e soprattutto di sociologia delle professioni, settore specifico della sociologia del lavoro. Dal 2015 svolge attività di ricerca sui progetti di innovazione digitale, soprattutto nell’ambito socio-sanitario, e sulle implicazioni che queste hanno sui profili professionali degli attori coinvolti. È membro della European Sociological Association. Collabora con le Università di Torino e di Bergamo.

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Redazione

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