La Perovskite per il supercomputing, anche il Politecnico di Milano partecipa alla ricerca

I memristori permettono di gestire grandi quantità di dati con bassissimo consumo energetico e possono emulare il funzionamento del tessuto cerebrale umano grazie alla loro capacità di elaborare informazioni sensoriale complesse e apprendere dall’esperienza. Un team di ricercatori dell’Empa, del Politecnico di Zurigo e del Politecnico di Milano ha sviluppato memristori più potenti e più facili da produrre rispetto a quelli della generazione precedente.

Pubblicato il 17 Mar 2023

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La classica architettura digitale alla von Neumann per l’elaborazione inizia a mostrare la corda? I memristori alla Perovskite promettono un salto di qualità perché riescono a emulare meglio il funzionamento dei neuroni cerebrali, che agiscono come unità sia di memorizzazione sia di elaborazione. Il loro comportamento è stato studiato da un team che comprende ricercatori dell’Empa (i Laboratori federali svizzeri per la scienza e la tecnologia dei materiali) e dei politecnici di Milano e Zurigo.

Raggiungere l’efficienza del tessuto cerebrale

La doppia funzione dei neuroni rende l’elaborazione cerebrale efficace ed efficiente in virtù di un grande parallelismo, del basso consumo energetico e dell’elevata tolleranza agli errori. I sistemi neuromorfici ispirati al cervello suscitano quindi molto interesse specialmente per compiti gravosi quali la classificazione veloce di miliardi di immagini o il riconoscimento vocale.

Gli esseri umani non riescono a raggiungere la velocità dei computer nell’esecuzione di calcoli matematici ma riescono a elaborare senza sforzo informazioni sensoriali complesse, quali quelle che provengono dalla visione binoculare, e apprendono dall’esperienza, tutti compiti attualmente ardui per i computer. Queste capacità si uniscono a un consumo di energia che è la metà di quello di un notebook: è quindi naturale che la ricerca stia considerando componenti elettronici ispirati ai neuroni che compongono il tessuto cerebrale.

Eliminare i percorsi inutili

Nei computer la memoria è separata dal processore e i dati ‘viaggiano’ avanti e indietro fra queste due unità, cosa che rallenta la macchina quando la mole dei dati è molto elevata I neuroni e le loro connessioni, le sinapsi, invece riescono sia a memorizzare sia a elaborare le informazioni.

Appare quindi opportuno pensare a nuove architetture informatiche che si ispirano al funzionamento del cervello umano e una possibile soluzione sono i memristori: componenti che, come le cellule cerebrali, combinano la memorizzazione e l’elaborazione dei dati. In pratica questi componenti reagiscono sia alla frequenza del segnale in ingresso sia alla sua tempistica e per questo vengono chiamati “di secondo ordine”.

In questo si inserisce il lavoro condotto da un team di ricercatori dell’Empa, del Politecnico di Zurigo e del Politecnico di Milano che ha sviluppato memristori più potenti e più facili da produrre rispetto a quelli di una generazione precedente. Essi si basano su nanocristalli di perovskite alogenata, un materiale semiconduttore già usato nella produzione di celle fotovoltaiche che è in grado di condurre sia ioni sia elettroni. Questa doppia conduttività, ottenuta con la deposizione di sottili strati di composti di Stagno, Indio, Molibdeno. Iodio, Argento e altri elementi, consente di svolgere calcoli più complessi con processi simili a quelli cerebrali.

Capire l’orientamento della barra

Nei laboratori dell’Empa sono stati prodotti i memristori a film sottile e se ne sono studiate le loro proprietà: sulla base di queste misurazioni è stato simulato un compito di calcolo che corrisponde a un apprendimento nella corteccia visiva del cervello. In particolare il task era la determinazione dell’orientamento di una barra luminosa in base ai segnali provenienti dai sensori di immagine.

I risultati sperimentali sono stati positivi ed è da rimarcare che questi memristori sono molto più facili da produrre rispetto a quelli usati in precedenza dato che le perovskiti non richiedono temperature elevate per la cristallizzazione. Questo beneficio in realtà può essere un ostacolo per un’eventuale integrazione nei chip convenzionali, che richiedono lavorazioni a temperature di 400/500 C°.

Le prospettive sono comunque positive: Alessandro Milozzi, dottorando al Politecnico di Milano e uno degli autori dello studio, evidenzia infatti che “possiamo sperimentare memristori con diversi materiali e probabilmente alcuni di essi sono più adatti all’integrazione con il Silicio”.

Integrazione come fattore abilitante

Gli sviluppi futuri e le finalità di questa promettente tecnologia sono esplicitati da un altro autore della ricerca (che è stata finanziata nel quadro di Horizon 2020 e H2020 Future and Emerging Technologies): Daniele Ielmini, del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano. Ielmini mette in evidenza che “il nostro obiettivo non è quello di sostituire l’architettura classica dei computer ma di svilupparne di alternative che possano svolgere determinati compiti in modo più veloce ed efficiente dal punto di vista energetico. Questo include, ad esempio, l’elaborazione parallela di grandi quantità di dati, come richiesto in molti settori, dall’agricoltura all’esplorazione spaziale”.

Per raggiungere questo risultato si ritiene necessaria l’integrazione con le attuali tecnologie dei circuiti integrati e, nel momento nel quale ci si riuscisse, si aprirebbero nuovi orizzonti in molti campi industriali, dalla machine vision alla speech recognition.

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Nicodemo Angì

Metà etrusco e metà magno-greco, interessato alle onde (sonore, elettriche, luminose e… del mare) e di ingranaggi, motori e circuiti. Da sempre appassionato di auto e moto, nasco con i veicoli “analogici” a carburatore e mi interesso delle automobili connesse, elettriche e digitali.

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