Tasse alle big company, non ai robot. La ricetta di Stiglitz per salvare il lavoro

Il premio Nobel ritiene che saranno più gli effetti negativi della trasformazione del lavoro in termini di creazione di nuovi occupati

Pubblicato il 03 Nov 2017

robot

Non si iscrive al partito degli ottimisti. Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001 e professore alla Columbia University di New York, è anzi piuttosto tiepido sugli effetti positivi dell’innovazione sul mercato del lavoro. Convinto che l’asimmetria tra chi ha più informazioni e chi ne ha meno sia un vantaggio economico per i primi, Stiglitz intravede nella digitalizzazione del mercato globale il probabile acuirsi delle disuguaglianze e il pericolo che chi resterà indietro avrà meno chance di recuperare posizioni e ruoli rispetto a oggi.

Come ha spiegato al Sole 24 Ore, a margine della consegna della laurea honoris causa da parte dell’Università politecnica delle Marche, Stiglitz teme che, in termini di creazione di posti di lavoro, “gli aspetti negativi saranno più di quelli positivi”. Per questo il premio Nobel ritiene che gli Stati abbiano il diritto di battere cassa imponendo delle tasse, ma destinate non tanto ai robot stessi, quanto alle aziende che “’vendono’ l’intelligenza artificiale e hanno più potere di mercato, come Google e Apple”.

Il premio Nobel Joseph Stiglitz (fonte: Wikipedia)

Tassare i big dell’high-tech, non le tecnologie

Stiglitz non è un sostenitore dell’idea del fondatore di Microsoft, Bill Gates, di tassare i robot per raccogliere fondi pubblici necessari a compensare la disoccupazione generata dall’automazione con sussidi per il lavoro. Il premio Nobel ritiene che un’imposta di questo tipo scoraggiare le aziende a innovare. Al contrario, la sua idea è di un fisco più pesante per le multinazionali del digitale. “Si potrebbero tassare di più le grandi corporation, si possono raccogliere più risorse con i prelievi dai profitti extra dei grandi gruppi e, magari, anche dai Ceo più pagati”, ha detto Stiglitz.

Disoccupazione

Il premio Nobel è convinto che la digitalizzazione dell’economia comporterà due problemi per i lavoratori. Il primo, e più grave, è la perdita secca dell’occupazione. Il secondo è la concorrenza con robot e software.

Competere con l’intelligenza artificiale richiede spese in formazione dei lavoratori, per dare loro le competenze necessarie a non patire troppo la diffusione dell’AI. “Bisogna dare per scontato che qualcuno resterà indietro perché non ha le competenze necessarie o le sue mansioni sono diventate obsolete rispetto a quelle domandate. Ma anche considerare che alcuni settori verranno toccati solo in parte dal fenomeno”, ha osservato Stiglitz.

Il professore ritiene che cartina al tornasole di questa evoluzione siano le retribuzioni, che devono rimanere stabili. “La produzione crescerà e crescerà in meglio. Il secondo aspetto positivo è che serviranno nuove figure”, ha riconosciuto il docente. Però in termini numeri l’esperto è sicuro di una diminuzione, con risvolti pesanti dal punto di vista sociale: “Sia la globalizzazione che le tecnologie impattano la perdita di posti di lavoro”.

Valuta la qualità di questo articolo

Z
Luca Zorloni

Cronaca ed economia mi sono sembrate per anni mondi distanti dal mio futuro. E poi mi sono ritrovato cronista economico. Prima i fatti, poi le opinioni. Collaboro con Il Giorno e Wired e, da qualche mese, con Innovation Post.

email Seguimi su

Articoli correlati

Articolo 1 di 5