Intelligenza artificiale in Italia: bene la ricerca, ma le aziende hanno le idee confuse

Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano le aziende dicono di conoscere l’intelligenza artificiale, ma in realtà le idee sono confuse e sono pochi i progetti già realizzati.

Pubblicato il 19 Feb 2019

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L’hype è forte, la realtà molto più modesta. L’intelligenza artificiale piace, interessa, provoca molti timori, ma in Italia stenta a entrare nelle aziende dove in pochi casi viene concretamente applicata.

Questo afferma la seconda edizione dell’Osservatorio del Politecnico di Milano che stima in appena 85 milioni di euro la spesa per lo sviluppo di algoritmi di intelligenza artificiale. Strano, perché addirittura il 48% delle aziende ritiene di avere un livello adeguato di conoscenza dell’IA. Un dato che preoccupa molto Piero Poccianti, presidente dell’Associazione italiana per l’Intelligenza artificiale (Aixia), convinto che sia necessario oggi fare cultura sulla tecnologia.

È importante fare cultura perché nelle aziende non si sa cosa fare”, osserva Poccianti. “Capire cosa posso fare è un problema non facile da affrontare. In Italia abbiamo aziende che stentano a capire cosa sia l’IA, per questo penso ci sia bisogno di collegare la ricerca con le industrie. La qualità della ricerca italiana sull’IA è molto alta, ma le aziende non se ne avvantaggiano perché parliamo due linguaggi diversi”.

Le idee confuse infatti non mancano. Il 58%, associa l’IA a una tecnologia capace di replicare completamente la mente umana (un concetto che ha poco a che fare con i risvolti pratici della disciplina), il 35% a tecniche come il machine learning, il 31% ai soli assistenti virtuali, mentre solo il 14% ha compreso che l’IA mira a replicare specifiche capacità tipiche dell’essere umano che è poi la visione prevalente nella comunità scientifica. “C’è in sostanza una conoscenza ancora poco precisa e concreta di cosa sia l’IA e non si coglie ancora l’ampiezza di soluzioni afferenti a questa disciplina”, è il commento di Alessandro Piva, direttore dell’Osservatorio Artificial intelligence.

Pochi i progetti

I dati sul reale utilizzo della tecnologia sono la diretta conseguenza della confusione che regna nelle aziende e riflettono il pensiero del presidente di Aixia.

Solo il 12% delle imprese ha portato a regime almeno un progetto di IA, mentre quasi una su due non si è ancora mossa ma sta per farlo (l’8% è in fase di implementazione, il 31% ha in corso dei progetti pilota, il 21% ha stanziato del budget). Il 9% invece non ha in previsione nessuna iniziativa e il 19% forse in futuro avvierà un progetto. Più confortanti i dati relativi alla soddisfazione. Tra chi ha già realizzato un progetto, il 68% è soddisfatto dei risultati.

Dal punto di vista delle applicazioni il report individua come emergenti e quindi caratterizzate da una buona diffusione soluzioni che rientrano nel Language processing, demand forecast, predictive maintenance e soprattutto virtual assistant/chatbot. Diffuse con minori nuove introduzioni rispetto alle emergenti sono le soluzioni mature e quindi Robotic process automation e Discovery. Con minore diffusione e introduzione sono invece le Incognite che comprendono churn prediction, dynamic pricing, autonomous robot, intelligent object, content design e autonomous vehicle.

Un mercato dinamico ma poco maturo

Un mercato dinamico, ma poco maturo. È la sentenza dell’Osservatorio dell’ateneo milanese verso l’IA tricolore al quale è stato applicato lo strumento di valutazione dell’Ai journey che definisce i principali passi che caratterizzano il percorso tecnologico e organizzativo necessario per fare fruttare l’intelligenza artificiale.

Grazie a questa analisi il 45% del campione rientra fra le aziende in ritardo con un’infrastruttura per l’acquisizione dei dati ancora di qualità e quantità poco soddisfacente.

Gli Entusiasti sono il 10% e si caratterizzano per una crescente maturità sulla dimensione metodologie e algoritmi. In cammino è il 23% delle aziende che hanno consolidato la capacità di dominare le metodologie relative all’IA e rafforzato le dimensioni di organizzazione, cultura e competenze interne.

Gli Apprendisti (12%) hanno giudicato sufficiente il livello medio di competenze acquisite e quindi deciso di fare un passo avanti. Dopo di loro gli Organizzati (4%) che hanno sviluppato maggiormente l’ambito organizzativo-culturale rispetto a quello tecnologico e infine gli Avanguardisti (6%), il profilo più evoluto con aziende che si sono mosse prima di altre anche se non hanno ancora raggiunto la piena maturità.

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Luigi Ferro

Giornalista, 54 anni. Da tempo segue le vicende dell’Ict e dell’innovazione nel mondo delle imprese. Ha collaborato con le principali riviste del settore tecnologico con quotidiani e periodici

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