Più innovazione e formazione e meno gerarchie: così la fabbrica evolve verso il futuro

Nel libro Fabbrica futuro di Marco Bentivogli e Diodato Pirone si racconta come deve cambiare il modo di produrre delle imprese, a partire dall’esempio di FCA e del suo World Class Manufacturing. Le nuove tecnologie e i nuovi modelli di business e del lavoro richiedono a operai, tecnici e addetti un maggiore ingaggio cognitivo rispetto al passato.

Pubblicato il 02 Gen 2020

4 maggio

Ogni azienda, ogni fabbrica, per stare al passo con i tempi e con l’innovazione tecnologica, deve cambiare la sua cultura del lavoro, la sua organizzazione, spesso anche il modello di business.

È sempre più essenziale fare un salto di qualità, verso il futuro, perché l’alternativa è farsi superare dalla concorrenza e dalle nuove tecnologie. E, per fare tutto ciò, occorre visione strategica, capacità di trasformazione, bisogna superare la difesa delle rendite di posizione e la paura del cambiamento, che sono spesso una costante italiana.

Lo spiega bene Marco Bentivogli, segretario generale Fim- Cisl (la Federazione italiana dei metalmeccanici), nel suo libro Fabbrica futuro scritto insieme a Diodato Pirone, giornalista del Messaggero, per le edizioni Egea – Bocconi, pubblicato a qualche mese di distanza dal suo precedente ‘Contrordine compagni’.

Fabbrica futuro è un libro-inchiesta che racconta come si lavora lungo le linee di montaggio di una grande fabbrica, e come FCA si è trasformata nel corso della gestione di Sergio Marchionne. Ma descrive un cambiamento in atto, e sempre più irrinunciabile, che coinvolge molte altre imprese, aziende, realtà produttive e manifatturiere.

Le spinte innovative arrivano innanzitutto lungo due direttrici: il confronto con le nuove tecnologie e i nuovi modelli di business e del lavoro, che a operai, tecnici e addetti vari impongono non solo attività manuale ma anche un maggiore ingaggio cognitivo rispetto al passato.

In sostanza, sia pure in modo graduale, nelle fabbriche innovative agli operai non viene più chiesto di lavorare solo con le mani ma anche – soprattutto – con la mente. In alcune aziende (come in FCA), ad esempio, si chiedono proposte e nuove idee da applicare alle squadre di operai e tecnici. E ne arrivano moltissime. Alcune semplici e altre molto complesse. Tutte però vengono fatte seguendo un metodo ad hoc, una sorta di piccolo progetto con tanto di calcolo dei costi.

Le sfide dell’azienda e dell’operaio 4.0

Nelle aziende più dinamiche, poi, stanno funzionando molto bene (come in FCA) le cosiddette Academy: strutture interne dove si fanno riunioni per analizzare il lavoro e proporre come migliorarlo. Queste Academy sono in realtà delle vere e proprie palestre di talenti, dove i dipendenti studiano e fanno proposte a ruota libera e spesso scoprono capacità che non credevano di possedere.

“Il fenomeno più affascinante”, rimarcano Bentivogli e Pirone, “è quello della scomposizione e della caduta del confine tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, e anche la differenza fra lavoro operaio e lavoro impiegatizio non è più netta. Anzi, forse alcune aliquote di lavoro impiegatizio sono destinate a scomparire mentre alcune funzioni operaie, legate all’uso di macchinari complessi o alla gestione di attività miste manuali e intellettuali, sono destinate ad aumentare di valore”. Da questo punto di vista, “l’industria arriva a svolgere quel ruolo di aggregatore e diffusore della conoscenza che è insito nel suo Dna, ma che l’opinione pubblica fatica a riconoscerle”.

Linee produttive come sale chirurgiche

E questo perché gran parte dell’opinione pubblica è ancora convinta che le fabbriche siano strutture ferme alla catena di montaggio del film Tempi Moderni di Charlie Chaplin: sporche, malsane e piene di processi di lavoro alienanti.

Non è più così: nelle fabbriche innovative, specialmente in quelle della grande e media impresa competitiva e in linea con la concorrenza straniera, gli stabilimenti spesso sono organizzati come se fossero sale chirurgiche. Tutto al suo posto, massimo ordine ed efficienza. Robot e cobot integrano il lavoro e le attività degli operatori in carne e ossa.

Cambia il contesto, e anche il modo di operare. In FCA, spiegano gli autori di Fabbrica futuro, sono stati introdotti due sistemi di misurazione e di metodo del lavoro, che si chiamano Ergo-Uas e WCM (World Class Manufacturing). Il primo è un sistema informatizzato che misura tutti i movimenti che compiono gli operai, ne indica i tempi e lo sforzo fisico. E se il carico di lavoro supera una certa soglia assegna un riposo supplementare, che si chiama fattore di maggiorazione.

“L’Ergo-Uas tende a comprimere sistematicamente la fatica perché lo sforzo è considerato non solo anti-etico ma fa perdere tempo in quanto assegna riposi supplementari”, rimarcano Bentivogli e Pirone: “dunque è interesse dell’azienda che le postazioni di lavoro siano progettate per lavorare nel modo più comodo possibile”.

World Class Manufacturing

Il World Class Manufacturing è invece un sistema operativo basato su 20 ‘pilastri’, il più importante dei quali è la priorità per la sicurezza del lavoro. “Il WCM in FCA è ormai una specie di religione perché impegna i gruppi dirigenti a spendersi sulle linee, anche al di fuori dei loro uffici, e offre strumenti di analisi a tutti i livelli come il Cost deployment, ovvero la capacità di calcolare quanto incidono i costi nelle proposte che si fanno, oppure indica sette azioni da intraprendere per risolvere i problemi”, rilevano gli autori.

E cambia anche la gerarchia interna. La Fiat un tempo era una struttura a piramide governata da un uomo solo che piazzava tre suoi manager fidati, uno all’auto, uno ai trattori e uno ai camion. E da qui partiva una lunghissima e complessa scala gerarchica che arrivava fino all’ultimo neoassunto.

Oggi FCA è gestita da un consiglio di 23 manager (il General executive council), ognuno dei quali ha più compiti che si intersecano con quelli dei suoi colleghi in una organizzazione definita ‘a matrice’.

Modello a bassa gerarchia

In questo modo le informazioni nell’azienda si diffondono più facilmente. I 23 membri del General executive council più un’altra quarantina di manager di prima fila rispondono direttamente all’amministratore delegato, secondo i meccanismi del gioco di squadra. E questa orizzontalizzazione dell’azienda è stata trasportata in modo ancora più marcato nella fabbrica.

Nei plant di FCA i livelli gerarchici sono ridotti a cinque dal direttore all’operaio. Qui tutti vestono la stessa tuta di lavoro, dal direttore agli operai. Qui gli impiegati e i quadri sono dislocati lungo le linee di montaggio e non più negli uffici.

Nelle fabbriche FCA l’organizzazione del lavoro è stata completamente rivoluzionata rispetto a quella tradizionale (fordista). Prima c’era un capo ogni 80 o 90 operai, oggi ci sono squadre di 7 operai di cui 6 lavorano in linea e uno fa da coordinatore e controllore della qualità. In pratica, rispetto al modello aziendale classico, il baricentro del potere in fabbrica si è spostato verso il basso.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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