Ripristinare e potenziare Industria 4.0 e renderla un intervento strutturale per vincere la sfida della transizione digitale e verde: è questo uno dei passaggi chiave del discorso del Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, all’Assemblea che si è tenuta in Vaticano.
Un discorso che si è concentrato sul ruolo dell’industria e dei suoi imprenditori nell’offrire un lavoro degno, creativo, partecipativo e solidale, anche attraverso il riferimento ai temi dell’attualità – la pandemia, la guerra e i loro effetti –, ma anche ai grandi temi che animano il dibattito politico: dal salario minimo, al Reddito di Cittadinanza, alle pensioni, ai divari generazionali e di genere.
Indice degli argomenti
Industria 4.0, “botta e risposta” tra Bonomi e Patuanelli
“Come imprese industriali, da una parte, siamo protagoniste di una duplice rivoluzione molto sfidante, dall’altra siamo costrette a pagare un prezzo assai elevato. La duplice rivoluzione è naturalmente quella della transizione digitale e della sostenibilità ambientale ed energetica“, spiega Bonomi.
“Sfide che obbligano ogni perimetro e modello organizzativo d’impresa a ripensare radicalmente investimenti e costi, capitale fisico e immateriale, competenze e professionalità necessarie per realizzare la transizione nei modi e tempi che oggi ci sono imposti. E questo, nelle condizioni attuali di aggravi di costo così enormi, rischia di creare molti effetti negativi per interi settori dell’industria e per i relativi occupati”, aggiunge.
Proprio per queste difficoltà, sostiene il Presidente di Confindustria, le agevolazioni di Industria 4.0, ripristinate integralmente e potenziate (ricordiamo che con la legge di bilancio 2022 le aliquote sono state dimezzate a partire dal 2023), devono andare oltre l’ottica dell’intervento temporale per diventare “la via maestra da seguire per realizzare al meglio queste sfide”.
Un passaggio che non è piaciuto a Stefano Patuanelli – ex ministro dello Sviluppo economico e attuale Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali – che ha affidato ai suoi social la risposta.
“Io davvero non riesco più a capire – ha scritto in un post Facebook – L’ex Industria 4.0 è stato già potenziato in Transizione 4.0 nel corso del mio mandato al MiSE, gli incentivi sono stati resi fruibili tramite i crediti d’imposta, si è così ampliata la platea e si sono accelerati i tempi di fruizione da parte delle imprese. Il Piano Nazionale Transizione 4.0 è stato reso pluriennale nel 2020 con 24 miliardi di euro e abbiamo congiuntamente innalzato le aliquote; è stata la prima volta che un Governo, il Conte 2, ha compiuto passi così decisi in quella direzione. Abbiamo anche proposto, nel corso del mandato di questo Governo, di rendere questi crediti cedibili, per dare ulteriore impulso al pacchetto 4.0. Proposta bocciata. Caro Carlo, perché parli come se tutto questo non fosse mai avvenuto?”.
Bonomi: “Salario minimo proposta che non ci riguarda”
Bonomi è poi tornato a ribadire la contrarietà di Confindustria all’imposizione di un salario minimo (trattamento economico complessivo, o TEC), senza discriminazione di settori.
“Nel nostro Paese in troppi settori l’offerta di lavoro continua a essere caratterizzata da infime retribuzioni. Questo, desidero ripeterlo, non riguarda in alcun modo l’industria. Quelli non siamo noi! Ecco perché il tema dell’intervento per Legge sul Salario Minimo non ci tocca. Ad essersi opposti sono altri settori, sui quali bisognerebbe, invece, avere il coraggio di intervenire”, commenta.
Riformare il Reddito di Cittadinanza
E questo coraggio, precisa il Presidente di Confindustria, deve essere accompagnato da un intervento sui sussidi alla povertà, come il Reddito di Cittadinanza, che deve essere riformato in modo da non scoraggiare il lavoro, fissando “la soglia minima di lavoro la cui proposta non può essere rifiutata dai percettori del sussidio in grado di lavorare”.
“Lasciatemi ricordare che, a tre anni dall’avvio, sul Reddito di Cittadinanza, più di un beneficiario su due non ha ancora firmato il Patto per il Lavoro. La Legge prevede che il Patto sia sottoscritto entro un mese dal riconoscimento del sussidio”, aggiunge.
Anche per quanto riguarda la precarietà di molte posizioni lavorative, come nel caso delle “finte Partite Iva”, ma anche dei tirocini non formativi, del lavoro a nero o dello sfruttamento del lavoratore, Bonomi torna a ribadire che sono situazioni che non interessano la manifattura.
Il ruolo sociale dell’industria
Al contrario, precisa, la manifattura risponde a questo compito sociale affidato al lavoro offrendo possibilità lavorative a stranieri e immigrati, permettendogli quindi di iniziare un percorso di integrazione. Un tema su cui, tuttavia, il Presidente di Confindustria sottolinea la necessità di di portare avanti una vera e propria rivoluzione culturale, anche alla luce del crollo della natalità e dell’invecchiamento della popolazione italiana.
Una situazione che, come ricorda Bonomi prima e come sottolinea il Santo Padre nel suo intervento, deve spingere a lavorare con urgenza anche sulla rimozione delle barriere di accesso, da parte delle donne, ad opportunità lavorative e giusta retribuzione, così come deve sostenere l’impegno verso politiche di conciliazione tra lavoro e vita privata.
Formazione e pensioni: occorre fare di più per valorizzare i lavoratori
Una rivoluzione che deve servire ad adottare nuovi modelli lavorativi orientati alla “cultura del risultato” che richiede un maggiore impegno sui percorsi, all’interno delle imprese e tra imprese, volti alla valorizzazione dei lavoratori tutti e delle loro competenze.
“Purtroppo, siamo l’unico Paese al mondo in cui si parla di pensioni appena si inizia a parlare di lavoro. La dignità e libertà del lavoratore, over sessantenne, non si tutela con il prepensionamento, ma continuando a offrirgli mansioni coerenti all’esperienza preziosa che ha maturato e che può attivamente trasferire”, commenta.
Ma l’impegno nella valorizzazione delle competenze del lavoratore, spiega Bonomi, non può essere affidato unicamente alle imprese, soprattutto alla luce delle forti diseguaglianze generazionali che caratterizzano il nostro Paese, colpito da un numero di NEET (giovani non impegnati nel lavoro, nella sua ricerca o in percorsi formativi) che è tra i più alti in Europa.
“Il prezzo molto elevato che paghiamo oggi come industrie è quello di un sistema scolastico e universitario e di una formazione professionale non integrata nel quadro di moderne politiche attive del lavoro, che non riescono – se non minimamente – a conferire né ai giovani né a coloro già occupati, le qualifiche che sono essenziali per realizzare al meglio queste sfide”, spiega.
“Come sistema Confindustria siamo da anni impegnati in un pieno coinvolgimento degli ITS, ma continuiamo a restare in attesa di una riforma della formazione pubblica che abbia come punto di riferimento non solo chi ci lavora ma soprattutto chi la frequenta”, aggiunge.
Dal canto loro, le imprese possono e devono puntare sulla certificazione delle competenze come strumento di valorizzazione del lavoratore. Uno strumento che ogni singolo lavoratore potrà valorizzare nei passaggi da un’impresa all’altra, che certifichi le capacità e i risultati ottenuti e che potrebbe consentire all’impresa un accesso preferenziale al mercato dei capitali in un’ottica di sostenibilità ESG.
Sostenibilità che, conclude il Presidente di Confindustria, non deve limitarsi a un’operazione di marketing ma che è e deve essere per le imprese “l’unica dimensione possibile per continuare a crescere”.