Frena la delocalizzazione: in Italia e in Europa, solo il 3% delle aziende sceglie di spostarsi altrove

Secondo l’Istat sta rallentando la tendenza a delocalizzare all’estero le attività aziendali. La riduzione dei costi incide sempre in modo rilevante nelle scelte delle imprese industriali per il trasferimento all’estero.

Pubblicato il 03 Giu 2019

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Si riduce, e di netto, in Italia e in Europa, la tendenza a delocalizzare all’estero attività o funzioni aziendali. Nel triennio 2015-2017, circa 700 imprese, pari ad appena il 3% delle grandi e medie imprese industriali e dei servizi, hanno trasferito in altri Paesi attività o funzioni aziendali prima svolte in Italia (in linea con la media europea), contro il 13% del periodo 2001-2006.

Una tendenza al ridimensionamento della delocalizzazione aziendale che è confermata in tutta Europa: la percentuale di imprese dell’Ue che trasferiscono oltre i confini nazionali attività o funzioni aziendali è passata dal 16% del 2001-2006 al 3% del 2015–2017.

L’internazionalizzazione ha interessato di più le imprese industriali (4%) rispetto a quelle del settore dei servizi (2%), sempre secondo le analisi e i dati Istat. In particolare, nel settore manifatturiero sono le industrie ad alta e medio-alta tecnologia a trasferire di più all’estero, con percentuali pari rispettivamente all’8,5% e al 6,6% del totale (più del doppio della media generale).

La dimensione aziendale e l’appartenenza a Gruppi di impresa rappresentano fattori importanti per questa scelta: delocalizza all’estero il 5,6,% delle grandi imprese contro il 3% delle medie, e il 4,6% delle imprese appartenenti a Gruppi contro lo 0,6% delle imprese indipendenti.

Tra le imprese che hanno delocalizzato all’estero, il 69% ha trasferito attività o funzioni di supporto dell’attività principale, il 43% l’attività principale. Le funzioni più rilevanti trasferite all’estero sono i servizi amministrativi, contabili e gestionali (nel 37% dei casi), il marketing, le vendite e i servizi post-vendita, inclusi i centri assistenza e i Call center (21%) e i servizi informatici e di telecomunicazione (10%).

I fattori che più incidono sulla scelta di trasferire all’estero attività o funzioni aziendali sono la riduzione del costo del lavoro (fattore considerato “importante” dal 62% delle imprese), la riduzione di altri costi d’impresa (49%), e la necessità di concentrare in Italia le attività strategiche di Core business (40%).

I freni al trasferimento, i Paesi scelti

La riduzione dei costi incide sempre in modo rilevante nelle scelte delle imprese industriali per il trasferimento all’estero. In particolare, le industrie manifatturiere ad alta tecnologia ritengono fondamentale la riduzione del costo del lavoro (81% del totale), e la riduzione degli altri costi d’impresa (68%). Nei servizi, in particolare nelle imprese e nelle attività professionali scientifiche e tecniche, è ritenuto importante l’aumento della qualità e lo sviluppo di nuovi prodotti (47%).

Sempre secondo le analisi diffuse dall’Istat, “il principale fattore di ostacolo all’internazionalizzazione, indicato come “importante” da oltre il 30% delle imprese internazionalizzate, riguarda la difficoltà a trasferire personale all’estero”. Seguono gli ostacoli legali o amministrativi, e la necessità di operare a stretto contatto con i clienti (entrambi per il 29% del totale).

Il 60% dei trasferimenti all’estero risulta indirizzato verso Paesi dell’Unione europea, e riguarda soprattutto le funzioni di supporto all’attività principale. Nell’ambito dei Paesi extra-europei, quote significative di trasferimenti sono state realizzate verso l’India (9%), gli Stati Uniti e il Canada (6%), e la Cina (5,6%).

Soprattutto le grandi imprese delocalizzano in Italia

Differenziando le imprese industriali da quelle attive nei servizi, emerge per le prime la destinazione cinese per l’attività principale di produzione di merci (10%) e, per le seconde, quella indiana per le funzioni aziendali di supporto, come i servizi informatici e di telecomunicazione (36%), e le attività di ricerca e sviluppo (20%).

Nello stesso periodo, oltre 1.000 aziende, tra grandi e medie imprese industriali e dei servizi, hanno trasferito in Italia attività o funzioni aziendali prima svolte all’estero. Anche in questo caso, come per l’internazionalizzazione, sono soprattutto le grandi imprese (7%) e le imprese appartenenti a Gruppi (6%) a trasferire attività al di fuori dell’impresa stessa. Nell’industria, il 55% delle imprese dichiara di avere delocalizzato l’attività principale, e il 64% le attività di supporto; percentuali che sono rispettivamente pari a 36% e 97% nei servizi.

Politica economica per il rientro della produzione

Solo lo 0,9% delle imprese censite dall’Istat ha riportato in Italia, nel triennio 2015-2017, attività precedentemente svolte all’estero. Potrebbero influenzare in modo determinante il trasferimento in Italia di funzioni svolte all’estero, nel periodo 2018-2020, la riduzione della pressione fiscale (per l’84% delle imprese), politiche per il mercato del lavoro (79%), politiche di offerta localizzativa (75%), e incentivi per l’innovazione, Ricerca e Sviluppo (71%).

Sono altrettanto importanti, per le imprese industriali, finanziamenti per l’acquisto in macchinari (77%), e per le imprese attive nei servizi politiche per l’offerta di lavoro qualificato, ad esempio Technology skilled workers, specialisti Hi-tech molto qualificati e in linea con le mansioni richieste dalle aziende.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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