nuovi modelli di business

Per la Servitizzazione non c’è solo una strada: vantaggi e sfide dei (tanti) possibili modelli di business

La servitizzazione non è un percorso che si declina nello stesso modo per tutti né deve necessariamente condurre a modelli di business basati sulle logiche “pay per use”. Tuttavia, alla base dei tanti possibili percorsi va sempre considerata la necessità di un cambiamento del modo in cui si genera valore.

Pubblicato il 23 Ott 2023

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Uno dei paradigmi che ha accompagnato l’era di Industria 4.0, e che sta diventando sempre più rilevante, è quello dell’evoluzione dei modelli di business nella direzione della servitizzazione. Si tratta, in realtà, di un paradigma di cui si inizia a parlare, almeno in letteratura, diversi anni prima dell’avvento della Quarta Rivoluzione Industriale, più precisamente negli anni Ottanta, ad indicare uno spostamento del focus delle aziende, prima concentrate unicamente sul prodotto, che iniziano ad arricchire l’offerta con dei servizi basati sul prodotto.

L’Industria 4.0 e la trasformazione digitale sono però dei fondamentali fattori abilitanti per cogliere appieno tutte le opportunità che la servitizzazione porta con sé. Con una differenza: che la trasformazione digitale deve essere abbracciata in toto, se si vuole restare competitivi sul mercato; mentre la servitizzazione può essere approcciata diversamente a seconda dei fattori più determinanti per il proprio business.

Non c’è infatti una sola via per la servitizzazione, ma si tratta di un percorso che ha alla base l’obiettivo di creare nuovo valore per le aziende e che può assumere una diversa forma a seconda delle caratteristiche e degli obiettivi del business.

Di questi temi si è discusso nel corso di una tavola rotonda intitolata “Dalla vendita al servizio, nuovi modelli di Business per i beni strumentali” organizzata recentemente da Acimac, Amaplast e Ucima.

Dal prezzo di vendita al prezzo d’uso o di performance

Una delle principali trasformazioni messe in moto dalla servitizzazione è l’evoluzione del modello costi-ricavi (Capex e Opex) che ha sempre caratterizzato il mondo industriale e che in questo periodo storico diventa sempre più importante, poiché per un sistema come quello italiano basato sulla qualità competere sul prezzo (ad esempio, con le aziende cinesi) non è sempre possibile, a meno che non si vada a ridurre la qualità del prodotto. Ma si tratta di un modello competitivo non sostenibile (poiché non permette davvero alle aziende di creare valore) e in cui le PMI italiane faticano a posizionarsi.

“Il modello industriale ci ha abituati a un modello che parte dal costo dei materiali per arrivare prezzo finale del prodotto, quest’ultimo legato alla capacità dell’impesa di creare valore. Il digitale invece ci spiega che si può spaccare questa equazione e che il prezzo non deve essere per forza figlio del costo: passando da un modello basato sul prezzo a uno basato sulle performance del prodotto, pensando al consumatore, allora si può scoprire un nuovo modo di creare valore – e quindi competitività – basato non più sul prezzo di vendita, ma sul prezzo d’uso o di performance“, spiega Roberto Siagri, Amministratore Delrgato di Rotonium Srl e Docente presso l’Istituto Alti Studi Strategici e Politici.

Questo spostamento del focus dal prezzo di vendita al prezzo d’uso consente di creare valore attraverso la qualità del prodotto e per le PMI italiane, da sempre focalizzate sulla qualità, rappresenta una nuova opportunità per restare competitive sul mercato, grazie sia a un aumento di fatturato che a un aumento di produttività che si accompagna all’aggiunta dei servizi all’offerta ai clienti o attraverso nuovi modelli contrattuali basati sulla servitizzazione.

Attualmente, come vedremo, ci sono già diverse aziende che stanno sperimentando nuovi modelli contrattuali basati non più sul prezzo finale del bene, ma sulle sue performance lungo il suo ciclo di vita. Tuttavia, come analizzeremo più avanti, esistono diversi freni allo sviluppo di un tale scenario. Uno di questi, come spiega Siagri, è rappresentato dal sistema che è alla base del finanziamento alle imprese, che dovrà evolvere per poter permettere di poter ripensare i rapporti all’interno della filiera, e con i clienti, secondo questa logica.

“Se cambia il modello di costo deve necessariamente anche cambiare il modo in cui queste realtà imprenditoriali sono finanziate, perché se il costo verrà recuperato in futuro l’azienda fornitrice si ritroverà piena di debiti. Ad esempio i modelli di servitizzazione vedono spesso la partecipazione di un intermediario che aspetta i flussi futuri dall’azienda cliente e anticipa i flussi futuri per l’azienda fornitrice”, aggiunge.

Come funziona il “pay per performance”? L’esempio di Goglio

Goglio, azienda specializzata in macchine per il packaging e l’imballaggio, è un esempio di azienda già posizionata su questi temi, avendo adottato già con alcuni clienti un modello di “pay per performance”.

Non si tratta di sostituire la vendita del bene con il servizio, ma di trasformare il servizio con un modello che crea una coincidenza di interessi tra fornitore e utilizzatore della tecnologia.

“È un modello in cui la macchina viene venduta al cliente, che coinvolge il costruttore per erogare un servizio sulla propria linea. Questo servizio non viene però più retribuito in base alle ore di manodopera o dei pezzi di ricambio che occorrono per mantenere l’efficienza delle linee, ma sulla base del parametro di efficienza che il sistema della raccolta dati della nostra piattaforma IoT ogni mese raccoglie”, spiega Luciano Sottile, Direttore Generale di Goglio Group. 

Questi modelli vedono anche un cambio nelle relazioni tra cliente e fornitore, poiché entrambi hanno l’interesse che la macchina non si guasti e che fornisca ottime performance: si instaura quindi un rapporto di collaborazione che ruota intorno la qualità del prodotto.

Servitizzazione, quali sono i possibili vantaggi? E quali gli ostacoli?

I vantaggi di questo e altri modelli di servitizzazione si estendono quindi a tutta la filiera. Ma altrettanto estese sono le sfide.

“In rappresentanza dei costruttori di device di automazione (ODM), Anie Automazione si occupa da circa tre anni di promuovere all’interno della sua filiera un dialogo costruttivo e inclusivo sui temi della servitizzazione”, rileva Antonio Parodi, intervenuto all’incontro in rappresentanza di Anie Automazione.

Grazie a tale confronto, l’associazione è riuscita ad individuare cinque principali ostacoli alla diffusione di modelli di business basati sulla servitizzazione, ovvero:

  • limitata conoscenza della servitizzazione all’itnerno di tutta la filiera di fornitori di soluzioni e device di automazione industriale. La mancanza della giusta conoscenza, ma anche della cultura aziendale orientata ad abbracciare le logiche di servitizzazione, che si riscontra soprattutto tra le imprese tecniche, che temono di poter vedere snaturato il proprio modello di business (tradizionalmente incentrato sul prodotto)
  • tema della gestione e della condivisione del dato per poter generare valore
  • necessità di cambiare le logiche alla base del sostegno finanziario alle imprese
  • elevata personalizzazione delle macchine che ne rende difficile la riutilizzabilità, sia a fine vita che per erogaare servizi a più clienti. Sarà quindi necessario ripensare le logiche alla base della progettazione dei macchinari
  • assenza di una definizione della servitizzazione e del suo perimetro

Vi sono poi altri due temi rilevanti che occorre sottolineare quando si parla di ostacoli alla servitizzazione. Il primo tema è quello delle competenze: con l’evoluzione dei modelli di business verso il servizio si accentua l’importanza dei team di vendita e di assistenza, e della rete commerciale tutta, che deve garantire un’elevata attenzione e cura del servizio. Il secondo tema, che si ricollega al primo, riguarda proprio il coinvolgimento dell’intera rete commerciale e quindi anche distributori e installatori.

“Coinvolgere queste figure, seppur necessario, non è risultato sempre facile per le imprese che hanno avviato progetti di servitizzazione, poiché al principio quello che questi attori percepiscono è una perdita di valore e di potere. Bisogna far comprendere che il vantaggio è per tutti, si tratta non solo di un tema tecnologico”, spiega Sottile.

Una parola, tanti possibili modelli di business

Come abbiamo visto, la trasformazione digitale è qualcosa da abbracciare in toto, anche perché essendo un percorso che consente di promuovere efficienza in modo trasversale all’interno dell’organizzazione ed è questo l’obiettivo ultimo delle aziende che scelgono di intraprendere questo percorso.

E se è proprio questa caratteristica che fa della trasformazione digitale un percorso “estremo”, l’azienda customer-centric – dove fornitore e utilizzatore finale perseguono lo stesso obiettivo di qualità – è un qualcosa che può assumere diverse sfaccettature.

“Il fatto che la servitizzazione ci ponga davanti a una customer-centric company fa sì che l’obiettivo non sia più lo stesso per tutti” spiega Anna De Carolis, Ricercatrice e Assistant Professor di Sustainable Manufacturing del Politecnico di Milano.

“Porre il cliente al centro vuol dire empatizzare con lui e quindi capire che l’obiettivo non è sempre lo stesso. Questo fa sì che la stessa azienda possa generare valore in modo diverso a seconda del target dei suoi utenti. Quindi la servitizzazione non comporta necessariamente e unicamente un modello di ‘pay per X’, ma significa individuare il modello di business più efficace”, aggiunge.

Entriamo quindi più nel dettaglio di alcuni dei modelli, più o meno “estremi”, che si possono trovare all’interno del percorso di servitizzazione.

Il primo step per le aziende che hanno già abbracciato modelli di business basati sul servizio consiste proprio nell’offrire servizi basati sul prodotto venduto. Questo avviene, ad esempio, già a livelli più “embrionali” in quei casi dove è lo stesso fornitore del bene a gestire le parti di ricambio necessarie all’utilizzatore. Ma potrebbe decidere, come molti fornitori già fanno, di spingersi un passo più avanti e offrire servizi basati sui dati che provengono dal macchinario connesso: ad esempio, potrebbe decidere di farsi carico della gestione della manutenzione del macchinario e occuparsi quindi del monitoraggio costante delle sue prestazioni, dell’anomaly detection, della sostituzione o riparazione delle componenti che si danneggiano o che risultano usurate.

O ancora, potrebbe farsi carico degli interventi di aggiornamento o retrofit del macchinario, garantendosi così una relazione più lunga e duratura con cliente – quindi flussi più duraturi nel tempo –, fornendo al tempo stesso la possibilità al cliente di usufruire sempre della tecnologia più avanzata e adeguata ai suoi bisogni.

Già da questi esempi è possibile capire che questa evoluzione non comporta una perdita di valore per il produttore, come si potrebbe temere nel passaggio da un modello basato su vendita-acquisto del singolo prodotto a uno basato sui servizi. Questi e altri modelli che analizzeremo hanno alla base, infatti, la conoscenza tecnica che il produttore ha sul macchinario che ha progettato e sviluppato.

La servitizzazione permette di utilizzare questa conoscenza per offrire vantaggi, che si ripercuotono lungo la supply chain. Un’altra opportunità di generare valore, ad esempio, deriva dai servizi di consulenza e formazione che il fornitore del bene può offrire all’azienda utilizzatrice.

Un altro step potrebbe invece consistere, come abbiamo visto, nell’offerta di nuovi modelli contrattuali: il cliente finale non paga più, quindi, il prezzo di acquisto del macchinario, né le ore che gli operatori del fornitori spendono sulla linea per la gestione dello stesso ma potrebbe, come nell’esempio di Goglio sopra citato, pagare un canone legato alle performance del macchinario.

Spingendosi ancora più avanti nel percorso di servitizzazione, altri modelli contrattuali potrebbero prevedere il leasing di macchinari utilizzati per la produzione, in cui l’utilizzatore finale non acquista il macchinario ma lo affitta dal costruttore, oppure potrebbe decidere di adottare un modello “pay per use” dove l’utilizzatore finale non paga il fornitore per la vendita o il leasing del macchinario, ma il canone erogato è calcolato in base al prezzo prodotto.

Questi esempi fanno capire come, anche all’interno dei modelli “pay per X” vi siano diverse opportunità sia per i fornitori di macchine che per l’utilizzatore finale. Come capire quale modello sia più adatto alla propria impresa? Alcuni driver, spiega la ricercatrice, potrebbero essere: il volume di affari, la lunghezza della relazione con il cliente, o con il fornitore, ma anche il tema della gestione del dato, in tutte le sue sfaccettature.

La servitizzazione come abilitatore di sostenibilità

Se, come abbiamo visto, l’approccio altamente sartoriale che caratterizza i costruttori italiani di macchine rappresenta una sfida, la revisione delle logiche alla base della progettazione dei macchinari porta con sé anche una grande opportunità, che nei prossimi anni diventerà sempre più rilevante: promuovere sostenibilità all’interno della filiera industriale.

E, anche in questo caso, può farlo in diversi modi, tra cui:

  • servizi basati sull’economia circolare, come i servizi di manutenzione e riparazione del macchinario/componente guasta o usurata o di ricondizionamento e recupero del prodotto per inserirlo in un altro ciclo di vita
  • migliore smaltimento e riciclo dei macchinari che, nell’economia circolare, tornano al produttore una volta che hanno raggiunto la fine del proprio ciclo di vita. Grazie alla sua conoscenza sul prodotto, il costruttore può sicuramente gestire queste fasi in modo più efficiente rispetto agli utilizzatori finali
  • utilizzo delle componenti del prodotto come materia prima per la fabbricazione di un nuovo prodotto, che consente di risparmiare materie prime preziose
  • sforzi congiunti da parte degli utilizzatori finali e del fornitore del macchinario verso l’efficientamento energetico. I vari modelli di servitizzazione, come quello “pay per performance” mettono la qualità al centro delle preoccupazioni e degli obiettivi dei vari attori di filiera e ciò implica che il macchinario sarà messo sempre in condizione di performare nel miglior modo possibile, anche e soprattutto dal punto di vista energetico
  • riduzione del numero dei macchinari in circolazione grazie a servizi “pay per use” in cui la produzione viene derogata al fornitore del bene, che può utilizzarlo anche per più clienti

“Il tema della della servitizzazione, quindi di una logica della progettazione finalizzata non al prodotto, ma alla performance la durabilità del prodotto, quindi alla gestione dell’asset lungo l’intera ciclo di vita, può portare a delle scelte differenti anche per quanto riguarda le logiche di design e di sviluppo dei prodotti“, spiga De Carolis.

Questo, come abbiamo già menzionato, favorisce l’evoluzione dei network all’interno di una filiera, o la creazione di network nuovi, dove i servizi non sono erogati necessariamente da un singolo attore della filiera, ma possono essere erogati da più attori che però hanno sempre a mente le necessità del consumatore finale in termini di performance e questo deve, necessariamente, coinvolgere anche il tema energetico.

Questi network possono promuovere modelli di business più sostenibili, in diversi modi. Ad esempio, alcuni clienti finali potrebbero non essere interessati al prodotto, ma al servizio che il fornitore può erogare su questo prodotto. In questo caso, si ridurrebbe quindi il numero di prodotti che sarebbe necessario costruire per generare valore, con una conseguente riduzione delle risorse impiegate.

Altra opportunità, spiega la professoressa De Carolis, viene dal cosiddetto Urban Mining, vale a dire la possibilità di estrarre da un prodotto – qualora non sia possibile riutilizzarlo o riutilizzare delle sue componenti – minerali preziosi che poi serviranno per la creazione di nuovi prodotti, recuperando così materie prime importantissime e difficili da reperire.

La servitizzazione è, in conclusione, non un percorso univoco che si declina all’interno delle aziende nello stesso modo. Non deve necessariamente condurre a modelli di business basati sulle logiche “pay per X”, ma può assumere diverse forme a seconda degli obiettivi e dei target dell’impresa.

Tuttavia, alla base dei tanti possibili percorsi di servitizzazione che è possibile intraprendere vi è necessariamente un cambiamento delle logiche legate alla generazione del valore. Il successo di questi percorsi dipende non solo dall’azienda, ma anche dal coinvolgimento degli attori della sua filiera e a deve necessariamente essere accompagnato da un’evoluzione delle componenti che permettono all’impresa di creare valore, dal sostegno finanziario fino alla gestione delle competenze interne.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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