Digital Transformation

Maturità digitale, ecco i risultati dei test somministrati alle imprese dai DIH di Confindustria

Secondo i risultati del Test 4.0 del Politecnico di Milano somministrato dai Digital Innovation Hub di Confindustria a circa duemila aziende la maturità digitale delle imprese italiane è a un buon livello, ma restano differenze per classe dimensionale e barriere allo sviluppo come le competenze, i costi delle tecnologie, la cultura aziendale e l’organizzazione delle filiere

Pubblicato il 19 Lug 2023

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La maturità digitale delle imprese italiane è, in media, a un buon livello: 6 su 10 hanno già sviluppato un prodotto Smart, appunto digitale e interconnesso. E poco meno della metà ritiene adeguata la propria cultura aziendale sui canoni di sviluppo dell’Industry 4.0.

Ma restano ancora non pochi nodi da sciogliere e ostacoli da superare, anche con l’intervento della politica economica nazionale e delle istituzioni: competenze interne disponibili, costi, consapevolezza aziendale, limiti della filiera, sono tra le principali cause che frenano l’ulteriore sviluppo della digitalizzazione.

Sono alcune delle indicazioni che emergono dall’analisi realizzata dai Digital Innovation Hub (DIH) di Confindustria – la rete di centri territoriali che ha l’obiettivo di diffondere le competenze digitali alle imprese – attraverso il Test 4.0 (150 domande) del Politecnico di Milano effettuato su un campione di circa 2mila aziende, composto per il 58% da micro-piccole imprese e per il 42% da medio-grandi.

Nel complesso, secondo i risultati di questa indagine approfondita all’interno della manifattura, la maturità digitale delle imprese tocca quasi la media di 3 (2,85) in una scala da 1 a 5 (massima maturità digitale). Un valore certo non altissimo, ma che indica che molto è stato fatto e si sta facendo rispetto alla situazione di partenza: il (primo) Piano nazionale Industria 4.0 e i Digital Innovation Hub sono nati sei anni fa, nel 2018.

Ma, anche nell’ambito dell’innovazione, la dimensione delle imprese è una variabile molto importante: il livello di digitalizzazione, infatti, aumenta al crescere delle dimensioni, e questo significa che per le imprese più piccole il processo di innovazione è più lento, soprattutto per carenza di competenze. Oltre che spesso anche di risorse finanziarie per fare gli investimenti necessari.

Per oltre il 50% delle imprese, le strategie di Industry 4.0 sono definite dalla proprietà e per il 30% dalla direzione generale, e ciò indica un buon livello di consapevolezza e di guida verso l’innovazione da parte dei vertici.

Le barriere che rallentano ancora la transizione digitale

Ma dall’analisi di queste strategie emergono anche le criticità, che evidenziano come sia ancora necessario rafforzare la cultura aziendale e le competenze per la transizione digitale. Emergono le note dolenti: solo circa il 30% delle imprese considera l’Industry 4.0 una parte integrante e consistente delle proprie strategie aziendali, acquisendo una leadership rispetto ai competitor.

Appena 4 imprese su 10 riconoscono, sviluppano e premiano le competenze di Industria 4.0. Il 60% delle aziende non stimano l’impatto economico-finanziario e operativo di Industry 4.0, e per il 70% i nuovi processi e le attività legati all’Industria 4.0 non coinvolgono gli attori della catena di fornitura interna ed esterna. Insomma, se rispetto a sei o dieci anni fa molto è già stato fatto, la strada da percorrere è ancora lunga.

Competenze, costi, cultura aziendale

Per quanto riguarda i vincoli e le barriere, che limitano l’avvio e lo sviluppo di processi di trasformazione digitale, le imprese indicano: innanzitutto, la mancanza di competenze, che si riscontra in almeno il 43% dei casi; e il costo degli investimenti (42%). Pesano molto anche la cultura aziendale (29% dei casi), l’inadeguata conoscenza del mercato (24%), la scarsa propensione della filiera a integrarsi e la difficoltà a trovare partner esterni (entrambi per il 18% del totale). Altri freni sono poi: scarsa conoscenza degli incentivi (13%), rischio insuccesso (9%), scarsa maturità del mercato (8%), sicurezza (7%), aspetti legali (3%).

“Le imprese sono nel pieno della cosiddetta Twin transition, green e digitale, che sono anche i due grandi driver che guidano gli investimenti e la competitività dell’Italia e dell’Europa, e sono tra loro strettamente connesse”, fa notare Agostino Santoni, vicepresidente di Confindustria per il Digitale.

Che sprona le imprese e tutti gli operatori coinvolti: “per questo è essenziale accelerare sulla digitalizzazione e soprattutto puntare con decisione allo sviluppo di un’Economia dei Dati, che valorizzi l’enorme mole di informazioni raccolte da imprese e pubbliche amministrazioni attraverso l’Internet delle cose, l’Intelligenza artificiale e il Cloud”.

Il Digitale per produrre e fare ricerca

Se si valuta il livello di digitalizzazione delle imprese suddivise per settori emerge che, anche se con piccole differenze, i settori più avanzati (con un indice di poco superiore o vicino a 3 su 5) sono: mezzi di trasporto, mobilità e logistica; ICT, servizi digitali e innovativi; meccatronica e metalmeccanica. Seguono: scienze della vita e farmaceutico; chimica, gomma e plastica; agroalimentare e poi metallurgia. Le imprese di tutti i settori hanno digitalizzato soprattutto le fasi di produzione e di ricerca e sviluppo.

“Lo scenario che emerge dall’enorme lavoro svolto dai DIH di Confindustria indica con molta chiarezza le traiettorie da seguire nella revisione del Piano 4.0 di cui si parla in queste settimane”, sottolinea Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria per le filiere e le medie imprese.

È poi anche evidente la necessità di “accelerare sull’integrazione delle filiere”, rileva Marchesini, “che rappresentano la via italiana per la competitività e la transizione digitale ed ecologica del sistema produttivo: è proprio nelle filiere che tante piccole imprese trovano la strada per crescere. In questo quadro, vista la velocità dell’innovazione tecnologica, è fondamentale continuare a lavorare con una visione chiara, assicurando al sistema produttivo un Piano che ne supporti la competitività e un network di DIH che con il proprio know how continui ad affiancare le imprese in queste sfide”.

Le filiere procedono con il passo del più lento

Il vicepresidente di Confindustria rileva anche che “le filiere produttive procedono con il passo del più lento” e per questo “bisogna aiutare tutti a non restare indietro”.

Allo stesso tempo, le aziende, gli imprenditori e i manager che le guidano fanno i loro progetti e calcoli con un orizzonte di almeno 5 anni, per ciò “bisogna trasmettergli un po’ di stabilità e continuità nei piani di sviluppo”, auspica Marchesini, “e il prossimo Piano nazionale per la digitalizzazione delle imprese deve avere una durata minima di 3-5 anni”.

È in pratica dal primo Piano Industria 4.0 del 2018 che gli imprenditori e Confindustria chiedono al governo misure e provvedimenti non annuali, come una Legge di Bilancio, ma strutturali e di più ampio respiro.

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, collegato in diretta online con l’evento di Confindustria, ha detto che il prossimo Piano Transizione 5.0 è in fase di definizione – per essere approvato verosimilmente all’interno della prossima Legge di Bilancio per il 2024 –, e ha sottolineato che “stiamo lavorando per renderlo un Piano e una misura strutturale”, che vada oltre lo spazio e il tempo di una manovra del governo in carica.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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