POLITICHE PER L'INDUSTRIA

Transizione 5.0, i 10 errori da evitare nel prossimo piano di incentivi

Dopo Industria 4.0, Impresa 4.0 e Transizione 4.0 sarà la volta del Piano Transizione 5.0. In questo articolo spieghiamo che cosa si intende con Transizione 5.0 ed evidenziamo una serie di errori che il decisore politico dovrebbe evitare per garantire il successo del prossimo piano di incentivi.

Pubblicato il 13 Giu 2023

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Dopo Industria 4.0, Impresa 4.0 e Transizione 4.0 sarà la volta del Piano Transizione 5.0. Questo almeno è il nome su cui il Governo ha scelto di puntare per il prossimo piano di incentivi dedicati all’innovazione nell’industria (e non solo).

In questo articolo vedremo che cosa si intende con Transizione 5.0 e proponiamo una serie di possibili errori che il decisore politico dovrebbe evitare per garantire il successo del prossimo piano di incentivi.

Dalle Twin Transitions alla Transizione 5.0

Il legame tra la transizione digitale e quella green è così forte che spesso si parla di questi due fenomeni come Twin Transitions, transizioni gemelle. La Transizione 5.0 è il nuovo modo di chiamare con un’unica parola questa doppia transizione.

L’uso di tecnologie digitali abilitanti, come l’Internet of Things (IoT) e l’Intelligenza Artificiale (AI), può infatti aiutare le aziende a monitorare e ottimizzare i loro processi produttivi, riducendo gli sprechi di energia e di materie prime. Inoltre, la digitalizzazione può aiutare a creare nuovi modelli di business orientati alla sostenibilità che promuovono l’efficienza e la riduzione degli sprechi.

È facile comprendere come un’industria che sfrutti il potere dei dati mettendoli al servizio dell’efficienza, che riduca gli sprechi e sia in grado di produrre tutto e solo quello che viene ordinato, sia di per sé più sostenibile.

Il legame tra le due transizioni è ben rappresentato dal concetto di Industria 5.0, sul quale vi suggeriamo la lettura di questo articolo che spiega in dettaglio quali sono i principi e le tecnologie abilitanti dell’Industria 5.0. In questa sede vi basterà sapere che i pilastri dell’industria 5.0, così come concettualizzati dalla Commissione Europea qualche anno fa, sono tre: Resilienza, Sostenibilità e Umanocentrismo.

Transizione 5.0 è un termine che mette insieme il concetto di transizione e quello del 5.0, nel senso che abbiamo appena spiegato.

Come nasce il passaggio dal Piano Transizione 4.0 al piano Transizione 5.0

I motivi per cui il piano Transizione 4.0 dovrebbe lasciare il passo a un piano Transizione 5.0 non sono però solo di natura concettuale, ma hanno a che fare anche con le risorse che finanzieranno il piano. Su questo punto occorre fare un minimo di ricostruzione storica.

La prima volta che il Governo ha parlato della necessità di rinforzare gli incentivi previsti dal piano Transizione 4.0 risale a fine novembre del 2022. In una lettera inviata agli imprenditori del Digitale riuniti nell’assemblea di Anitec-Assinform, il nuovo ministro delle imprese e del Made in Italy parlò della necessità di agevolare maggiormente i beni immateriali. Eravamo allora in piena Sessione Bilancio, ma appariva già chiara la linea di azione del nuovo Governo: appoggiarsi alle risorse del PNRR per rifinanziare il piano nel 2023 e per rinnovarlo dal 2024.

Appena 4 giorni dopo quell’intervento, il ministro spiegava infatti che il Governo aveva avviato “un’interlocuzione con l’Unione Europea” per rimettere subito in gioco per il 2023 una parte delle risorse del PNRR assegnate al periodo che si conclude nel 2022 non ancora spese. Si parlava allora di un avanzo di quasi 4 miliardi di euro (dei 13,4 disponibili per il piano) che sarebbero serviti a riportare le aliquote dimezzate previste dal gennaio 2023 ai livelli del 2022. Quei 4 miliardi, tuttavia, nel corso delle settimane seguenti si sono progressivamente ridotti, man mano che emergeva come il piano Transizione 4.0 nel periodo d’oro del biennio 2021-2022 aveva funzionato eccome. Sta di fatto che a fine gennaio 2023 lo stesso Urso spiegava che i 13 miliardi assegnati dal PNRR al piano Transizione 4.0 erano esaurite.

Rimaneva a quel punto la seconda carta che il Governo stava giocando: puntare cioè a recuperare le risorse non spese su altri capitoli del PNRR per riportarle sul piano Transizione 4.0 e sugli altri investimenti che stavano dimostrando di funzionare. Operazione però ben più complessa, tant’è che le famose “interlocuzioni” del Ministro Raffaele Fitto con la Commissione Europea sono ancora in corso e i risultati non sono scontati.

Il terzo scenario si apre invece a fine maggio 2023, quando Urso spiega che per ridisegnare il Piano Transizione 4.0 bisognerà sfruttare le risorse del RePowerEU, lo strumento da quasi 300 miliardi che la Commissione ha pensato per incentivare la transizione energetica in risposta alla crisi geopolitica in atto in Ucraina.

Dal punto di vista operativo, le risorse del RePowerEU andranno ad integrarsi con i vari PNRR nazionali. Di qui l’idea del Governo di attingere da queste nuove risorse per lavorare a un nuovo piano di incentivi. Il punto è che il RePowerEU, come abbiamo visto, non è pensato per incentivare la trasformazione digitale, ma per favorire la decarbonizzazione dell’industria, accelerare la diffusione delle energie rinnovabili, aumentare l’efficienza energetica. Di qui l’idea di un nuovo piano Transizione 5.0, che unisca le istanze della transizione digitale e di quella green.

L’idea di un piano Transizione 5.0 sembra inoltre rispondere alle istanze sollevate, a partire già da gennaio di quest’anno, dal presidente degli industriali Carlo Bonomi. Nella sua uscita più recente, il 12 giugno, il presidente di Confindustria ha detto che “Dobbiamo mettere in campo un grande piano di investimenti Transizione 5.0, perché se vogliamo rimanere competitivi rispetto ai grandi poli che ci hanno lanciato una sfida mondiale – cioè Cina e Stati Uniti – noi come Europa, perché non è possibile pensarlo solo come Italia, dobbiamo mettere in campo dei fondi importanti, per stimolare gli investimenti delle imprese in questa direzione”.

Dieci errori da evitare per garantire il successo del piano Transizione 5.0

Il piano Transizione 5.0 sarà dunque un’evoluzione del piano Transizione 4.0 con un focus sulle tematiche green. Ad oggi non è dato sapere quanto profonda sarà la rivisitazione del piano; tuttavia è improbabile che si tratti di un semplice facelift che preveda l’inserimento di qualche merceologia in più tra quelle agevolate, mentre appare più probabile che ci sia una revisione più profonda del piano.

Siamo dunque davanti a un momento di svolta importante che richiede una grande attenzione da parte del decisore politico. Ecco perché abbiamo deciso di riassumere in dieci punti alcuni errori – concettuali o tecnici – che comprometterebbero l’efficacia degli aiuti.

1) Continuare a fare annunci senza agire

A fine 2022 il Governo ha fatto intendere che non sarebbe intervenuto in legge di bilancio per evitare il dimezzamento delle aliquote previsto nel 2023. Questo ha portato a un boom della domanda sul finire del 2022 da parte delle aziende che non volevano perdere l’opportunità di fruire delle maggiori aliquote previste fino al 31 dicembre. L’inizio del 2023 partiva quindi già “scarico” della domanda di chi aveva anticipato gli investimenti. A questo si è aggiunto, come abbiamo visto, l’annuncio di un imminente ripristino delle aliquote 2023 al livello del 2022, annuncio che ha ulteriormente frenato gli investimenti nella prima parte del 2023. Insomma, le aziende che hanno potuto anticipare gli investimenti lo hanno fatto e le altre sono in attesa. Il primo errore da evitare è continuare a fare annunci ai quali non seguono fatti immediati.

2) Approvare un piano di incentivi e tardare nell’attuazione

Una volta che si arrivi all’azione politica, quindi all’approvazione di una legge, occorrerebbe limitare il rinvio di parte della normativa a successivi decreti attuativi. Sono tanti, troppi i casi di misure che non arrivano a concretizzarsi mai o che lo fanno a distanza di anni anziché nei canonici 90 giorni previsti dalla legge. Occorre quindi una governance più attenta a questi aspetti.

3) Mettere le competenze in fondo alla lista delle priorità

A parole sono tutti consapevoli dell’importanza delle competenze per gestire la transizione digitale e green. Nei fatti però ad oggi l’unico incentivo che esisteva – quello della Formazione 4.0 – non è stato rifinanziato. Al di là di questo, quando si tratta di offrire un supporto ad investimenti in innovazione, è fondamentale prima aiutare imprenditori e manager a comprendere perché quelle innovazioni servono; e poi offrire loro gli strumenti per acquisire le tecnologie necessarie (e ovviamente formare il personale operativo). Invertire l’ordine logico delle cose – o peggio ancora rinunciare a fare awareness – è un errore che può compromettere significativamente la riuscita anche del migliore dei piani di incentivazione.

4) Puntare solo sui fondi europei

Le risorse del PNRR e del RePowerEU sono sicuramente un’opportunità da non perdere. Tuttavia un Paese che abbia le idee chiare su quello che occorre al proprio sistema industriale dovrebbe avere il coraggio di mettere in gioco anche risorse proprie. Tutti gli studi hanno dimostrato che gli incentivi non portano benefici solo a chi ne fruisce, ma migliorano produttività (e PIL) dell’intero sistema Paese. In altre parole, degli incentivi ben concepiti rappresentano un investimento per lo Stato e non un costo “a perdere”.

5) Rinunciare all’automatismo delle misure

Il piano Industria 4.0, poi Impresa 4.0, oggi Transizione 4.0 si sono basati prima sul meccanismo della maggiorazione degli ammortamenti e poi su quello dei crediti d’imposta. Queste agevolazioni sono ad accesso automatico, cioè non condizionato a una domanda e a una valutazione. Di recente però sta tornando in auge il richiamo delle agevolazioni selettive, che portino gli incentivi verso quegli investimenti che dimostrino di centrare gli obiettivi per i quali le agevolazioni sono state create. La filosofia è certamente condivisibile; tuttavia occorre considerare che un meccanismo di selezione e valutazione degli investimenti in luogo dell’automatismo ridurrebbe di parecchio la platea dei beneficiari. Si finirebbe inoltre per favorire solo quelle realtà più strutturate, in grado di gestire la complessità di un bando o, peggio ancora, di un click day.

6) Utilizzare solo lo strumento dei crediti d’imposta

Un altro errore da evitare è pensare che un solo strumento – oggi quello del credito d’imposta – sia buono per tutti gli obiettivi. Siamo sicuri che, per esempio, per incentivare le attività di formazione non sia invece meglio un voucher? E perché non recuperare la buona esperienza degli Innovation manager?

7) Ragionare solo sul breve termine

Finora i piani di incentivazione per gli investimenti in innovazione 4.0 sono andati avanti con un orizzonte temporale di breve respiro: annuale o comunque molto limitato nel tempo. Questo naturalmente ha una logica, nel momento in cui il compito dell’incentivo è di favorire con aliquote molto elevate per un breve periodo un boost immediato alla domanda di innovazione tecnologica. A metà 2023, tuttavia, possiamo considerare raggiunto e superato questa fase. La partita ora si gioca su un altro versante: raggiungere un numero maggiore di beneficiari, soprattutto nel mondo delle PMI, e offrire supporto alle aziende che hanno appena iniziato un percorso di digital transformation ma non ne stanno cogliendo appieno i benefici. Ecco perché occorre combinare incentivi di breve termine e incentivi strutturali, secondo una logica che guardi al fine e quindi decida lo strumento più adatto.

8) Avere un sistema di monitoraggio e valutazione lento

Se il Governo non dispone di un sistema efficace per monitorare l’utilizzo degli incentivi e valutare i risultati ottenuti, potrebbe non essere in grado di apportare eventuali correzioni e migliorare il regime di incentivi. Purtroppo l’attuale meccanismo basato sulle dichiarazioni dei redditi e sulle comunicazioni annuali consente di fatto di avere un consuntivo credibile sull’efficacia dell’incentivo solo quando è troppo tardi per rimediare.

9) Agire come un’Idra a più teste

Non sempre le diverse amministrazioni dello Stato agiscono in maniera coordinata. Sono purtroppo frequenti i dissidi tra chi ha la gestione del “borsellino” (il MEF) e chi invece vuole disporre di quei denari (i vari ministeri). Ma è anche il caso che si verifica quando vediamo in azione chi si occupa dei controlli a posteriori, come l’Agenzia delle Entrate, che spesso si muove senza unione d’intenti con chi ha messo a disposizione le risorse. Lo Stato rischia quindi di comportarsi come un mostro dalle molteplici teste che con una mano vuole dare e con l’altra vuole riprendere.

10) Tenere in piedi troppi incentivi

Sembra un paradosso, ma anche quando si parla di agevolazioni il troppo non giova. In particolare l’errore da evitare è l’eccessiva frammentazione degli incentivi, cioè distribuire le risorse in tante piccole misure. Questo errore ha due conseguenze nefaste: la prima è che la dispersione in un rivolo di incentivi sottrarrebbe risorse agli incentivi più efficaci; la seconda è che potrebbe essere difficile per le imprese capire quali incentivi sono disponibili e come accedervi. Un approccio più efficace è invece quello che si concentri su poche misure significative e ben mirate, in grado di coprire diverse aree dell’industria e di incentivare l’innovazione, la produttività e la creazione di posti di lavoro. Naturalmente questo richiede delle scelte e di conseguenza la capacità del Governo di gestire il disappunto delle categorie meno favorite.

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Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

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