La rapidità con cui l’intelligenza artificiale sta rimodellando economia e società non ha precedenti, superiore, per impatto e velocità, persino alla rivoluzione di Internet. A parlare, con una visione che mescola un ottimismo quasi sconfinato a timori profondamente radicati, è Sam Altman, chairman e CEO di OpenAI, l’organizzazione che con il lancio di ChatGPT ha di fatto aperto le porte di questa nuova era al grande pubblico.
Durante un recente intervento a un evento organizzato dalla Fed (la Federal Reserve Bank statunitense), Altman ha proposto la sua visione di un futuro già presente in cui l’intelligenza artificiale sta diventando una commodity a costo quasi nullo, ma che porta con sé rischi di una portata tale da richiedere una riflessione immediata e globale. Un’analisi che si addentra nelle pieghe più complesse della trasformazione del lavoro, dell’educazione e degli equilibri geopolitici, fino a identificare tre categorie di minacce concrete che, a suo dire, il mondo non sta ancora prendendo con la dovuta serietà.
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Una trasformazione senza precedenti, come fu con il transistor
Per comprendere la portata del cambiamento in atto è necessario abbandonare i vecchi paradigmi. Solo cinque anni fa, l’intelligenza artificiale era ancora relegata alle discussioni accademiche, un concetto per addetti ai lavori che ne ipotizzavano l’avvento in un futuro distante. Anche a ridosso del lancio di ChatGPT, nel novembre del 2022, la percezione non si era spostata molto oltre la cerchia della Silicon Valley. Da quel momento, però, la progressione è stata esponenziale. Altman evidenzia come i modelli di OpenAI abbiano raggiunto traguardi ritenuti irraggiungibili solo pochi anni fa, come la performance di livello “oro” alle Olimpiadi Internazionali di Matematica, un’arena che rappresenta l’apice dell’intelletto umano specializzato.
L’impatto economico di questo progresso si manifesta attraverso un abbattimento dei costi del lavoro intellettuale che non ha eguali nella storia recente. Altman racconta un aneddoto personale illuminante: un compito di programmazione per l’automazione domestica, che prima avrebbe richiesto giorni di lavoro a un professionista, è stato completato in cinque minuti da uno dei suoi modelli di nuova generazione, con un costo computazionale inferiore al dollaro. “Non ricordo nulla che sarebbe costato 10.000 dollari di lavoro intellettuale un anno fa e oggi costi 10 centesimi”, afferma, sottolineando la discontinuità rispetto alla rivoluzione di Internet.
La migliore analogia storica per l’AI, secondo Altman, non è la rivoluzione industriale o quella informatica, ma la scoperta del transistor. Come il transistor anche l’IA è una scoperta scientifica che ha richiesto un grande lavoro per arrivarci ma relativamente semplice da comprendere e con un potenziale di trasformazione economica che si diffonde capillarmente in tutta la società. Il transistor è diventato una componente invisibile e onnipresente dei nostri dispositivi; allo stesso modo, l’IA smetterà presto di essere un settore a sé stante. Non parleremo più di “aziende di AI”, ma daremo per scontato che ogni prodotto e servizio che utilizziamo sia intrinsecamente intelligente. Le leggi di scalabilità che governano l’IA, simili alla Legge di Moore per i transistor, garantiscono anni di progresso quasi certo, con il costo per unità di intelligenza che continua a diminuire di oltre dieci volte ogni anno. Siamo, di fatto, sulla soglia di un’era di “intelligenza troppo economica per essere misurata”, una promessa che la società non riuscì a mantenere per l’elettricità ma che oggi appare a portata di mano.
Il futuro del lavoro e la natura umana
Di fronte a una forza così dirompente l’interrogativo sul futuro del lavoro diventa ineludibile. La visione di Altman rifugge tanto i catastrofismi quanto le utopie. Il creatore di ChatGPT ammette con onestà che il sistema è troppo complesso e la tecnologia è troppo nuova per fare previsioni certe. È certo che intere categorie di impieghi scompariranno, come è già evidente nel campo dell’assistenza clienti, dove i bot conversazionali offrono un’efficienza e una precisione che l’interazione umana raramente eguaglia. Ma al contempo nasceranno professioni oggi inimmaginabili.
Il fulcro della sua argomentazione risiede però in una profonda fiducia nella natura umana. “Non si può combattere la biologia”, afferma. Le pulsioni fondamentali che ci animano, il desiderio di essere creativi, di sentirsi utili agli altri, di partecipare a giochi di status, non verranno cancellate dalla tecnologia. Come dopo ogni grande trasformazione tecnologica, dalla calcolatrice a Google, l’umanità non ha smesso di lavorare; ha semplicemente alzato l’asticella delle proprie ambizioni e delle proprie aspettative. I nuovi strumenti non ci hanno reso oziosi, ma ci hanno permesso di affrontare problemi più complessi.
I programmatori informatici, oggi dieci volte più produttivi grazie all’IA, vedono i loro stipendi aumentare, non diminuire, perché la domanda di software è cresciuta in modo esponenziale.
I medici, pur potendo contare su sistemi diagnostici superiori, non verranno sostituiti, perché i pazienti continueranno a cercare il conforto, la fiducia e l’empatia di un altro essere umano. Il ruolo del medico cambierà, si evolverà in quello di un professionista aumentato, capace di prendere decisioni migliori grazie a strumenti potentissimi, ma il suo valore umano resterà centrale.
Questa dinamica, secondo Altman, si ripeterà in innumerevoli settori. Le persone continueranno a lamentarsi di lavorare troppo, anche in un mondo di una ricchezza e di un lusso che oggi ci parrebbero fantascientifici, perché è proprio questa continua ricerca di scopo a definire la nostra specie.
L’istruzione di fronte alla sfida più grande
Se il lavoro si trasforma, l’educazione deve fare altrettanto. Su questo punto, l’analisi di Altman si fa particolarmente critica. Racconta la reazione iniziale del mondo scolastico all’avvento di ChatGPT: un panico generalizzato che ha portato a divieti indiscriminati, nel timore che gli studenti usassero lo strumento per imbrogliare. Una reazione istintiva, identica a quella che accolse la calcolatrice e, più tardi, i motori di ricerca.
Ma dopo una breve fase di proibizionismo molti educatori e amministratori hanno compreso l’errore. Hanno capito che bandire l’IA dalle scuole significava negare agli studenti lo strumento più potente mai creato per l’apprendimento e condannarli a una futura non competitività.
Il problema, osserva Altman con una punta di delusione, è che a questa presa di coscienza non ha fatto seguito un cambiamento strutturale altrettanto rapido. I programmi scolastici sono rimasti in gran parte immobili, impantanati nelle “melasse del sistema educativo”. Si continuano ad assegnare saggi da svolgere a casa, un metodo di valutazione reso obsoleto da una tecnologia che può produrli in pochi secondi.
La vera sfida per l’istruzione non è impedire l’uso dell’IA, ma integrarla. Bisogna ripensare la didattica, lavorare su quelle funzioni che non possano essere svolte senza l’IA e alzare le aspettative. Gli studenti devono imparare a usare questi strumenti per pensare in modi nuovi, per analizzare, per creare. Devono essere addestrati per il mondo in cui vivranno da adulti, un mondo in cui l’intelligenza artificiale sarà onnipresente e potentissima. Non prepararli a questa realtà, conclude Altman, significa mancare completamente il bersaglio della missione educativa.
I tre timori di Altman: avversari, perdita di controllo e dominio accidentale
L’enorme potenziale dell’IA è controbilanciato da rischi altrettanto grandi. Altman li raggruppa in tre categorie distinte, delineando uno scenario che merita la massima attenzione.
La prima minaccia è quella dell’attore malintenzionato: che un avversario, sia esso uno stato o un’organizzazione terroristica, riesca a sviluppare per primo una superintelligenza e la utilizzi per scopi malevoli prima che il resto del mondo abbia i mezzi per difendersi. Gli esempi sono da film apocalittico, ma tecnicamente plausibili: la progettazione di un’arma biologica, un attacco paralizzante alla rete elettrica, il collasso del sistema finanziario globale. Altman avverte che le capacità di questi modelli in campi come la biologia e la cybersecurity stanno crescendo a un ritmo allarmante e che il mondo, a suo parere, non sta prendendo questo pericolo con la necessaria serietà.
La seconda categoria è la perdita di controllo, lo scenario classico della fantascienza in cui l’IA sviluppa una propria coscienza e si ribella ai suoi creatori. Sebbene Altman lo consideri un rischio grave, lo ritiene meno immediato e probabile del primo, grazie al lavoro che si sta facendo sull’allineamento dei modelli ai valori umani.
È la terza categoria, però, quella che Altman descrive come la più difficile da immaginare e, forse, la più spaventosa: il dominio accidentale. In questo scenario, l’IA non diventa mai malevola. Non “si sveglia”. Semplicemente diventa così integrata, così efficiente e così incomprensibilmente più intelligente di noi da prendere di fatto il controllo della società senza che nessuno se ne accorga. L’analogia con gli scacchi è potente. Dopo la vittoria di Deep Blue su Kasparov, per un breve periodo la combinazione uomo-macchina era superiore alla macchina da sola. Ma bastarono pochi mesi perché l’IA diventasse così forte da rendere l’intervento umano solo un intralcio.
Questo fenomeno, traslato su scala sociale, ha risvolti inquietanti. Altman parla di una “eccessiva dipendenza emotiva” già osservabile nei giovani, che si affidano all’IA per ogni decisione. E pone una domanda fondamentale: cosa succederà quando un presidente non potrà prendere una decisione migliore di quella suggerita da un’IA, senza però poterne comprendere appieno le ragioni? In quel momento, anche senza alcuna intenzione malevola, la società avrà ceduto una parte significativa del suo processo decisionale a un sistema che non comprende più.
Un livellamento globale e la trasformazione della finanza
Nonostante i timori la visione di Altman per il futuro è anche carica di promesse, specialmente per l’equilibrio globale. Il fondatore di OpenAI Vede l’IA come un “fenomeno di livellamento”, se vogliamo democratizzazione, di portata storica.
Nei paesi in via di sviluppo, dove l’accesso a servizi essenziali come l’assistenza sanitaria, l’istruzione o la consulenza finanziaria è limitato o assente, l’IA non sostituisce un professionista umano, ma riempie un vuoto. L’alternativa a un “medico ChatGPT” non è un medico in carne e ossa, ma il nulla. Questo, secondo Altman, potrebbe portare a trasformazioni economiche rapidissime in quelle aree del mondo, che salteranno intere generazioni tecnologiche per approdare direttamente a un’economia basata sull’IA.
Anche nei mercati sviluppati, la trasformazione sarà profonda. Al tavolo della Fed, Altman non può non riferirsi al settore finanziario, che si pensava avrebbe tardato ad adottare l’AI perché considerato troppo rischioso e che si è rivelato sorprendentemente innovativo. Istituzioni come Morgan Stanley e Bank of New York sono già partner importanti di OpenAI e stanno utilizzando l’IA per processi critici. Nei prossimi dieci anni, secondo Altman, il modo in cui muoviamo il denaro, forniamo consulenza finanziaria e valutiamo il rischio sarà completamente diverso, grazie a modelli di ragionamento sempre più robusti e affidabili. La sfida, in questo caso, sarà trovare il giusto equilibrio tra la necessaria regolamentazione e la tolleranza al rischio indispensabile per non soffocare l’innovazione.