ESG

Gestione circolare rifiuti, perché è una risorsa in ottica ESG

La digitalizzazione offre un supporto cruciale per ottimizzare la gestione circolare dei rifiuti e migliorare le performance ambientali, ma servono dati affidabili e nuove logiche di ecosistema. Ne parliamo con Camilla Colucci, Co-Founder e CEO di Circularity

Pubblicato il 10 Ott 2023

Circularity Point of View
gestione circolare rifiuti

La gestione del fine vita dei materiali è un capitolo essenziale – e impegnativo – dell’operatività aziendale. Logiche economiche proprie, procedure tecniche ad hoc e normative ambientali stringenti rendono notevole il peso che grava sulle imprese, ma oggi sono anche altre le esigenze che stringono la morsa.

Sostenibilità, efficienza ambientale ed energetica, target ESG: pochi altri ambiti si avventurano così tanto a fondo nell’inesplorato campo della transizione ecologica. Ne consegue che le imprese si ritrovano a fare i conti non solo con esigenze legislative e procedurali, ma anche con questioni di valore che contribuiscono a costruire l’identità aziendale agli occhi degli stakeholder, dei consumatori e del mercato.

Come muoversi, dunque, per migliorare le proprie performance ESG grazie alla gestione rifiuti? E in che modo sfruttare al meglio la tecnologia a questo scopo? Il primo passo è innanzitutto culturale.

Gestione circolare rifiuti, il primo passo è la cultura aziendale 

L’impresa deve infatti superare l’idea che lo scarto rappresenti solo un “problema da risolvere” e abbracciare una visione nuova, che lo interpreta invece come “risorsa da valorizzare”. Si tratta di un passaggio tutt’altro che banale, che comporta conseguenze operative e strategiche di varia natura, a partire dal rapporto con partner e fornitori sino allo sviluppo di nuove capacità analitiche e di reporting.

Secondo Camilla Colucci, CEO di Circularity, start up innovativa e società benefit dedicata all’economia circolare, la digitalizzazione è un tassello cruciale dello scenario. Disporre di dati puntuali è infatti il punto di partenza per ottimizzare la gestione rifiuti in ottica ESG, ed è da qui che è necessario partire per disegnare un’operatività più sostenibile.

“Pensiamo ad esempio alla possibilità di accedere alle informazioni sui propri fornitori. Quali tecnologie utilizzano? In che percentuale, dopo lo stoccaggio, i rifiuti conferiti vengono cerniti e riciclati, oppure inviati a termovalorizzazione o in discarica? La circolarità del sistema deve basarsi a mio avviso su dati puntuali che le aziende dovrebbero poter valutare per scegliere i fornitori per il conferimento degli scarti industriali, misurando anche l’impatto ambientale della filiera”, spiega Colucci.

Quindi qual è il corretto approccio con cui un’azienda impegnata sul fronte ESG deve affrontare la gestione circolare dei rifiuti?

 “Le imprese sono già tenute a rendicontare la gestione dei rifiuti adempiendo alla normativa vigente: questo consente di avere contezza sul trasporto e sulla destinazione degli scarti. Su questo fronte, considerando che il rifiuto è un costo per le aziende, la maggior parte tende ad avere un atteggiamento “conservativo”, affidandosi a partner abituali scelti in base al minor costo del trattamento senza (quasi mai) valutare le loro performance ambientali.”

Colucci continua: “In ottica di economia circolare, si possono attivare anche tante altre iniziative interne all’azienda che vadano a completare il quadro, ad esempio puntando sull’eco-design dei processi che miri alla realizzazione di prodotti pensati per essere riciclati o riutilizzati nelle loro componenti, o alla riduzione dei rifiuti, oppure sulla gestione più efficiente degli scarti attraverso la differenziazione o il riutilizzo interno. In tutto questo, poi, si inserisce un ragionamento di filiera che rappresenta la parte più innovativa di una strategia di circolarità: l’efficienza di un prodotto a livello di circolarità deriva anche dal tipo di gestione del rifiuto messa in atto anche nella supply chain. Ne consegue che il corretto approccio alla gestione circolare dei rifiuti, al di là delle azioni interne, comprende anche l’attuazione di policy che guardino all’ecosistema. Per avere successo in ambito ESG, l’azienda è chiamata quindi a scegliere fornitori efficienti, che garantiscano la più alta percentuale di riciclo o recupero possibile”.

Ma quali strumenti e quali requisiti bisogna avere per essere certi di avere a che fare con i partner giusti?

 “In genere le aziende non fanno questo perché basano le loro partnership solo sul prezzo, facendo un’analisi e mettendo in competizione potenziali fornitori per la gestione dei rifiuti. In pratica, se un’azienda produce 10.000 tonnellate di imballaggi misti all’anno, metterà a gara quel quantitativo per cercare il fornitore che lo gestisca al minor prezzo”.

E invece bisognerebbe andare oltre…

“Sì, bisognerebbe considerare il punto di vista ambientale, valutando i fornitori anche per la loro efficienza nel recupero scarti. Faccio un esempio: Ikea è molto avanti sulla sostenibilità e sull’economia circolare e qualche anno fa ha indetto una gara in cui indicava una serie di parametri ambientali che voleva che il suo fornitore rispettasse per il servizio di gestione scarti. Si parlava ad esempio di misurazione dell’impatto ambientale del trasporto o di destinazione dello scarto, richiedendo che il conferimento avvenisse in impianti con determinate caratteristiche, che permettessero il recupero e il riciclo”.

Colucci prosegue: “Della propria efficienza di recupero oggi gli impianti non sono tenuti a dare riscontro ai propri clienti, a meno che non partecipino a una gara. In pratica non sono obbligati a garantire una percentuale minima di riciclo, e questo dimostra come l’esempio di aziende virtuose che invece lo pretendono rappresenti una svolta importantissima. Insomma, se l’azienda sceglie un impianto di gestione del rifiuto in base alle sue performance ambientali, è evidente che gli impianti che mirano a quel cliente si dovranno adeguare. E questo finisce per creare un circolo virtuoso”.

Gestione circolare rifiuti, la tecnologia che serve 

Realtà o utopia? Al momento, nonostante i rari casi, una trasformazione tanto radicale sembra ancora lontana: scegliere fornitori sostenibili dipende totalmente dalla buona volontà e dal grado di maturità delle imprese, perché la trasparenza sulle reali performance ambientali degli impianti è tutt’altro che scontata. Solo una spinta legislativa può imprimere il vero cambio di marcia e iniziare a prepararsi a questo – auspicabile – scenario non è un azzardo. La leva su cui agire resta però sempre la stessa: l’innovazione tecnologica.

La Circularity Platform, pezzo forte dell’offerta ESG di Circularity, in questo senso fa scuola: consente di valorizzare gli scarti superando la narrativa che mette al centro l’indice di circolarità, ovvero il dato di performance che viene misurato sulla base dei rifiuti effettivamente riciclati e non solo su quelli “avviati al riciclo”.

“Il nostro obiettivo è rendicontare queste informazioni”, spiega la CEO, “e lasciarci alle spalle il gap informativo che non ci permette di avere contezza del reale fine vita dei nostri rifiuti. Con il supporto di questi dati, ricavabili dagli impianti di riciclo, Circularity mira a fotografare la realtà nel modo più affidabile possibile grazie alla Circularity Platform, la piattaforma georeferenziata di monitoraggio che unisce l’applicazione di modelli di calcolo avanzati – per la classificazione degli operatori in base a parametri ambientali – e sistemi di geolocalizzazione che consentono la tracciabilità dell’intera filiera dei rifiuti, dei sottoprodotti e dei materiali End of Waste (EoW)”.

Gestione circolare rifiuti: innovazione e R&S sono le chiavi del futuro 

L’innovazione IT applicata alla materia è la vera chiave di volta per l’economia circolare”, conclude Colucci, ricordando che sulla piattaforma sono anche presenti piccole realtà innovative, nate da programmi accademici di ricerca e sviluppo, spin-off universitari e progetti di dottorato su cui si innesterà l’evoluzione tecnologica del sistema industriale del Paese.

“Iniziative che promettono di dare supporto e risolvere criticità – fa notare Colucci – ad esempio colmando i gap tecnologici che caratterizzano comparti come il tessile, per il quale oggi mancano ancora tecnologie industriali deputate al riciclo”.

L’attenzione è rivolta anche ai fondi PNRR destinati alla transizione ecologica e, in particolare, all’economia circolare. Una torta, non esageratamente generosa, da spartire fra aziende interessate a sviluppare nuovi poli industriali, nuovi impianti di riciclo e tecnologie innovative dedicate alla gestione di certi tipi di materiale.

Ma il plafond è destinato a non bastare. E allora lo sguardo si posa anche sullo sforzo del privato: le aziende che comprenderanno l’importanza della partita e sceglieranno di investire per arrivare ad internalizzare e ampliare le tecnologie destinate a fare la differenza. Quelle potenzialmente disruptive, ma non sufficientemente “ricche” da scalare il mercato.

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