Di Maio: no al Ceta. Ma gli imprenditori sono favorevoli

Pubblicato il 14 Lug 2018

Ceta

Il Ceta, il trattato di libero scambio tra Canada e Ue, entrato in vigore il 21 settembre dello scorso anno e in fase di ratifica da parte dei paesi europei, sarà respinto dal Parlamento italiano. “Il trattato scellerato” come lo ha definito il vicepresidente del consiglio Luigi Di Maio non entrerà mai in vigore.

Per l’annuncio Di Maio ha scelto non a caso l’assemblea di Coldiretti, l’associazione dei coltivatori che più si è battuta per il fallimento dell’accordo. “Ancora una volta il settore agroalimentare è stato merce di scambio nelle trattative internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale” è l’opinione di Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, che oltre al Ceta ha nel mirino anche le sanzioni contro la Russia (un tasto sul quale ha già battuto più volte Salvini) che hanno causato perdite per un miliardo al settore e favoriscono anche lo sviluppo dell’italian sounding, i prodotti che imitano solo nel nome il made in Italy alimentare. Sempre Moncalvo spiega che il rifiuto del Ceta è motivato dalla difesa “del patrimonio agroalimentare nazionale contro un accordo sbagliato e pericoloso per l’Italia contro il quale si è sollevata una vera rivolta popolare”.

Le ragioni del no: “Il Ceta legittima la pirateria”

Per Coldiretti il Ceta “legittima in un trattato internazionale la pirateria alimentare a danno dei prodotti Made in Italy più prestigiosi, accordando esplicitamente il via libera alle imitazioni che sfruttano i nomi delle tipicità nazionali, dall’Asiago alla Fontina dal Gorgonzola ai Prosciutti di Parma e San Daniele, ma può anche essere liberamente prodotto e commercializzato dal Canada falso Parmigiano Reggiano con la traduzione di Parmesan”. Non a caso, conclude, in netta controtendenza all’aumento fatto registrare sui mercati mondiali, le esportazioni di Parmigiano Reggiano e di Grana Padano in Canada sono diminuite in valore dell’10% nel primo trimestre del 2018, quello successivo all’entrata in vigore in forma provvisoria dell’accordo. L’arrivo del grano, del manzo e delle carni suine canadesi che utilizzano metodi di produzione vietati in Italia e la difesa dei piccoli produttori, sono le altre ragioni che spingono gli agricoltori verso il no all’accordo.

La posizione di Confindustria e Assolatte

Il rifiuto della ratifica del Trattato trova però la ferma opposizione di gran parte degli imprenditori anche del settore alimentare. Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia parla di “grave errore” e spiega che all’Italia il Ceta conviene “perché siamo un Paese ad alta vocazione all’export e attraverso l’export creiamo ricchezza”. Ancora più dura la posizione di Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, l’associazione lattiero-casearia che rappresenta un settore da 14,5 miliardi di euro di fatturato e oltre 100mila lavoratori. “E’ una follia”, tuona, perché sostiene che il Ceta come tutti gli accordi è migliorabile “Ma cancellare otto anni di lavoro che hanno portato al riconoscimento di 11 dei nostri formaggi Dop e Igp più importanti, all’abbattimento delle barriere e all’azzeramento di dazi è un nonsense. Non ci porterà alcun vantaggio, non certo nel settore lattiero-caseario”.

Non solo formaggi

Il settore dei formaggi vale circa 50 milioni di fatturato che valgono appena lo 0,91% dell’interscambio commerciale fra Italia e Canada. Inoltre il Ceta, sigla di Comprehensive economic and trade agreement, prevede l’abbattimento dei dazi, la semplificazione degli investimenti fra Canda e Ue e la tutela dei prodotti agroalimentari che prima non esisteva. Questo significa che fra i 39 prodotti italiani che ora saranno più protetti ci sono anche alcuni formaggi.

L’Italia è poi il primo paese europeo per esportazioni di formaggi verso il Canada con i formaggi che rappresentano il 23% dell’import caseario canadese totale. Stiamo parlando soprattutto di Dop come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Pecorino Romano e Asiago che da soli più del 90% del totale esportato in Canada. Nel 2017 le vendite di formaggi tricolori nel paese della foglia d’acero sono aumentate del 5% in quantità e del 13% a valore e la crescita è proseguita nel primo trimestre 2018.

Più export che import

Altro fattore che rende problematico il respingimento dell’accordo è il legame che l’Italia ha con il Canada dal punto di vista commerciale. Secondo i dati canadesi, il Paese guidato da Trudeau ha importato nel 2017 beni per 8,1 miliardi di dollari, contro 2,3 miliardi di dollari di merci arrivate in Italia. Si tratta per il 40% circa di macchinari, pezzi e motori per veicoli e bevande.

In più, le stime della Ue dicono che il potenziale aumento delle esportazioni europee verso il Canada è del 20% e, dopo l’entrata in vigore provvisoria del trattato che ha visto però l’abolizione dei dazi, l’Italia ha aumentato l’export dell’8% e le importazioni di grano canadese sul mercato italiano sono crollate del 47%.

Le stime dicono che, se la conferma dell’aumento dell’export fosse confermata, in un anno le aziende italiane potrebbero fatturare 400 milioni di euro che valgono anche ottomila posti di lavoro in più. Se invece la decisione del governo venisse confermata dal Parlamento il trattato, già approvato da 11 Paesi, non entrerebbe in vigore nella Ue e i dazi sarebbero ripristinati.

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Luigi Ferro

Giornalista, 54 anni. Da tempo segue le vicende dell’Ict e dell’innovazione nel mondo delle imprese. Ha collaborato con le principali riviste del settore tecnologico con quotidiani e periodici

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