Il capitale umano investimento cruciale per innovare il mondo (senza spaccarlo)

Per stare al passo con i cambiamenti nel mondo del lavoro, l’investimento più sicuro per persone, imprese e governi rimane il capitale umano. Ma serve un nuovo contratto sociale aggiornato ai cambiamenti dell’economia e della società 4.0, con regole per il mercato del lavoro e politiche fiscali adeguate. Visione, proposte e strategie del World Development Report.

Pubblicato il 06 Apr 2019

La copertina del Rapporto sullo Sviluppo Mondiale 2019. Immagine dall'opera 'La realizzazione di un affresco che mostra la costruzione di una città' (Diego Rivera, 1931)

Realizzare un nuovo contratto sociale, tra Stato e cittadini, aggiornato ai cambiamenti dell’economia e della società 4.0. Aumentare la produttività, attraverso le tecnologie e l’innovazione. Creare regole del mercato del lavoro e politiche fiscali adeguate. Migliorare la protezione sociale, con un livello minimo garantito e universale di assistenza e tutele.

E poi, il fulcro essenziale di tutto: investire in capitale umano. Perché, per stare al passo con le trasformazioni in atto, per gestire il presente e il futuro, l’investimento più sicuro per persone, imprese e governi rimane il capitale umano, le persone, i lavoratori.

Il World Development Report 2019, il Rapporto sullo Sviluppo mondiale, messo a punto dagli economisti e analisti della Banca Mondiale, traccia il percorso da seguire per innovare l’economia, le aziende, la società, creando più sviluppo e meno squilibri. In pratica, indica la strada per innovare il mondo senza spaccarlo.

I vantaggi del progresso tecnologico sono molteplici, per l’economia e le imprese: ad esempio, con le tecnologie digitali, le aziende possono espandere rapidamente le proprie attività, ben oltre i confini nazionali, rivoluzionando i tradizionali assetti produttivi. Nuovi modelli imprenditoriali, come le piattaforme digitali, si trasformano rapidamente da Startup locali di successo a colossi globali, avvalendosi spesso di pochi dipendenti e capitale limitato.

Rispetto alle aziende tradizionali, le piattaforme digitali si sviluppano più velocemente e a costi inferiori. Il colosso dell’arredamento low-cost Ikea, per fare un esempio tra i tanti, fondato nel 1943, ha impiegato quasi 30 anni prima di intraprendere la sua espansione in Europa. Solo dopo oltre sette decenni, ha raggiunto un fatturato globale annuo pari a 42 miliardi di dollari.

Con la tecnologia digitale, il conglomerato cinese Alibaba, tra eCommerce e servizi Hi-tech, è stato in grado di raggiungere un milione di utenti in due anni, e mettere insieme più di 9 milioni di commercianti online, raggiungendo un fatturato annuo di 700 miliardi di dollari in 15 anni. E le piattaforme digitali, di ogni genere e livello, sono in aumento in ogni Paese.

Ma queste imprese, proprio per la loro natura tecnologica e virtuale, pongono anche nuove sfide per Paesi, governi, società, lavoratori, in termini di concorrenza, tassazione, competenze, benessere o povertà. In alcuni settori, le macchine stanno sostituendo alcuni lavori, in altri stanno migliorando la produttività dei lavoratori, mentre, in altri ancora, la tecnologia sta creando nuova occupazione, determinando la domanda di nuovi beni e servizi. Questi effetti così discordanti tra loro spesso rendono difficili le previsioni economiche sul futuro e sui cambiamenti indotti dal progresso.

Nuovo contratto sociale per economia e società 4.0

“L’attuale contratto sociale ha perso valore nella maggior parte delle economie emergenti, e sembra essere sempre più obsoleto anche in alcune economie avanzate”, rimarca il World Development Report 2019 della Banca Mondiale. Per adeguarsi ai cambiamenti in atto, innanzitutto nel mondo del lavoro, il contratto sociale andrebbe riformulato, adottando nuove strategie per investire nelle persone e tutelarle, a prescindere del loro Status occupazionale.

Eppure, innanzitutto nei Paesi in via di sviluppo, 4 persone su 5 non sanno cosa significhi avere una protezione sociale. Con 2 miliardi di lavoratori nel settore informale, ovvero senza un lavoro e una retribuzione stabili, senza assistenza sociale e senza i benefici dell’istruzione, i nuovi orizzonti lavorativi sono un dilemma che cresce al crescere dell’innovazione.

“Le società, per poter beneficiare del potenziale offerto dalla tecnologia, necessitano di un nuovo contratto sociale incentrato su maggiori investimenti in capitale umano e una protezione sociale progressivamente universale”, prevede il Rapporto 2019 della Banca Mondiale. Che auspica quindi “un livello minimo garantito e universale di protezione sociale, in grado di fornire supporto indipendentemente dalla tipologia di lavoro”. Perché senza un’adeguata protezione sociale è difficile adeguarsi ai cambiamenti del mercato del lavoro, generati dal progresso tecnologico.

“Un risultato che può essere raggiunto con un adeguato processo di riforme, mettendo fine a sussidi infruttuosi, migliorando la normativa del mercato del lavoro e aggiornando, a livello globale, le politiche fiscali”. Nei Paesi in via di sviluppo, 8 persone su 10 non ricevono assistenza sociale, e 6 su 10 lavorano in modo informale senza previdenza sociale. Ma anche nelle economie evolute il modello previdenziale basato sulle retribuzioni è messo a rischio a causa dei nuovi accordi di lavoro diversi dai contratti tradizionali.

Cosa possono fare i governi?

Il Rapporto sullo Sviluppo mondiale suggerisce tre ambiti di interventi politici:

  • Investire in capitale umano, a partire dall’istruzione della prima infanzia, per sviluppare competenze cognitive e socio-comportamentali evolute, oltre alle competenze fondamentali.
  • Migliorare la protezione sociale: un minimo sociale garantito e una previdenza sociale consolidata, collegati a riforme del mercato del lavoro, consentirebbero di raggiungere gli obiettivi di sviluppo senza squilibri drammatici.
  • Disporre di risorse pubbliche in grado di finanziare lo sviluppo del capitale umano e della protezione sociale.

Dove trovare i soldi per fare tutto ciò? Con quali finanziamenti? Secondo l’analisi della Banca Mondiale, le imposte sugli immobili nelle grandi città, le accise su alcune materie prime, e la tassazione su chi inquina di più, sono alcune delle opzioni disponibili per aumentare le entrate dei governi, insieme alla lotta all’evasione fiscale. “I governi possono ottimizzare la loro politica fiscale e migliorarne l’amministrazione per aumentare le entrate, senza ricorrere all’aumento delle aliquote”, rimarca il Rapporto.

L’elusione fiscale di multinazionali e colossi digitali

Tra le possibili fonti di finanziamento, si annoverano poi la riforma delle sovvenzioni (sussidi sociali e di disoccupazione) e la riduzione dell’elusione fiscale da parte di aziende e multinazionali, in particolare delle nuove piattaforme digitali. Quattro aziende su cinque nella lista di Fortune 500 operano attraverso una o più consociate in ‘paradisi fiscali’.

Secondo alcune stime, in media il 60% del reddito totale delle multinazionali viene dichiarato in Paesi con un’aliquota fiscale effettiva inferiore al 5%. Di conseguenza, le stime evidenziano che i governi di tutto il mondo potrebbero perdere da 100 a 240 miliardi di dollari di gettito annuo, pari a una quota che va dal 4 al 10% delle entrate totali provenienti dalle imposte sul reddito delle società.

Il lavoro che cambia, e quello che ancora non esiste

Oggi, mentre il ritmo dell’innovazione continua ad accelerare e la tecnologia influenza ogni ambito di attività, “dilaga una nuova sensazione di incertezza. Per affrontare la sfida che il futuro del mondo del lavoro pone, è essenziale sapere che la maggior parte dei bambini, che oggi frequentano la scuola primaria, in età adulta svolgerà un lavoro che attualmente non esiste”, rimarca Jim Yong Kim, presidente della Banca Mondiale.

Molti lavori già oggi, e molti altri nel prossimo futuro, sottolinea il World Development Report 2019, “richiedono competenze specifiche che combinano abilità tecnologiche, capacità di risoluzione dei problemi e pensiero critico, con competenze trasversali come la perseveranza, la collaborazione e l’empatia”. I tempi in cui si faceva lo stesso lavoro per la stessa azienda per anni saranno presto solo un ricordo.

Nella Gig economy (in cui le aziende si servono di lavoratori autonomi per attività temporanee o incarichi a breve termine), i lavoratori, probabilmente, svolgeranno molte mansioni diverse durante tutto l’arco della carriera, il che implica un costante e lungo processo di apprendimento continuo (Lifelong learning).

La tecnologia cambia la domanda di competenze: dal 2001, la percentuale di occupati in professioni in cui sono necessarie competenze cognitive, non di routine e socio-comportamentali, è passata dal 19% al 23% nelle economie emergenti, e dal 33% al 41% nelle economie evolute.

Ma sarà il ritmo dell’innovazione e il progressivo calo dei costi della tecnologia a determinare se i nuovi settori e le nuove aree di competenza riusciranno a emergere per compensare il declino dei vecchi settori e delle attività di routine. Nel frattempo, nelle economie emergenti il fattore determinate secondo cui le imprese sceglieranno di automatizzare la produzione o spostarla altrove, resta il basso costo del lavoro.

I governi devono investire in capitale umano

Sul piano economico in generale, le aziende con una percentuale maggiore di lavoratori istruiti hanno più successo nel campo dell’innovazione, mentre gli individui con un capitale umano più solido traggono maggiori vantaggi dalle nuove tecnologie. Diversamente, affrontare una rivoluzione tecnologica senza un capitale umano adeguato “potrebbe compromettere l’ordine sociale esistente”, mette in guardia la Banca Mondiale.

Per stare al passo con i cambiamenti nel mondo del lavoro, “l’investimento più sicuro per persone, imprese e governi rimane il capitale umano. Il ruolo preponderante della tecnologia nella vita professionale e privata esige competenze cognitive sempre più avanzate in tutte le tipologie di lavoro, anche in quelli poco qualificati”. Per questo, “il ruolo del capitale umano è oggi più importante che mai, anche grazie alla domanda crescente di competenze e capacità socio-comportamentali”, mentre le professioni “che richiedono interazione interpersonale non saranno facilmente sostituite dalle macchine”.

Le competenze più richieste dal mercato del lavoro

Negli ultimi due decenni, il declino dell’occupazione industriale in molte economie ad alto reddito è un Trend ampiamente consolidato. Portogallo, Singapore e Spagna, ad esempio, sono tra i Paesi in cui a partire dal 1990 la quota di occupazione industriale è diminuita del 10% o più. Questo cambiamento riflette uno spostamento dell’occupazione dal settore manifatturiero ai servizi.

Se, da un lato, la domanda di competenze meno evolute, che possono essere sostituite dall’automazione, è in calo, dall’altro lato aumenta la richiesta di nuove capacità. E sono innanzitutto tre le competenze più richieste dal mercato del lavoro: competenze cognitive avanzate, come la risoluzione di problemi; competenze socio-comportamentali, come il lavoro di squadra; e una combinazione di competenze, come il ragionamento logico e l’autogestione, che rendono il lavoratore più versatile al cambiamento.

Lo Human Capital Index della Banca Mondiale

Il Rapporto sullo Sviluppo mondiale 2019 presenta anche, per la prima volta, il nuovo progetto sul ‘Capitale Umano’ della Banca Mondiale. Che ha tre componenti: un parametro di riferimento mondiale, l’Indice del Capitale Umano; un programma di ricerca che ambisce a guidare l’azione politica; e un programma a sostegno delle strategie nazionali che punta ad accelerare gli investimenti in capitale umano.

Il nuovo Indice del Capitale Umano (Human Capital Index), in particolare, è uno strumento di misurazione delle conseguenze che derivano dai mancati investimenti in capitale umano, in termini di perdita di produttività della prossima generazione di lavoratori. Mette in evidenza il rapporto tra gli investimenti in sanità e istruzione e la produttività dei futuri lavoratori.

Nei Paesi con i più bassi tassi di investimento in capitale umano, si calcola infatti che la forza lavoro del futuro avrà una produttività di un terzo o di un quinto rispetto a quanto potrebbe avere se la popolazione godesse di buona salute e avesse ricevuto una istruzione di elevata qualità.

In realtà, la bassa produttività del lavoro resta un tallone d’Achille anche per il Belpaese e l’economia italiana, come rilevano svariati studi e analisi del settore, tra cui quello dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, con il suo Economic Survey 2019 sull’Italia, presentato da pochi giorni: la crescita della produttività è stata debole o addirittura negativa negli ultimi 25 anni, e il Prodotto interno lordo pro capite è praticamente lo stesso di vent’anni fa.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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