Ecco perché le aziende hanno bisogno di un Innovation manager

L’Innovation manager considera le singole Business unit come clienti dell’innovazione aziendale e crea una rete di “Campioni dell’innovazione” intorno all’azienda, come spiega Ivan Ortenzi in un libro dedicato a questa nuova figura professionale.

Pubblicato il 10 Gen 2019

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Se un’azienda ha deciso di affrontare il tema “innovazione” in modo strutturato e sistematico, “deve pensare a chi possa ricoprire il ruolo di Innovation Manager, è necessario individuare una persona di riferimento”, taglia corto Ivan Ortenzi, Chief Innovation Evangelist di Bip Group, e autore del volume Innovation manager, pubblicato da FrancoAngeli. E mette in guardia: “le sue caratteristiche e le sue competenze non sono così comuni e scontate”.

Questa nuova figura specializzata, per cui sono previsti incentivi dalla Manovra 2019 del governo, ha come compito quello di gestire l’innovazione nella pienezza di tutte le regole aziendali, i processi di funzionamento, gli strumenti dedicati e le relazioni diplomatiche che deve costruire.

Progettare, governare e alimentare il processo dell’innovazione in azienda, è un’attività complessa e difficile da gestire per molte realtà. Occorre una costante tensione culturale, che si opponga all’avversione, al rischio e al mantenimento dello Status quo per una crescita di risultati a breve termine senza una visione di più lungo respiro.

“Questo è il motivo principale per il quale le aziende hanno bisogno di integrare nella propria compagine l’Innovation manager”, sottolinea Ortenzi: “un professionista con un profilo di Business, capacità di sviluppo organizzativo, con ampi poteri, che sia in grado di controbilanciare il naturale istinto conservatore delle strutture esistenti, progettando e alimentando la cultura dell’innovazione all’interno dell’azienda e nei confronti dell’ecosistema che la circonda”.

I valori e i principi che guidano l’azione

“Un ruolo che non è quello del direttore d’orchestra, come spesso capita di sentire o leggere, ma più del regista che dirige le persone, valorizza le competenze, sceglie il soggetto da sviluppare, partecipa alla stesura della sceneggiatura, definisce tutte le condizioni e gli strumenti dell’innovazione senza apparire nel film, a parte qualche cameo”, fa notare Ortenzi.

Del resto, come rileva Linda Hill in un’altra opera illuminante, Il genio collettivo, chi gestisce l’innovazione in azienda deve “esserci senza mai necessariamente apparire”.

Seguendo questa metafora è possibile identificare altre caratteristiche ed elementi valoriali del ruolo specifico: curiosità, inclusione, spirito d’osservazione e onestà intellettuale completano un profilo professionale che spesso si scontra con la liturgia aziendale, con l’insieme delle regole scritte e non scritte. Un ruolo che spesso vede nella gerarchia il vero limite alla collaborazione tra le persone. “Questo professionista del cambiamento deve anche essere disposto all’ascolto, alla capacità di mettersi sempre nei panni degli altri e di valutarne con attenzione le opinioni, per facilitare la discussione tra tutte le parti in causa”, auspica il Chief Innovation Evangelist di Bip Group.

Essenziali sono ovviamente anche le competenze più tecniche: ne deve sapere molto di “innovazione”, ovvero deve avere una conoscenza approfondita dei modelli, delle metodologie, degli strumenti e delle dinamiche che l’innovazione e le sue regole hanno e possono avere all’interno di una impresa e di una realtà produttiva. In tempi, e con le prospettive, dell’Industria 4.0.

“La sua capacità tecnica principale deve essere quella di aggiornarsi costantemente sull’evoluzione delle metodologie e delle tecniche per supportare l’innovazione in azienda. Un’attività di ricerca, studio e continuo confronto con i suoi colleghi di ruolo presso altre aziende, sia nel proprio settore sia in altri”, sottolinea Ortenzi.

L’Innovation manager deve conoscere i diversi attori dell’ecosistema in cui opera l’azienda. Ne deve conoscere le caratteristiche e i relativi modelli di Businessper poter dare vita all’indispensabile network di relazioni e di collaborazioni. Le sue competenze devono ovviamente anche riguardare il settore e l’azienda in cui opera. Non può essere un elemento estraneo. Non deve essere uno specialista tecnico, ma deve sapere a chi rivolgersi internamente o esternamente, per costruire la squadra o per affrontare specifiche tematiche progettuali.

Il ruolo dell’Innovation manager

Il suo è un ruolo nuovo, in una gerarchia aziendale e organizzativa definita e stabilita. Un ruolo trasversale, che attraversa non solo le differenti aree di Business, ma anche tutte le aree aziendali di staff. Un incarico che deve essere caratterizzato da un contratto a tempo, e da una componente di remunerazione commisurata ai risultati ottenuti.

Non può essere uno specialista con competenze che spaziano dalle risorse umane all’IT, dalle singole aree di Business ai singoli mercati, magari distribuiti su più continenti. Il suo compito però deve essere quello di sapere come portare valore a tutti i suoi interlocutori, facendo leva sulle proprie competenze tecniche e mettendole a disposizione delle priorità dei suoi colleghi nei differenti contesti.

L’innovazione si nutre di fiducia, di collaborazione e della capacità di sviluppare nuove idee partendo anche da risultati di altri. Questo dirigente, definito anche Chief Innovation Officer, non deve necessariamente essere il migliore in un qualsiasi ambito, ma deve saper far emergere le migliori qualità di una pluralità di ingegni. Non potendo essere un profondo conoscitore di ogni ambito di applicazione di soluzioni innovative, è più importante che la sua migliore caratteristica sia “come” innovare, piuttosto che “cosa” innovare.

La sua organizzazione, o meglio la sua squadra, deve essere composta da persone che rifuggono dai ruoli ingessati, e che coltivano piuttosto una grande capacità di approfondimento, unita a una
grande capacità di “attrarre divulgando”.

Missione innovazione

Ma da dove inizia l’Innovation manager? Ecco le linee guida, tracciate da Ivan Ortenzi, di un piano per “i primi 100 giorni” di attività della neonata “funzione innovazione”. Innanzitutto, il manager disegna il perimetro dell’innovazione, identifica prima i “nemici” del cambiamento, e poi si dedica agli “entusiasti”. Ascolta i clienti, forma un “Comitato per l’innovazione”, che sia espressione delle differenti culture e realtà aziendali. Che sia aperto ai clienti, utilizzandone dati e informazioni, all’ecosistema dell’azienda, coinvolgendo rappresentanti di università, consulenti ed esperti. Un gruppo di lavoro aperto anche ai dipendenti più giovani o con meno esperienza in azienda.

L’Innovation manager, inoltre, considera le singole Business unit come clienti dell’innovazione aziendale, crea una rete di “Campioni dell’innovazione” intorno all’azienda, inizia a identificare alcune eccellenze che possono consentirti di aprire il perimetro della funzione innovazione, piuttosto che mantenerla centralizzata e piccola.

Ma soprattutto, fa partire l’esempio dall’alto, con la partecipazione diretta ed evidente del Top management. “Questa”, rileva Ortenzi, “potrebbe essere la più grande sfida dell’innovazione in azienda”.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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