Studiare l’uomo per insegnare ai robot la comunicazione non verbale

All’IIT di Genova si studia la comunicazione non verbale applicata ai robot. Presto le macchine potranno capire , da uno sguardo, di cosa abbiamo bisogno.

Pubblicato il 17 Gen 2019

Il robot iCub dell'IIT

Cercare di insegnare ai robot il linguaggio non verbale per arrivare a capire le nostre esigenze, anche senza una richiesta specifica. È questa la strada che l’IIT, l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova Morego sta portando avanti con l’obiettivo di aiutare i robot a capire le persone.

Attore principale di questa ricerca, portata avanti da Alessandra Sciutti, ricercatrice responsabile del Laboratorio di Robotica Cognitiva e Interazione dell’IIT, è iCub, il robot umanoide messo a punto dall’istituto che, nel corso di una lezione conferenza, che si è tenuta a Palazzo Ducale di Genova, ha fatto il punto sullo stato della ricerca.

Riconoscere i messaggi non verbali

“Per gli esseri umani coordinarsi è un gioco da ragazzi – spiega – e se guardiamo un gruppo di bambini che giocano, vediamo come per noi sia semplicissimo, naturale, capirsi senza parlare. Diverso, invece, il caso in cui si debba trasferire questa capacità alle macchine. Il nostro cervello, infatti, fa qualcosa di molto complesso di cui noi non ci rendiamo conto, e diventa importante scoprire i meccanismi che ci consentono di essere così bravi a capirci”.

Lo studio non passa solamente attraverso l’integrazione tra uomo e macchina ma anche attraverso una ricerca interiore, per capire meglio come comunichiamo. “L’obiettivo primo della ricerca è capire l’uomo – sottolinea – e questo è un elemento che ci manca. Se noi non siamo in grado di capire come sviluppiamo questa capacità diventa molto difficile riprodurle. Stiamo facendo, non solo noi, grandi passi avanti e stiamo già riuscendo a distinguere quali sono i messaggi, che possono sembrare banali all’occhio di una persona, ma che diventano estremamente utili per rivelare le sue necessità e le esigenze”.

Il robot iCub dell’IIT in prima fila nella sperimentazione

“Per la ricerca io uso iCub, un robot umanoide, che è un agente interattivo, con il quale, oltre a poter fare cose, mi permette di mantenere un totale controllo sull’evolversi dell’interazione. E questo vuol dire che, in pratica, posso andare a studiare tutti quei piccoli segnali che noi esseri umani ci scambiamo contemporaneamente, ma lo posso fare uno alla volta, manipolandoli e modulandoli per capire, esattamente, come noi riusciamo ad anticipare l’altro, come facciamo ad intuirlo”.

Si tratta di un passaggio fondamentale perché, grazie a questo, si potranno mettere a punto e migliorare tutti quei processi di interazione che oggi sembrano ancora difficili da mettere in pratica. “Questo è un passo imprescindibile per avere robot o macchine che interagiscono con gli esseri umani. L’automobile che si guida da sola è un robot che deve muoversi in strade popolate da esseri umani e, per fare questo, avrà la necessità di imparare a prevedere l’uomo, a capire quei segnali che noi, in strada, siamo in grado di comprendere in un battito di ciglia, ma che per una macchina sono difficili da decifrare”.

Un nuovo rapporto tra uomo e macchina

Un risultato che una volta raggiunto, potrà offrire tantissime funzionalità al rapporto tra uomo e macchina. “Se pensiamo ai robot che ci assistono a casa non vorremmo dover ordinare passo passo che cosa deve fare per aiutarci. La nostra ambizione, quindi, è quella di avere, ad esempio, un braccio robotico che ci porge ciò di cui abbiamo bisogno prima ancora che lo chiediamo. Questo, semplicemente, perché, come farebbe un aiutante umano, ha capito quali sono le nostre esigenze prima ancora della richiesta”.

Un settore, quindi, attorno al quale c’è molto interesse, sia per questo riguarda il robot a casa che per quello industriale. Restano, però, alcuni temi ancora da risolvere. “Ciò che non è stato ancora raggiunto – continua – è una comprensione completa e raffinata dei nostri meccanismi non verbali di comunicazione. La comunicazione che abbiamo con le macchine, pensiamo agli assistenti vocali del telefonino, è ancora molto mediata dal linguaggio e questo ha dei benefici, ma anche dei limiti, perché la macchina deve aspettare il nostro ordine prima di poter agire. L’ambizione è quella di superare questo limite, far imparare a interpretare i segnali nascosti, non verbali, per capire prima le necessità”.

Una piattaforma aperta per condividere la ricerca

L’utilizzo di un roboto come iCub, inoltre, permette anche di mettere insieme competenze e ricerche che vengono da molte parti del mondo. Si tratta di una piattaforma open, oltre 35 iCub sparsi per il mondo, e il software viene messo in comune con tutti i ricercatori. Questo fa sì che chi si dedica al linguaggio possa sfruttare gli studi di chi si è dedicato al non verbale o ad altre capacità di interazione. La ricerca avanza, quindi, grazie allo scambio tra i diversi paesi e tra le diverse competenze.

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Fabrizio Cerignale

Giornalista professionista, con in tasca un vecchio diploma da perito elettronico. Free lance e mobile journalist per vocazione, collabora da oltre trent’anni con agenzie di stampa e quotidiani, televisioni e siti web, realizzando, articoli, video, reportage fotografici. Giornalista generalista ma con una grande passione per la tecnologia a 360 gradi, da quella quotidiana, che aiuta a vivere meglio, alla robotica all’automazione.

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