La lotta tra etica e mercato e il futuro dell’Intelligenza artificiale

L’analisi dell’economista americano Anton Korinek: un’Artificial Intelligence è equilibrata solo se unisce profitto, etica e interesse comune. Una sfida essenziale, che coinvolge Paesi e scienziati, innovatori, capitani d’azienda e politici, è quindi quella di mettere insieme valori etici e valore economico dell’innovazione. Che spesso possono non coincidere. Un esempio concreto di conflitto tra visioni economiche ed etiche è la questione della perdita di posti di lavoro indotta dall’automazione, compresa l’IA

Pubblicato il 09 Ago 2019

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Per guidare lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale (IA), occorre integrare valori etici e valore economico dell’innovazione. L’evoluzione dirompente costringe a definire ‘paletti’, linee guida e percorsi, con cui tracciare la direzione del progresso tecnologico. Che, di per sé, è ‘cieco’ senza prospettive etiche, ma allo stesso tempo può essere molto vantaggioso e remunerativo in termini di guadagno e di mercato. Almeno per alcuni, mai per tutti.

Una sfida essenziale, che coinvolge Paesi e scienziati, innovatori, capitani d’azienda e politici, è quindi quella di mettere insieme valori etici e valore economico dell’innovazione. Che spesso possono non coincidere. O, peggio, andare in direzioni diametralmente opposte.

Sono nuove tecnologie che riguardano l’umanità nel suo complesso, è la grande questione di come guidare e gestire il progresso Hi-tech: che può migliorare la vita, le attività, il benessere delle persone; ma anche togliergli il lavoro, creare spaccature sociali e aumentare le disuguaglianze.

Dobbiamo creare sistemi di IA che superino le capacità dell’uomo in attività cruciali? È giusto che pochi innovatori si arricchiscano enormemente mentre le masse subiscono il cambiamento? La tecnologia cresce e l’Umanità viene lasciata indietro?

Il tema è stato al centro anche dell’ultimo World Economic Forum di Davos, e sebbene soluzioni e risposte siano necessariamente solo provvisorie e parziali, il divario tra valori etici e valore economico dell’innovazione non è però incolmabile. E c’è un’altra buona notizia: questo progresso tecnologico è guidato da decisioni umane, su cosa, dove e come innovare. Almeno per ora.

Almeno fino a quando l’Intelligenza artificiale, oggi ‘ristretta’ a singoli ambiti di applicazione, non diventerà invece tanto ‘generale’ (l’Artificial general intelligence, abbreviata in Agi), da assomigliare a quella umana fino a superarla. Secondo alcuni esperti, è questione di un decennio. O poco più.

Ma l’intreccio dell’IA tra etica e mercato va invece sbrogliato ora, e nei prossimi anni. Come? Occorrono nuovi compromessi tra innovazione, efficienza tecnologica e dei mercati, uguaglianza e benessere sociale diffuso.

Economia ed etica, valori in conflitto?

“Dobbiamo lavorare per assicurare che i sistemi di Intelligenza artificiale realizzino i nostri interessi economici, mentre il loro comportamento è guidato dai nostri valori etici”, fa notare Anton Korinek, economista, docente all’Università della Virginia, e membro del National Bureau of Economic Research statunitense, in una sua analisi appena pubblicata su sviluppo e prospettive dell’Artificial intelligence (AI).

E prevede: “la nostra società può beneficiare del lavoro sia degli economisti che degli etici, quando colmano le loro differenze e integrano le loro intuizioni”. Korinek spiega: “una prospettiva etica è utile per gli economisti, perché ricorda che ciò che è importante per l’intera società non sempre coincide con il mercato. Una prospettiva economica è utile per gli etici, perché ricorda che il mercato è una forza potente che modella il nostro mondo, non importa se lo vogliamo o meno”.

Perdita di lavoro da automazione e IA

Un esempio concreto di conflitto tra visioni economiche ed etiche: la questione, molto dibattuta, della perdita di posti di lavoro indotta dall’automazione, compresa l’IA. Un aspetto cruciale, soprattutto in futuro, che può portare a un aumento sostanziale delle disuguaglianze, a meno di azioni, innanzitutto politiche ma non solo, per evitarlo.

“È giusto introdurre nuove tecnologie che comportano la perdita di posti di lavoro?”, si interroga e chiede l’esponente del National Bureau of Economic Research americano. E prova a rispondere: “gli economisti potrebbero essere tentati di rispondere immediatamente ‘sì’ alla mia domanda. Possono osservare che in un mercato ben funzionante, i salari riflettono perfettamente il valore sociale del lavoro; se a un dato livello di salari, un’azienda trova auspicabile innovare in modo da risparmiare sul costo del lavoro, libera il lavoro per essere impiegato in altre attività più utili alla società”.

In pratica, se un certo lavoro non serve più, diventa obsoleto, perde di utilità e quindi di valore, perciò tanto vale non farlo più e cambiarlo. Del resto, funziona così da sempre. “Ma bisogna anche considerare che la perdita di posti di lavoro è socialmente più costosa di quanto suggerisca una visione efficiente del mercato”.

Non può decidere solo il mercato

In sostanza, agli imprenditori e alle aziende spesso conviene innovare (anche) in termini di costi, conviene molto meno non solo ai lavoratori lasciati a casa ma più in generale all’intera società, che deve intervenire con servizi e soldi pubblici.

Al contrario, osservando la miseria creata dalla perdita di posti di lavoro, “gli etici possono essere tentati di rispondere immediatamente ‘no’ alla mia domanda. Possono vedere i danni tangibili e le sofferenze inflitte ai lavoratori licenziati, e osservare che non è etico imporle ai lavoratori, mentre possono non apprezzare subito gli effetti a lungo termine del progresso economico sul benessere umano”.

Non solo: “quando i mercati sono così dirompenti, può essere socialmente indesiderabile che siano l’unica guida del processo decisionale umano”. Ecco perché, tra etica e mercato, vanno trovati dei compromessi.

Evoluzione Hi-tech e delle disuguaglianze

Negli ultimi decenni, anche se la crescita economica complessiva ha continuato ad andare avanti, la distribuzione dei profitti economici è stata sempre più diseguale. Negli Stati Uniti, la metà inferiore della popolazione, costituita principalmente da lavoratori poco qualificati, ha registrato appena un aumento del reddito al netto dell’inflazione. Nello stesso periodo, i redditi reali dei grandi ricchi sono raddoppiati, quelli dei mega-milionari sono triplicati, e quelli dei miliardari sono quadruplicati.

Le perdite di posti di lavoro causate dall’automazione spesso riducono la domanda di lavoro e i redditi dei lavoratori, e possono aumentare i guadagni degli imprenditori e degli azionisti. I risultati possono generare una distribuzione del reddito più disuguale, che la società percepisce come meno desiderabile. “Non c’è motivo teorico di credere che il libero mercato indirizzerà gli sforzi innovativi verso le innovazioni socialmente più desiderabili”, rimarca Korinek.

Effetti sulla distribuzione del reddito

Il primo teorema fondamentale del benessere in economia, comunemente chiamato ‘teorema della mano invisibile’, afferma che in certe condizioni idealizzate, il mercato genererà una distribuzione efficiente delle risorse esistenti nell’economia. Tuttavia, questo teorema non si applica al progresso tecnologico, e il mercato può quindi guidare l’innovazione nella direzione sbagliata.

“Se le innovazioni generano significative perturbazioni sociali che la ‘mano invisibile’ del mercato non è in grado di gestire, allora gli innovatori hanno il dovere morale di internalizzare gli effetti dirompenti che generano”, reclama l’economista americano. Che avverte: “le questioni dell’efficienza del sistema e della distribuzione del reddito non possono essere separate. Tuttavia, è fin troppo comune che i perdenti del progresso tecnologico siano lasciati a se stessi, o ricevano solo un sostegno minimo dai vincitori o dalla società per compensare le loro perdite”.

I punti di convergenza tra economisti ed etici

Nonostante le diverse tesi da entrambe le prospettive, gli economisti e gli etici dell’innovazione possono però essere d’accordo su una serie di punti. Innanzitutto, è auspicabile garantire che i lavoratori che perdono il lavoro siano assistiti non solo in termini monetari, ad esempio con misure contro la disoccupazione, “ma anche in termini del valore più ampio che la società attribuisce alle loro perdite”, rileva Korinek.

Che spiega: “dopo tutto, questi lavoratori sono stati sacrificati per il bene dell’efficienza economica: quando i loro posti di lavoro sono stati spostati o cancellati, sono stati il danno collaterale per consentire all’economia di adottare processi produttivi più efficienti, che alla fine renderanno la società nel suo complesso più prospera, e quindi la società gli deve più di un sussidio”.

Innovare nell’interesse della società

Poi, economisti ed etici possono concordare sul fatto che le decisioni di un mercato libero su cosa, dove e come innovare, e anche le decisioni delle imprese private sul licenziamento dei lavoratori, non sono sempre nell’interesse della società. E il docente dell’Università della Virginia sottolinea che, per fortuna: “la stragrande maggioranza degli etici, degli economisti e della società in generale, concordano sul fatto che il mercato non dovrebbe vincere quando i valori di mercato e i valori etici sono in conflitto”.

All’interno dell’economia, ad esempio, un intero settore chiamato ‘Welfare economics‘ descrive strumenti politici che possono essere utilizzati per affrontare situazioni in cui il mercato non valuta le cose allo stesso modo della società. Gli economisti usano spesso il termine ‘esternalità’ per indicare le differenze e le distanze tra il valore assegnato dal mercato e i valori etici della società.

Scelte, misure, soluzioni etiche e politiche

In ogni caso, l’economia che punta al benessere sociale offre soluzioni, gli economisti hanno un ricco Kit di strumenti per regolare le esternalità.

Queste misure possono assumere varie forme: possono limitare la quantità ammissibile di esternalità dannose (come gli effetti inquinanti di certe produzioni), o incoraggiare una certa quantità di esternalità positive (invenzioni e innovazioni che portano effetti positivi alla società); possono tassare le esternalità dannose o sovvenzionare esternalità positive; possono assegnare diritti di proprietà (o permessi) sulla creazione di esternalità dannose, e consentire alle persone di scambiare tali permessi in un nuovo mercato, come ad esempio nei sistemi di Cap-and-trade per le esternalità inquinanti. Queste soluzioni richiedono la scelta politica di quali valori etici assegnare alle esternalità.

I governi hanno poi sempre svolto un ruolo importante nel plasmare il progresso tecnologico, e potrebbero concentrare i loro sforzi sulla promozione di tecnologie che mantengono o aumentano la domanda di lavoro. Un’area primaria per questo è la ricerca sponsorizzata dal governo, che potrebbe essere guidata verso tecnologie che migliorano le prospettive economiche dei lavoratori piuttosto che sostituirle. Inoltre, i governi sono grandi datori di lavoro, sia direttamente che indirettamente attraverso gli appalti pubblici. Guidando sia le loro decisioni di automazione che quelle dei loro fornitori, possono avere grandi effetti sui mercati del lavoro.

Progettare e guidare l’innovazione

In più, la società potrebbe guidare il progresso nel settore privato attraverso tasse o sovvenzioni che dipendono dal fatto che un’innovazione sostituisca i lavoratori o piuttosto rafforzi il loro ruolo. Ciò fornirebbe incentivi agli innovatori che riflettono sull’impatto di un’innovazione sul mercato del lavoro. Anche se l’impatto è a volte difficile da accertare prima che un’innovazione venga sviluppata.

Per sbrogliare la matassa, Korinek fa notare e auspica, con una chiosa comunque positiva: “sarebbe fuori luogo soccombere al tecno-fatalismo, e considerare il nostro destino come predeterminato da forze tecnologiche cieche e forze di mercato che sono al di fuori del nostro controllo”. Invece, il nostro futuro “è plasmato congiuntamente dalle innovazioni tecnologiche che noi umani creiamo, dalle istituzioni sociali ed economiche che progettiamo collettivamente, e dai valori etici che guidano tutto questo”.

In sostanza, il cervello può diventare digitale, ma il cuore deve restare umano.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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