Metti a confronto, sui temi dell’intelligenza artificiale, uno scienziato dell’innovazione come Giorgio Metta, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, e un filosofo “specializzato” su questi temi come Luciano Floridi, professore ordinario di filosofia ed etica dell’informazione dell’Università di Oxford e direttore del Digital Ethics Lab. È capitato in occasione dell’inaugurazione della nuova startup Rta Robotics a Pavia.
E si scopre che sulle potenzialità dell’artificial intelligence, e sull’etica che deve tracciarne la strada, hanno molti punti in comune e praticamente nessun elemento di sostanziale disaccordo.
Inizia Floridi a mettere in chiaro una cosa: “l’intelligenza artificiale, più che imitare e cercare di replicare quella umana, deve risolvere problemi, attività concrete”. Il filosofo italiano dell’Università di Oxford, che da tempo segue i temi che uniscono l’uomo e l’innovazione, fa notare che lo sviluppo dell’artificial intelligence (AI) è mosso da due distinte correnti: un filone di ricerca punta a far crescere l’intelligenza dei computer e delle macchine cercando di replicare digitalmente e il più possibile le abilità umane; un altro filone è invece per così dire più ‘pragmatico’ e applicato ad attività e operazioni concrete.
Ed è questo approccio più ingegneristico che sta prevalendo. “I maggiori sviluppi dell’AI, e le migliori sorprese che ci riserverà, almeno nel medio periodo sono quelli collegati ad applicazioni concrete, a risolverci dei problemi, a fare le cose che si facevano prima ma più facilmente, più velocemente, con soluzioni migliori”, dice Floridi.
I robot ‘umanoidi’ in tutto e per tutto, non solo nelle sembianze antropomorfe ma anche nel funzionamento del ‘cervello’, sono senza dubbio una suggestione e una sfida molto interessanti, ma sia il filosofo sia lo scienziato creatore di iCub si trovano d’accordo: “se ci diamo appuntamento qui tra trent’anni, non ci sarà un robot che si avvicinerà molto alle capacità e facoltà umane, e in grado di interagire con noi come stiamo facendo oggi. È una scommessa, ma secondo noi certe capacità umane, come l’intuito, la flessibilità di ragionamento, l’adattabilità di pensiero, e molto altro ancora, non saranno così facilmente replicabili in un cervello elettronico”.
Floridi fa un altro esempio: chiedete a un robot di allacciare un paio di scarpe e non lo saprà fare. Una cosa che sa invece fare anche un bambino delle elementari. E questo perché “l’AI risolve la complessità, ma non la difficoltà”, rimarca Floridi, “l’artificial intelligence può trovare soluzioni a qualcosa di molto complesso, e anche molto in fretta, ma se ciò non è riconducibile a un calcolo o un algoritmo, le sue potenzialità diminuiscono drasticamente. Sarà quindi compito dell’Uomo trasformare le sue difficoltà in complessità, in modo da farsi aiutare dalle macchine”.
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I limiti della robotica
Su questo punto Metta rincara la dose: “il limite della robotica, anche quella industriale, è che funziona solo in ambienti ‘controllati’ e per attività che si possono tenere sotto controllo, potendo aggiungere qualche variabilità”. Ma in un ambiente ‘imprevedibile’, con troppe varianti da considerare, “un robot non funziona”.
È lo stesso motivo per cui, secondo lo scienziato e il filosofo, vanno smitizzate e ridimensionate le prospettive sulla mobilità autonoma: “ci sono già i primi veicoli autonomi in circolazione in modo sperimentale, ma un conto è fare esperimenti, un altro è mettere in circolazione migliaia di veicoli insieme a quelli non automatizzati. Per questo, un’ipotesi è quella di creare corsie e strade riservate ai veicoli autonomi, ma”, rimarca il filosofo con una battuta, “allora è come fare dei treni”.
Uno sviluppo dell’AI davvero ‘disruptive’
Dove lo sviluppo dell’intelligenza artificiale può essere davvero ‘disruptive’ rispetto al passato “è, ad esempio, in medicina, biologia, ricerca e sviluppo, analisi dei dati”, spiega il direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.
Nel mondo industriale e manifatturiero, invece, un importante contributo dall’intelligenza artificiale può venire nel “sviluppare una produzione a minore impatto ambientale”, fa notare Metta, “e ciò vale anche per l’agricoltura di precisione, sempre meno bucolica e sempre più tecnologizzata, ma anche per fare bene queste cose mancano ancora sensori e tecnologie adeguate da sviluppare”.
Una fase fondamentale, in ogni ambito di attività, è quella del “Design e progettazione”, rimarca Floridi, “perché è importante studiare e poi realizzare spazi e soluzioni ad hoc per la robotica, ma senza dimenticare che gli stessi devono andare bene anche per gli uomini. E questo va fatto in fase di progettazione. Perché se poi ci accorgiamo che ciò che è stato sviluppato in realtà non va bene, tornare indietro e rimediare è più difficile”.
Attivare un robot come accendere una lampadina
Un’altra considerazione riguarda il mondo del lavoro, e l’ormai lunga polemica che vuole la robotica portare via posti di lavoro alle persone: “è molto limitato e limitante vedere le cose in questo modo”, rileva il filosofo, “anche perché il lavoro non è una quantità finita di attività, il lavoro non è una torta, per cui togliendone via una fetta ne rimane di meno: c’è e ci sarà sempre da fare, ma in modo diverso rispetto a prima. La robotica porta a ripensare il mondo del lavoro, con nuove e diverse opportunità”.
E poi Floridi, come ogni approccio realmente innovativo, guarda avanti: “oggi parliamo di intelligenza artificiale come se fosse ancora fantascienza, tra qualche anno sarà diventata qualcosa di comune, quotidiano, banale, come per tutti noi lo è l’uso dell’elettricità”. Non ci sarà niente di strano nell’attivare un robot, come accendere una lampadina o il televisore.