Con il Decreto Fiscale (decreto legge 146 del 21 ottobre 2021) il Governo ha rivoluzionato il Patent Box, riscrivendo di fatto l’intera normativa e modificando radicalmente il meccanismo di funzionamento di un’agevolazione che, come ha sottolineato il vicepresidente di Confindustria Francesco De Santis, le imprese stavano dimostrando di apprezzare.
Lo provano – spiega il rappresentate degli industriali sulle pagine de Il Sole 24 Ore del 6 novembre 2021 – il “considerevole aumento del numero di società che hanno utilizzato il patent box negli anni, da 1.200 nel 2017 a oltre 1.764 nel 2018”, nonché “l’aumento dell’11,5% delle domande di brevetto, documentate dall’Ufficio italiano brevetti e marchi, tra il 2018 e il 2020”.
L’intervento di De Santis è solo l’ultimo in ordine cronologico di una serie di altri interventi di forte condanna che Confindustria, con cadenza quotidiana, sta facendo sull’argomento. A partire dallo stesso presidente Carlo Bonomi che non esita a parlare di un cambio di rotta che sa di “smantellamento” della misura.
La ragione della critica è sostanzialmente questa: il nuovo regime passa dal meccanismo attuale che fa perno sulla detassazione del reddito generato dall’asset a una deduzione dei costi di ricerca e sviluppo associati al brevetto. Incentivo che, insistendo sui costi di R&S, viene inoltre reso incompatibile proprio con il credito di imposta in ricerca e sviluppo con il quale era precedentemente cumulabile.
Con il nuovo regime – ha detto Bonomi – “premiamo chi spende di più indipendentemente dai risultati”.
Come spiega con una lucida analisi De Santis nell’articolo a sua firma pubblicato dal giornale degli industriali, la vecchia misura aveva l’obiettivo di “premiare fiscalmente la capacità di tradurre i risultati della ricerca e sviluppo in prodotti, processi e servizi innovativi in grado di creare valore aggiunto non solo per le imprese ma per il Paese nel suo complesso”. La logica era quindi di incentivare le aziende che mediante l’utilizzo degli asset immateriali fossero in grado di accrescere la propria competitività e generare reddito. In altre parole il Patent Box è “una misura di politica economica che ha obiettivi diversi, seppur connessi, rispetto alle misure che agevolano gli investimenti in R&S” dal momento che “l’attenzione è rivolta non tanto e non solo alle attività di R&S ma, soprattutto, alla capacità di essere competitivi e al risultato economico che ne deriva mediante l’utilizzo degli asset immateriali”.
Come rileva Assosoftware, “L’abrogazione del sistema attuale del Patent Box, pur rendendo più semplice l’applicazione, andrebbe a penalizzare notevolmente la parte più innovativa ed emergente (soprattutto PMI, comprese le start-up) del mercato che fanno degli intangibles la parte più rilevante del loro fatturato”.
Chiarito il quadro generale delle critiche, vediamo ora con più attenzione qual è lo spirito della nuova normativa, quali sono gli errori e quali le opportunità.
Indice degli argomenti
Regime vecchio vs nuovo
Il vecchio Patent Box prevedeva, come è noto, l’esclusione dalla base imponibile del 50% dei redditi derivanti dall’utilizzo, anche congiunto, di software protetti da copyright, brevetti industriali, disegni e modelli, processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili. Oltre che ai ricavi continuativi, la deduzione si applicava anche ai redditi derivanti dai ricavi straordinari come quelli derivanti dalla cessione degli stessi beni immateriali, a condizione che il 90% del ricavato venisse poi reinvestito nella manutenzione o nello sviluppo di altri beni immateriali, prima della chiusura del secondo periodo di imposta successivo a quello nel quale si è verificata la vendita.
Il nuovo regime, come anticipato offre alle imprese la possibilità di maggiorare del 90% i costi per le attività di ricerca e sviluppo riguardanti i beni immateriali, anche ai fini dell’IRAP. Stiamo quindi parlando di un beneficio che, calcolando il 90% di IRES e IRAP, ammonta a circa il 25% dei costi sostenuti, compresi quelli per le attività di ricerca e sviluppo svolte con altre società e con università, enti di ricerca e organismi equiparati.
Nel decreto fiscale c’è però un “errore” relativo al periodo di transizione tra i due regimi. Per godere del patent box anche per il 2020 sarebbe infatti necessario, stando alla lettera della nuova nomativa, aver esercitato l’opzione prima del 21 ottobre, tagliando quindi fuori le aziende che legittimamente lo avrebbero fatto entro il 30 novembre. Un intervento quindi retroattivo e ingiustamente discriminante.
Come rilevato poi dall’ufficio studi di Camera e Senato, manca un termine di legge per l’emanazione del provvedimento attuativo da parte del direttore dell’agenzia delle Entrate.
Si tratta di due problemi tecnici ai quali è chiamato a dare risposta il percorso di conversione in legge del decreto, già avviato dal Parlamento (si dovrà concludere entro il 20 dicembre).
Estremamente critico anche il presidente di Farmindustria Sergio Dompè, che ha definito il provvedimento “una scelta miope” che può portare benefici immediati alle casse dello Stato, ma che “nel medio-lungo periodo penalizza le imprese e il paese, dal momento che la ricerca è la base della crescita. E dovrebbe essere uno dei terreni prioritari di partnership pubblico-privato”.
Interessanti i rilievi mossi da Confartigianato, che invoca almeno la possibilità di scegliere tra i due regimi. Focalizzandosi sui ricavi – spiega nella nota depositata al Senato – il vecchio incentivo “persegue l’obiettivo di incentivare la collocazione in Italia dei beni immateriali attualmente detenuti all’estero da imprese italiane o estere, come pure il mantenimento dei beni immateriali in Italia evitandone la ricollocazione all’estero e l’investimento in attività di ricerca e sviluppo”.
Proviamo ora a guardare l’opportunità.
Così configurato il Patent Box diventa di fatto un credito di imposta maggiorato per attività di ricerca e sviluppo che possono essere collegate a un brevetto. Le aziende che hanno questa opportunità quindi godrebbero di un incentivo superiore: come abbiamo detto prima, l’incentivo si traduce in un beneficio pari a circa il 25% dei costi agevolati, a fronte di un 20% per il 2021 e 2022 e del 10% dal 2023 al 2031 previsto dal CIRSID.
Il nuovo sistema, inoltre, non è vincolato al “successo” di quel brevetto sul mercato e premia gli investimenti in R&S a prescindere dalla capacità del brevetto di produrre dei ricavi.
Tuttavia, la reale portata del beneficio andrà valutata dopo un’attenta lettura non soltanto della legge di conversione, ma anche del provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate che deve stabilire, tra l’altro, anche le spese ritenute agevolabili nel caso dei marchi d’impresa. Sicuramente lasciare alle imprese la possibilità di scegliere tra il vecchio e il nuovo regime, almeno per il primo anno, sarebbe stato corretto.
Riportiamo di seguito, per comodità di consultazione, il testo ufficiale della nuova disciplina del Patent Box apparso in Gazzetta Ufficiale
Il testo della nuova disciplina del Patent Box
Art. 6
Semplificazione della disciplina del patent box
1. I soggetti titolari di reddito d'impresa possono optare per
l'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo.
L'opzione ha durata per cinque periodi d'imposta ed e' irrevocabile e
rinnovabile.
2. I soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera d), del
testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, possono
esercitare l'opzione di cui al comma 1 a condizione di essere
residenti in Paesi con i quali sia in vigore un accordo per evitare
la doppia imposizione e con i quali lo scambio di informazioni sia
effettivo.
3. Ai fini delle imposte sui redditi, i costi di ricerca e sviluppo
sostenuti dai soggetti indicati al comma 1 in relazione a software
protetto da copyright, brevetti industriali, marchi d'impresa,
disegni e modelli, nonche' processi, formule e informazioni relativi
a esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o
scientifico giuridicamente tutelabili, che siano dagli stessi
soggetti utilizzati direttamente o indirettamente nello svolgimento
della propria attivita' d'impresa, sono maggiorati del 90 per cento.
Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate sono
definite le modalita' di esercizio dell'opzione di cui al comma 1.
4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano a condizione che
i soggetti che esercitano l'opzione di cui al comma 1 svolgano le
attivita' di ricerca e sviluppo, anche mediante contratti di ricerca
stipulati con societa' diverse da quelle che direttamente o
indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono
controllate dalla stessa societa' che controlla l'impresa ovvero con
universita' o enti di ricerca e organismi equiparati, finalizzate
alla creazione e allo sviluppo dei beni di cui al comma 3.
5. L'esercizio dell'opzione di cui al comma 1 rileva anche ai fini
della determinazione del valore della produzione netta di cui al
decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.
6. I soggetti di cui al comma 1 che intendano beneficiare della
maggiore deducibilita' dei costi ai fini fiscali di cui al presente
articolo possono indicare le informazioni necessarie alla
determinazione della predetta maggiorazione in idonea documentazione
predisposta secondo quanto previsto da un provvedimento del direttore
dell'Agenzia delle entrate. In caso di rettifica della maggiorazione
determinata dai soggetti indicati al comma 1, da cui derivi una
maggiore imposta o una differenza del credito, la sanzione di cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.
471, non si applica qualora, nel corso di accessi, ispezioni,
verifiche o altra attivita' istruttoria, il contribuente consegni
all'Amministrazione finanziaria la documentazione indicata nel
medesimo provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate
idonea a consentire il riscontro della corretta maggiorazione. Il
contribuente che detiene la documentazione prevista dal provvedimento
del direttore dell'Agenzia delle entrate ne da' comunicazione
all'Amministrazione finanziaria nella dichiarazione relativa al
periodo di imposta per il quale beneficia dell'agevolazione. In
assenza della comunicazione attestante il possesso della
documentazione idonea, in caso di rettifica della maggiorazione, si
applica la sanzione di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n. 471.
7. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate sono
adottate le disposizioni attuative del presente articolo.
8. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle
opzioni esercitate a decorrere dalla data dell'entrata in vigore del
presente decreto.
9. I soggetti che esercitano l'opzione di cui al comma 1 non
possono fruire, per l'intera durata della predetta opzione e in
relazione ai medesimi costi, del credito d'imposta per le attivita'
di ricerca e sviluppo di cui ai commi da 198 a 206 dell'articolo 1
della legge 27 dicembre 2019, n. 160.
10. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente
decreto sono abrogati i commi da 37 a 45 dell'articolo 1 della legge
23 dicembre 2014, n. 190, e l'articolo 4 del decreto-legge 30 aprile
2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno
2019, n. 58. I soggetti di cui al comma 1 che abbiano esercitato
opzione ai sensi dell'articolo 1, commi da 37 a 45, della legge 23
dicembre 2014, n. 190, in data antecedente a quella di entrata in
vigore del presente decreto possono scegliere, in alternativa al
regime opzionato, di aderire al regime agevolativo di cui al presente
articolo, previa comunicazione da inviarsi secondo le modalita'
stabilite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate.
Sono esclusi dalla previsione di cui al secondo periodo coloro che
abbiano presentato istanza di accesso alla procedura di cui
all'articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, ovvero presentato istanza di rinnovo, e
abbiano sottoscritto un accordo preventivo con l'Agenzia delle
entrate a conclusione di dette procedure, nonche' i soggetti che
abbiano aderito al regime di cui all'articolo 4 del decreto-legge 30
aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28
giugno 2019, n. 58. I soggetti che abbiano presentato istanza di
accesso alla procedura di cui al predetto articolo 31-ter del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, ovvero
istanza di rinnovo dei termini dell'accordo gia' sottoscritto e che
non avendo ancora sottoscritto un accordo vogliano aderire al regime
agevolativo di cui al presente articolo, comunicano, secondo le
modalita' stabilite con provvedimento del direttore dell'Agenzia
delle entrate, la volonta' di rinunciare alla procedura di accordo
preventivo o di rinnovo della stessa.







