AI E ROBOTICA

Metta (IIT): “Le tre leggi della Robotica di Asimov oggi servono per l’AI”



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Secondo Giorgio Metta l’intelligenza artificiale è indispensabile per affrontare sfide come la crisi demografica e il cambiamento climatico. Per governare questa potente tecnologia, direttore scientifico dell’IIT propone di riadattare le Tre Leggi della Robotica di Isaac Asimov, concentrandosi sulla prevenzione del danno (fisico e psicologico), su nuovi metodi per impartire comandi e sulla sfida di rendere i sistemi AI robusti e affidabili.

Pubblicato il 24 lug 2025



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“Quanti anni ha?” volle sapere. “Trentadue,” fu la risposta. “Allora non si ricorda un mondo senza robot. C’è stato un tempo in cui l’umanità ha affrontato l’universo da sola e senza un amico. Ora ha delle creature che la aiutano; creature più forti di lei, più fedeli, più utili e assolutamente devote a lei. L’umanità non è più sola. Ci ha mai pensato in questo modo?”.

Questo dialogo, tratto da una delle storie che compongono la raccolta Io, Robot di Isaac Asimov, ci aiuta a comprendere la nostra relazione con la tecnologia più dirompente del nostro tempo: l’intelligenza artificiale. Quando Giorgio Metta, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), ha richiamato questa riflessione durante un intervento al TEDxCuneo, ha di fatto indicato un parallelo potente: come i protagonisti del racconto di Asimov, anche noi stiamo imparando a non essere più soli di fronte alle grandi sfide, grazie a nuovi “amici” che stiamo creando. I robot, sì, ma anche l’AI.

Per Metta l’AI non è un’opzione, è una necessità ineludibile. Una necessità che però impone di stabilire delle regole precise, quasi un patto di coesistenza. E per farlo, sorprendentemente, la fantascienza degli anni Quaranta ci offre una bussola più attuale che mai.

Una necessità dettata dai numeri

L’urgenza di adottare su larga scala soluzioni di intelligenza artificiale e robotica non è ovviamente solo figlia di una fascinazione tecnologica, ma nasce da dati demografici ed economici difficilmente contestabili. Metta ha richiamato uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista medica The Lancet che analizza il tasso di fertilità globale. Il valore di equilibrio, quello che mantiene una popolazione stabile, è di 2,1 figli per coppia. L’Italia viaggia a un ritmo di 1,3, un dato che segnala un declino demografico strutturale. Ma la tendenza è globale: le proiezioni indicano che entro il 2100 quasi tutti i paesi del mondo scenderanno sotto la soglia di sostituzione.

Siamo di fronte a un progressivo – e inesorabile – invecchiamento della popolazione. La conseguenza diretta, avverte Metta, è che “già nel 2040 cominceranno a mancarci delle mani”. La carenza di professionalità e manodopera, già oggi avvertita da molti imprenditori, diventerà drammatica.

In questo quadro il ruolo della tecnologia cambia, passando da strumento per aumentare l’efficienza a fattore abilitante per continuare a produrre beni, erogare servizi e sostenere un sistema di welfare messo a dura prova da una base di lavoratori sempre più ridotta.

A questa pressione demografica si aggiunge la sfida ambientale. La transizione energetica e la ricerca di un modello di sviluppo sostenibile richiedono un’accelerazione nella scoperta scientifica e nell’innovazione che solo nuovi strumenti possono garantire. L’alternativa, suggeriscono le stesse intelligenze artificiali quando interrogate sul futuro, è un pianeta segnato dallo scioglimento dei ghiacci e popolato da anziani infelici.

Una mappa per accelerare la scoperta

L’intelligenza artificiale si propone come lo strumento per eccellenza in grado di accelerare questo processo. Metta ricorda quando Eric Schmidt, l’uomo che ha traghettato Google da startup a colosso globale, ha affermato che l’AI sta trasformando il modo in cui facciamo scienza. Quelli che sembrano solo dei modelli linguistici generativi che hanno catturato l’attenzione del grande pubblico sono in realtà algoritmi capaci di analizzare una complessità di dati impensabile per la mente umana.

Metta offre una metafora potente: se la ricerca tradizionale procede spesso per tentativi ed errori, vagando in un vasto spazio di possibilità, l’intelligenza artificiale fornisce “una mappa con una bussola”, indicando la direzione più promettente per trovare una soluzione.

La prova di questo cambio di paradigma è già nella cronaca scientifica. Il premio Nobel per la chimica del 2024, ricorda Metta, non è stato assegnato a chimici tradizionali chini sulle provette, ma a scienziati computazionali. I loro software sono riusciti a compiere un passo ritenuto quasi impossibile: non solo predire la forma tridimensionale delle proteine, un’informazione fondamentale per comprenderne la funzione, ma addirittura progettarne di nuove con una forma voluta. Si tratta di un avanzamento epocale per la biologia e la farmacologia, che apre la porta alla progettazione di farmaci su misura e a una comprensione più profonda dei meccanismi della vita. Questa capacità di navigare la complessità è la vera forza dell’AI, uno strumento che ci permette di affrontare problemi che prima potevamo solo circoscrivere.

Le tre leggi per l’intelligenza artificiale

Una tecnologia così potente, tuttavia, porta con sé rischi altrettanto grandi. Dall’influenza sui media alla sicurezza informatica, dall’uso bellico al cosiddetto “AI divide”, il divario tra chi possiede la tecnologia e chi ne è escluso, le minacce sono reali e richiedono un quadro normativo.

L’Europa si è mossa con l’AI Act, ma per Metta è necessario andare oltre la legislazione e definire dei principi guida che ispirino gli stessi sviluppatori. Per questo, propone di riadattare le Tre Leggi della Robotica di Isaac Asimov.

Un’AI non deve creare danno a un essere umano

La prima legge, nella visione di Metta, va interpretata in senso esteso. Il danno non è solo fisico. Per evitarlo, nei laboratori dell’IIT si lavora su robot “cedevoli”, ricoperti di sensori tattili che li rendono soffici al contatto e intrinsecamente sicuri.

Ma c’è di più. Si studia anche il danno psicologico e sociale, analizzando l’interazione non fisica tra uomo e macchina attraverso le neuroscienze cognitive. Utilizzando strumenti come l’elettroencefalogramma o la misurazione dello sguardo, si cerca di capire come reagiamo di fronte a un’intelligenza artificiale, per progettare macchine che ci comprendano meglio e non generino ansia o disagio.

Un’AI deve obbedire agli ordini di un essere umano

La seconda legge si scontra con i limiti attuali del linguaggio. Dare un ordine vocale a un’AI può ancora portare a fraintendimenti ed errori. La soluzione proposta dall’IIT è quella di insegnare attraverso l’esempio.

I ricercatori indossano delle tute sensorizzate che trasferiscono i loro movimenti a un robot, controllandolo a distanza. In questo modo, si crea un archivio di azioni corrette. Successivamente, il robot può essere istruito a replicare quelle azioni attraverso semplici gesti: un saluto, una mano tesa, una richiesta di aiuto. La conoscenza viene trasferita in modo implicito, garantendo che il robot esegua il compito nel modo corretto.

Un’AI deve preservare la propria esistenza

La terza legge è oggi la più difficile da soddisfare. Preservare la propria esistenza, per un’AI, significa non fallire, non perdere dati, non dimenticare. E qui Metta ammette con onestà le difficoltà: “il mondo reale è complicatissimo anche per un’intelligenza artificiale”. I fallimenti sono all’ordine del giorno, perché le variabili sono infinite.

La strada per creare sistemi davvero robusti e affidabili è ancora lunga e richiede una profonda comprensione di tutti i modi in cui la tecnologia può fallire. È una sfida ingegneristica e concettuale che ci accompagnerà per i prossimi anni, ma che è fondamentale affrontare per poterci fidare di questi nuovi “amici” che, come nelle storie di Asimov, abbiamo creato per non affrontare più l’universo da soli.

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