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Le imprese più digitalizzate sono più dinamiche, produttive e competitive: le evidenze nel Rapporto competitività dell’Istat

Il “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi” dell’Istat evidenzia come le imprese che investono in tecnologie digitali siano più competitive e produttive, nonostante gli shock della pandemia e della crisi energetica. L’analisi mostra anche l’impatto di questi shock sull’economia italiana, con particolare attenzione all’andamento dell’inflazione, alla recessione tedesca e alla dinamica dell’export regionale.

Pubblicato il 28 Mar 2024

Sostenibilità industriale

Le imprese che investono più nelle tecnologie digitali si sono rivelate più dinamiche, abilitando vantaggi in termini di produttività e competitività che rimuovono anche i limiti tradizionalmente legati alla dimensione aziendale: è una delle evidenze che emerge dal “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi” dell’Istat.

Nell’edizione 2024 del rapporto, la dodicesima, i ricercatori dell’Istat hanno voluto dare continuità con il rapporto 2023, proseguendo l’indagine relativa agli effetti, sul tessuto produttivo italiano, del doppio shock rappresentato dalla crisi pandemica e da quella energetica.

In particolare, i nuovi dati – Registri definitivi 2021, Censimento permanente sulle imprese 2022, Modulo ad hoc della survey sul clima di fiducia di dicembre 2023 – permettono di fornire una quantificazione più accurata degli effetti del doppio shock sia sulla struttura sia sugli orientamenti strategici delle imprese.

Tanti, come di consueto, i temi analizzati dai ricercatori: dal contesto macroeconomico internazionale e italiano all’analisi dell’andamento della fiammata inflazionistica – con un focus sugli effetti della politica monetaria nel favorirne la decelerazione –, agli effetti sull’economia italiana della recessione tedesca, fino all’analisi microeconomica, che si concentra sugli andamenti settoriali.

Diversi gli esercizi di analisi svolti in questo rapporto, tra cui una simulazione dell’effetto che avrebbe un mancato ribasso dei tassi di interesse sulla solidità economico-finanziaria delle imprese.

Quest’ultimo, in particolare, ha sottolineato che in assenza di un intervento al ribasso da parte della Bce sarebbero circa 800.000 le imprese a rischio di scendere sotto la soglia di fragilità.

Una situazione macroeconomica di ripresa tra incertezze e disparità

Il 2023 si è aperto sotto il segno delle incertezze, amplificate dalle tensioni geopolitiche che hanno caratterizzato gli anni precedenti.

In questo scenario complesso, il Fondo Monetario Internazionale ha registrato un rallentamento della crescita economica globale a +3,1%, segnando un passo indietro rispetto al +3,5% del 2022 e al di sotto della media storica del +3,8% (2000-2019).

La diversificazione delle performance economiche tra le principali aree del mondo è stata marcata: Stati Uniti e Cina hanno mostrato una crescita robusta, rispettivamente del +2,5% e del +5,2%, contrapposta alla crescita più moderata nell’area dell’euro (+0,4%) e alla recessione in Germania (-0,3%).

Queste dinamiche hanno trovato riscontro in un contesto di discesa delle quotazioni del Brent e del gas naturale, di un modesto incremento del commercio mondiale di beni e servizi (+0,4%) e di una decelerata inflazione globale, quest’ultima influenzata da una politica monetaria restrittiva adottata dalle principali banche centrali.

Per quanto concerne l’Italia, nel 2023 si è registrata una crescita del Pil reale del +0,9%, sostenuta principalmente da investimenti, consumi finali delle famiglie e da un apporto positivo della domanda estera netta.

Nonostante un contesto internazionale difficile, gli investimenti lordi in volume hanno mostrato un incremento significativo (+4,7%), spinti in maniera preponderante dai mezzi di trasporto e dalla spesa per Ict.

Import/export italiano in calo

Il commercio estero italiano ha risentito della volatilità del contesto internazionale, con le importazioni in calo sia in valore che in volume e le esportazioni che hanno stagnato in valore a fronte di un calo delle quantità.

Il settore energetico e quello dei prodotti intermedi hanno subito le maggiori contrazioni, mentre si è registrata una crescita per i beni strumentali e di consumo non durevoli.

Segni di vitalità sul fronte occupazionale

Il mercato del lavoro ha mostrato segni di vitalità, con una crescita dell’occupazione (+467.000 unità), sostenuta sia dalla componente dipendente sia da quella autonoma, nonostante il rallentamento del ciclo economico.

Gli effetti della politica monetaria sulla dinamica inflazionistica

La politica monetaria restrittiva adottata nel 2023 ha avuto un ruolo chiave nel moderare l’inflazione sia a livello globale che in Italia, anche se il processo di rientro dell’inflazione si è dimostrato complesso e influenzato da una combinazione di fattori di domanda e offerta.

Per quanto riguarda le strategie di risposta alla fiammata inflazionistica, la Federal Reserve ha operato quattro rialzi dei tassi ufficiali, portandoli al 5.5%, mentre la BCE ha effettuato sei rialzi, portando i tassi al 4,5%.

L’inflazione, misurata dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA), ha mostrato segni di rallentamento nell’area euro, passando da un picco dell’8,7% nel 2022 a una stima del 6,8% nel 2023. Questo rallentamento è stato influenzato dall’orientamento restrittivo della politica monetaria, che ha contribuito a moderare la crescita dei prezzi.

In Italia, l’inflazione nel 2023 è stata principalmente influenzata da un “effetto trascinamento” dall’anno precedente, con l’indice dei prezzi al consumo NIC che ha registrato un aumento del 5,7%.

La variazione “propria” del 2023, attribuibile ai rincari dell’anno in corso, è stata pari a solo 0,5% (ma del +4,4% per i beni alimentari). Questo indica che l’inflazione ereditata dal 2022 ha avuto un impatto significativo, ma le misure di politica monetaria hanno contribuito a contenere le ulteriori pressioni inflazionistiche nel corso dell’anno.

Un’analisi delle variazioni dell’IPCA ha mostrato che, nel corso del 2023, i fattori legati all’offerta, come i servizi di trasporto, ristorazione e ricettività, hanno inizialmente fornito un contributo crescente all’inflazione. Successivamente, i fattori di domanda, guidati dalle dinamiche dei prezzi degli autoveicoli e dei beni non durevoli per la casa, hanno assunto un ruolo predominante.

Nonostante questi segnali di rallentamento, sottolineano i ricercatori dell’Istat, la persistenza di componenti inflazionistiche legate all’offerta e ai beni a inflazione persistente suggerisce che la fase di rientro dei prezzi potrebbe richiedere tempo e ulteriori interventi di politica monetaria per stabilizzarsi completamente.

L’andamento dell’industria nel 2023

Nel corso del 2023, l’industria italiana ha navigato attraverso le turbolenze lasciate dalla pandemia, affrontando sfide senza precedenti che hanno messo a dura prova la resilienza del settore.

La performance dell’industria, così come quella dei servizi, è stata segnata da una complessa interazione tra inflazione, condizioni di finanziamento e dinamiche di mercato, sia interne che internazionali. L’analisi dei dati rivela un quadro dettagliato di come questi fattori abbiano influenzato diversamente i comparti produttivi.

Nello specifico, il fatturato dell’industria, nonostante la pressione inflazionistica, ha mostrato un decremento medio annuo del -1,0%, con una leggera ripresa osservata nel secondo semestre del 2023 (+0,4% e +0,9% nel terzo e quarto trimestre, rispettivamente).

Questo andamento ha trovato una dinamica leggermente più positiva nelle vendite sui mercati esteri, rispetto a quelle interne, suggerendo una resilienza maggiore dell’export nonostante le avversità globali.

In particolare, i beni intermedi hanno risentito di un’accentuata volatilità, riflettendo la fragilità della domanda interna, mentre beni strumentali e di consumo hanno mostrato segnali di recupero verso la fine dell’anno, grazie anche a un miglioramento della domanda esterna.

All’interno del comparto manifatturiero, il 2023 si è chiuso con una diminuzione dell’1,0% in valore e del 2,5% in volume, evidenziando un’eterogeneità marcata tra i settori.

Mentre Mobili e Altri mezzi di trasporto hanno registrato incrementi notevoli in valore (+19,1% e +16,8%, rispettivamente), settori come Prodotti in metallo, Chimica, Farmaceutica e Carta hanno subito flessioni significative, segnalando un impatto disomogeneo delle condizioni di mercato e delle dinamiche di domanda. La performance dell’export, in particolare, ha evidenziato una resilienza maggiore rispetto al mercato interno in settori chiave come Autoveicoli e Gomma e plastica.

Il clima di fiducia delle imprese si è deteriorato nel corso dell’anno, attestandosi su valori inferiori alla media di lungo periodo. Le difficoltà nell’accesso al credito, esacerbate dall’inasprimento delle condizioni di finanziamento, hanno rappresentato un ulteriore ostacolo, con un impatto trasversale che ha interessato tutte le dimensioni aziendali e i comparti produttivi, segnalando una crescente pressione finanziaria sulle imprese.

L’effetto della recessione tedesca sull’industria italiana

La Germania, essendo il principale partner commerciale dell’Italia, gioca un ruolo cruciale nell’economia italiana, in particolare nel settore manifatturiero.

Oltre la metà dell’export manifatturiero italiano del 2023 ha trovato destinazione in un ristretto gruppo di paesi, con la Germania in posizione prominente. Questa stretta relazione commerciale sottolinea quanto l’andamento dell’economia tedesca possa influenzare direttamente i risultati delle imprese italiane, specialmente in settori chiave come l’automotive, la metallurgia e l’elettronica.

La recessione tedesca ha esercitato una pressione notevole sull’export italiano, incidendo negativamente sulla produzione di diversi settori manifatturieri. Un’esercitazione di simulazione che prende in analisi le conseguenze che avrebbe un proseguimento della recessione tedesca nel 2023 sulle imprese evidenzia che:

  • riduzioni di valore aggiunto più accentuate per la Manifattura (-0,6%, -1,4 miliardi di euro), meno per l’Energia (-0,3%, -124 milioni di euro), irrilevanti per Costruzioni e Servizi di mercato (-0,1%, rispettivamente -23 e 800 milioni di credito), nulle per i Servizi alla persona. Effetti negativi evidenti si riscontrano per Metallurgia (-2,4%), Apparecchi elettrici e Chimica (-1,2% per entrambi), Minerali non metalliferi (-1,1%)
  • lo shock avrebbe colpito soprattutto le medie imprese (-0,4% di valore aggiunto) in misura superiore a grandi e piccole (-0,2% per entrambe). Le unità con meno di 10 addetti hanno subito un effetto ancora più attenuato (-0,1%), principalmente attraverso meccanismi di trasmissione di tipo indiretto. Le multinazionali a controllo italiano ed estero (rispettivamente -0,3 e -0,2%) e le unità maggiormente coinvolte nelle catene globali del valore
  • tra le unità di media dimensione, più colpite dalla recessione tedesca, i maggiori effetti negativi si riscontrano nella Metallurgia (-5,3% di valore aggiunto), nella Farmaceutica (-2,2%) e nella Chimica (-1,9%). Nel caso dei Prodotti in metallo, nonostante una contrazione di valore aggiunto contenuta in termini percentuali (-1,3%), si osserva una forte riduzione in livello (oltre 150 milioni di euro), seconda solo a quella registrata per la Metallurgia (oltre 200 milioni)
  • proprio la Metallurgia risulterebbe il più penalizzato anche considerando sia le sole multinazionali a controllo italiano, sia le sole imprese full mode GVC (Global Value Chain), ovvero le unità altamente coinvolte nelle GVC, che cioè presentano contemporaneamente una elevata intensità delle importazioni, delle esportazioni e la presenza di una rete commerciale internazionale.
Tuttavia, sottolineano i ricercatori, dal 1995 al 2020 si è registrato una diminuzione della dipendenza della produzione italiana dagli input provenienti dalla Germania, che ha ridotto l’impatto della recessione tedesca sull’economia del nostro Paese.

Le imprese più digitalizzate (anche PMI) sono più dinamiche, competitive e produttive

Il terzo capitolo del rapporto delinea una panoramica comprensiva dell’evoluzione subita dal sistema delle imprese italiane tra il 2019 e il 2022, un periodo caratterizzato da notevoli shock esterni che hanno indotto significativi mutamenti strutturali e strategici.

Nonostante una contrazione nel numero delle unità operative nell’industria, si è registrato un aumento sia degli addetti che del valore aggiunto, sottolineando un processo di concentrazione delle risorse verso imprese di dimensioni maggiori e più produttive.

Questo periodo ha anche visto un cambiamento nelle strategie d’impresa, con un focus particolare sugli investimenti in capitale umano, digitalizzazione e internazionalizzazione, evidenziato da un “Indicatore di dinamismo strategico” che classifica le imprese secondo il loro livello di dinamismo strategico.

L’analisi sottolinea l’importanza crescente degli investimenti in tecnologie digitali, con una distinzione nell’adozione tecnologica tra il 2018 e il 2022, e una trasformazione nel modello di internazionalizzazione verso una maggiore partecipazione alle catene globali del valore.

La sostenibilità economico-finanziaria è stata valutata alla luce dell’inasprimento della politica monetaria, prevedendo potenziali impatti negativi sui bilanci aziendali per il 2023.

Su questo tema, il rapporto ha effettuato un esercizio di stima delle conseguenze di un mancato alleggerimento dei tassi di interesse sui bilanci delle imprese che, nell’impossibilità di prevedere con esattezza l’andamento dei tassi e della redditività delle imprese si è basato sullo scenario più pessimistico.

L’esercizo ha rivelato che in assenza di un alleggerimento dei tassi, le imprese che al 2022 erano classificate come “in salute” o “fragili” ma con redditività positiva potrebbero scendere sotto la soglia di fragilità (sarebbero circa 800.000 quelle esposte, soprattutto nel settore terziario).

“Tuttavia – precisano i ricercatori – , la maggior parte di queste nel 2022 presentava una situazione patrimoniale non sostenibile”.

Tornando agli investimenti, il rapporto evidenzia un sistema produttivo dal carattere “dualistico”, con una predominanza di imprese a dinamismo basso o medio-basso ma anche una quota significativa di imprese altamente dinamiche che contribuiscono in modo decisivo al valore aggiunto e all’occupazione complessiva.

Il periodo esaminato ha mostrato anche un importante spostamento tra le imprese da un livello di dinamismo medio verso estremi sia bassi sia alti, con implicazioni significative per l’innovazione, la digitalizzazione e la sostenibilità finanziaria.

La partecipazione alle catene globali del valore e l’adozione di tecnologie avanzate sono emerse come strategie chiave per le imprese che mirano a mantenere o migliorare la loro competitività in un contesto economico in rapida evoluzione.

In particolare, spiegano i ricercatori, l’adozione di tecnologie digitali sembra superare i limiti legati alla dimensione aziendale: realtà fortemente digitalizzate, anche se di piccole dimensioni, che risultano essere più competitive e produttive anche di grandi aziende meno mature dal punto di vista dell’adozione del digitale.

Cloud, 4G e 5G, cyber security e software gestionali emergono come le tecnologie maggiormente attenzionate dalle imprese dopo il 2018, mentre al 2022 si rilevava ancora una scarsa adozione di tecnologie legate all’IoT, Big Data, Augmented e Virtual Reality, robotica, stampa 3D e simulazione.

L’analisi delle dinamiche territoriali

L’ultimo capitolo del rapporto fornisce una panoramica approfondita sulle dinamiche economiche regionali italiane nel periodo 2021-2023, mettendo in luce l’eterogeneità delle spinte inflazionistiche e le performance dell’export a livello locale, oltre a valutare la sostenibilità economico-finanziaria dei sistemi produttivi.

L’analisi dell’inflazione rivela una distribuzione relativamente uniforme a livello macro-regionale, con tassi che oscillano dal +5,9% nel Nord-ovest al +5,4% nel Nord-est.

Tuttavia, sette regioni superano il tasso di inflazione nazionale, evidenziando un’eterogeneità sottostante influenzata dalla composizione della domanda locale e dalla specializzazione produttiva. In particolare, i prezzi energetici hanno registrato aumenti notevoli, quasi o superiori al 90%, in Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, mentre gli alimentari hanno visto rincari più marcati nel Mezzogiorno.

Sul fronte dell’export, il 2023 ha evidenziato dinamiche territoriali divergenti, con un forte aumento nel Sud (+16,8%) e variazioni più contenute o negative nelle altre macro-aree.

Le regioni del Mezzogiorno, come Campania, Molise e Calabria, hanno registrato i maggiori incrementi, mentre Sardegna e Sicilia hanno mostrato le flessioni più ampie.

Queste dinamiche territoriali riflettono l’importanza della diversificazione dei mercati e dei beni esportati come fattore di resilienza, in anni contrassegnati da eventi extra-economici e geopolitici che hanno impattato i flussi di commercio estero.

Un aspetto cruciale analizzato è la sostenibilità economico-finanziaria delle unità produttive locali, evidenziando un generale rafforzamento del sistema produttivo italiano.

Tra il 2011 e il 2021, tutte le regioni hanno visto migliorare le condizioni economico-finanziarie delle unità locali, con una crescita delle imprese “in salute” e una riduzione di quelle “a rischio”.

Questo trend ha interessato particolarmente il Mezzogiorno, evidenziando un contesto di selezione più severo. Nel 2021, l’89,0% del valore aggiunto proveniva da imprese a redditività positiva, sebbene nel Mezzogiorno il valore aggiunto “in salute” fosse generalmente inferiore alla media nazionale.

Infine, il capitolo esplora la partecipazione delle unità locali alle filiere produttive, svelando una predominanza di imprese monofiliera.

Regioni come l’Abruzzo, la Sicilia e le Marche presentano le quote più elevate di unità monofiliera, mentre Veneto e Lombardia mostrano una maggiore partecipazione a filiere multiple.

Questa analisi fornisce una visione dettagliata dell’importanza di specifiche filiere per il valore aggiunto e l’occupazione regionale, evidenziando settori chiave come l’agroalimentare, i mezzi di trasporto su gomma, l’edilizia e l’abbigliamento nelle varie regioni italiane.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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