È un grafico piatto, che fatica a dare segnali di vita robusti da ormai tre decenni. Dal 1995 al 2024, la produttività del lavoro in Italia è cresciuta a un ritmo medio annuo di appena lo 0,3%. Un “zero virgola” che certifica un ritardo strutturale e che trova una nuova, amara conferma nei dati preliminari Istat per l’anno in corso: il 2024 segna un ulteriore arretramento dell’1,9%. Sebbene la discesa sia meno vertiginosa rispetto al -2,7% registrato nel 2023, il trend rimane negativo, evidenziando una difficoltà cronica del sistema industriale nel trasformare la quantità di lavoro in valore reale.

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Il confronto impietoso con l’Europa
Per comprendere la portata del freno a mano tirato sull’economia italiana, basta allargare lo sguardo oltre confine. Mentre l’Italia avanzava al ritmo dello 0,3% annuo nel periodo 1995-2024, i principali competitor correvano a velocità triple o quadruple. La media dell’Unione Europea (EU27) si è attestata all’1,45%, la Germania all’1,2% e la Francia all’1,0%. L’Italia, come dicevamo, allo 0,3%.

In trent’anni, il divario di efficienza si è allargato inesorabilmente. L’industria in senso stretto ha tentato di tenere il passo, registrando una crescita media annua dell’1,0%, ma è stata zavorrata dalla performance del terziario e da dinamiche sistemiche che nemmeno l’adozione delle nuove tecnologie è riuscita finora a invertire.
La fotografia del 2024: si lavora di più, si produce meno
Focalizzandosi sull’anno in corso, la dinamica appare chiara: il sistema economico italiano assorbe lavoro ma non genera ricchezza in modo proporzionale. Nel 2024, l’input di lavoro misurato in ore lavorate è aumentato del 2,3%. Di contro, il valore aggiunto (la ricchezza effettivamente creata dai settori che producono beni e servizi di mercato) si è fermato a un modesto +0,4%, in netta decelerazione rispetto all’anno precedente.
La forbice tra ore lavorate e output generato determina inevitabilmente il calo della produttività dell’1,9%. Anche la Produttività Totale dei Fattori (PTF), l’indicatore principe per misurare l’efficienza complessiva e l’innovazione dei processi, segna un passo indietro dell’1,2%.
Investimenti in tecnologia: capitale in crescita ma senza sprint
Un paradosso emerge analizzando gli investimenti. Le imprese italiane non sono ferme: l’input di capitale è cresciuto dello 0,5% nel 2024, trainato specificamente dalle componenti più innovative. Si registra un aumento sostenuto sia per il capitale ICT sia per quello immateriale non-ICT (R&S, software, proprietà intellettuale).
Tuttavia, questi investimenti non si sono ancora tradotti in un aumento dell’efficienza aggregata. La produttività del capitale segna una flessione (in particolare nel manifatturiero), suggerendo che l’integrazione delle nuove tecnologie nei processi produttivi è ancora in una fase di transizione costosa, dove l’aumento delle dotazioni non ha ancora sprigionato tutto il suo potenziale in termini di valore aggiunto.
Crollano le costruzioni, respira l’agricoltura
A livello settoriale il 2024 segna la fine definitiva dell’effetto “boom” nell’edilizia. Il comparto delle Costruzioni, dopo i tassi di crescita eccezionali del recente passato (produttività a +7,5% nel 2023), inverte la rotta con un calo dell’1,5%, un contraccolpo fisiologico legato alla rimodulazione degli incentivi.
Soffrono pesantemente i servizi, spina dorsale dell’occupazione ma anello debole della produttività: il commercio, trasporti e alloggio vedono l’efficienza del lavoro contrarsi del 2,3%, le attività finanziarie del 2,7%. In controtendenza solo l’Agricoltura (+1,5%, rimbalzo tecnico dopo il crollo dell’anno precedente) e il settore Informazione e Comunicazione (+0,6%), che si conferma uno dei pochi ambiti capaci di coniugare crescita occupazionale ed efficienza.











