Verso l’Industria 5.0: sfide e vantaggi di un modello umanocentrico

Abilitare un’industria umanocentrica che riduca il proprio impatto sull’ambiente e promuova il benessere dei lavoratori e delle comunità nelle quali operano le aziende non è un cambiamento semplice. Se ne è discusso nel corso dell’incontro “Verso l’Industria 5.0: sfide e vantaggi di un modello umanocentrico” promosso dall’Industrial Innovation Lab, il laboratorio culturale che ha l’obiettivo di creare un ecosistema imprenditoriale sostenibile, rispettoso dell’ambiente e delle persone, per l’evoluzione dell’industria manifatturiera in Italia.

Pubblicato il 13 Gen 2023

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Resilienza, sostenibilità e persone al centro: sono questi i pillar dell’Industria 5.0, come ha sottolineato anche la Commissione Europea in un policy brief incentrato proprio su questo tema.

Abilitare un’industria umanocentrica che riduca il proprio impatto sull’ambiente e promuova il benessere dei lavoratori e delle comunità nelle quali operano le aziende non è un cambiamento semplice: è infatti necessario riconsiderare il modo in cui le tecnologie vengono implementate all’interno delle fabbriche e lungo le Supply Chain, rivedere i modelli organizzativi dell’azienda e i valori che guidano la sua attività, mettere in primo piano lo sviluppo delle competenze dei lavoratori e l’evoluzione del modello di management aziendale.

Dei cambiamenti connessi al paradigma dell’Industria 5.0 e di come le aziende possono farsi trovare pronte a queste trasformazioni si è discusso nel webinar, in collaborazione con il Network Digital 360, “Verso l’Industria 5.0: sfide e vantaggi di un modello umanocentrico” promosso dall’Industrial Innovation Lab – il laboratorio culturale che ha l’obiettivo di creare un ecosistema imprenditoriale sostenibile, rispettoso dell’ambiente e delle persone, per l’evoluzione dell’industria manifatturiera in Italia.

Verso l’Industria 5.0: i trend di cambiamento che stanno dando forma al futuro della manifattura

Il termine “Industria 5.0” ha generato, fin dall’inizio, non poche discussioni e qualche perplessità guidata dal timore che potesse trattarsi di una forzatura.

Il punto determinante è capire se il cambio di numerazione, il salto dal 4.0 al 5.0 indichi o meno una discontinuità con l’Industria 4.0. Anche perché non si tratta di un cambio di passo determinato dalle tecnologie adottate, dal momento che, a livello tecnologico, non c’è quel salto che si è verificato, ad esempio, tra la terza e la quarta Rivoluzione Industriale.

La difficoltà nel comprendere il motivo per cui si parla di un nuovo paradigma per l’industria deriva anche dal fatto che i driver di cambiamento che stanno portando a questa nuova epoca non nascono e non si esauriscono all’interno del mondo manifatturiero, ma hanno origine da trasformazioni più profonde che negli ultimi anni hanno rivoluzionato la società intera:

  • l’accelerazione dei processi di digitalizzazione, che sotto la spinta data dalla pandemia ha consentito di remotizzare anche attività e mansioni che non si immaginava potessero essere svolte a distanza e ha permesso alle aziende di creare nuovi servizi basati sui dati
  • l’interruzione delle catene di fornitura, che ha costretto le aziende a riorganizzare la supply chain e a ricercare una maggiore flessibilità nella produzione
  • la flessibilità richiesta per rispondere alla crescente domanda di personalizzazione dei prodotti
  • la sostenibilità, intesa nella sua accezione più ampia, quindi nella sua dimensione economica, ambientale e sociale.

Le tecnologie 4.0 come elemento abilitante dell’Industria 5.0

Ed è proprio la sostenibilità ad essere al centro dell’Industria 5.0, una fase in cui l’industria realizza quel compito sociale che gli viene attribuito anche dagli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite: farsi promotrice del progresso e generare e promuovere il benessere della società tutta.

Se nell’Industria 4.0 il focus era sull’innovazione generata dalle tecnologie abilitanti, focalizzate soprattutto a garantire un miglioramento dell’efficienza operativa e della produttività, nell’Industria 5.0 ci si chiede invece come queste tecnologie possano essere messe a servizio dell’uomo, alla valorizzazione del suo tempo e delle sue competenze, oltre che a tutela dell’ambiente.

L’Industria 5.0 non si pone, dunque, come elemento di rottura rispetto ad Industria 4.0, quanto piuttosto come sua evoluzione.

“Uno dei concetti alla base della sostenibilità è, semplicemente, avere dei prodotti che durino nel tempo. Il digitale ci può aiutare molto in questo: pensiamo, ad esempio, ai gemelli digitali, che ci consentono di monitorare più accuratamente ed estendere il ciclo di vita del prodotto”, spiega Giorgio Ferrandino, General Manager di SEW-EURODRIVE.

Sostenibilità, come si declina all’interno delle aziende

Nonostante le tecnologie siano ancora una volta fattori che abilitano questi cambiamenti, proprio come è accaduto per i paradigmi dell’Industria 4.0, anche il percorso di transizione sostenibile che sta affrontando la manifattura richiede, in primo luogo, un cambiamento di mentalità all’interno dell’azienda.

“Il primo step è quello di considerare la sostenibilità come un obiettivo di business, quindi immaginarla all’interno del proprio percorso di sviluppo aziendale”, aggiunge Ferrandino.

Superare, quindi, non solo le barriere tecnologiche, ma in primo luogo quelle culturali. E per farlo, spiega Ferrandino, occorre portare le tematiche della sostenibilità all’interno dell’azienda, promuovendo la consapevolezza tra la forza lavoro. Una volta gettate le basi di quello che deve significare, per l’azienda, essere sostenibili, diventa più facile individuare quali azioni intraprendere per far crescere il business.

Un percorso né semplice né breve che tuttavia, se affrontato con il giusto approccio, riesce a portare vantaggi concreti all’azienda. Lo sa bene SEW-EURODRIVE – che ha adottato un piano decennale di sostenibilità – che la vede impegnata:

  • sul lato sociale, con politiche che promuovono il benessere dei lavoratori sia all’interno dell’azienda che nell’ecosistema di fornitori e partner
  • sul lato ambientale, con l’offerta ai clienti di servizi di riparazione e ricondizionamento dei prodotti, oltre al lavoro inerente al riciclo dei materiali a fine vita
  • sul lato economico, con iniziative rivolte alla società e per le scuole

Tuttavia, per quanti sforzi possa fare l’azienda per declinare tutte le operazioni interne nell’ottica della sostenibilità, occuparsi unicamente di ciò che succede all’interno dei confini aziendali non è sufficiente a ridurre l’impatto delle proprie emissioni. Le emissioni interne – ovvero quelle generate direttamente dall’azienda – rappresentano infatti solo una piccola percentuale delle emissioni, mentre le emissioni esterne – riconducibili a tutto ciò che avviene lungo la Supply Chain – rappresentano il grosso della torta.

“Grazie alla rendicontazione ci siamo resi conto che l’impatto delle nostre attività dirette nel ciclo di vita dei prodotti che vendiamo è molto limitato, pari al 5%, mentre il resto si realizza nelle fasi di upstream e downstream della catena di fornitura. Pertanto, senza la collaborazione di tutti gli stakeholder, non è possibile agire sul restante 95%”, aggiunge Ferrandino.

Come cambiano leadership e valori in un’industria umano-centrica

Ma la sostenibilità non è, come abbiamo visto, qualcosa che interessa unicamente l’impatto ecologico dell’azienda e delle sue catene di fornitura, perché nell’era 5.0 l’industria assume anche un valore sociale.

Un compito che, ancora una volta, riesce ad esplicitare grazie alle tecnologie digitali che permettono di automatizzare tante attività a basso valore cognitivo (o perfino pericolose) che venivano in precedenza svolte dagli operatori.

Ed è proprio la valorizzazione delle capacità dei lavoratori, del loro benessere e del loro tempo (anche inteso come work-life balance) ad essere uno dei paradigmi dell’Industria 5.0. Anche in questo caso, il cambiamento deve partire necessariamente dal management: non è infatti solo il business model a dover cambiare, ma anche e soprattutto il modello di gestione dell’impresa.

Cambiamenti che devono partire dagli obiettivi di business, coinvolgendo anche i sistemi premianti, con un approccio olistico e strategico.

“A fronte di obiettivi a breve termine, necessari a garantire il successo del brand sul mercato, dobbiamo imparare a sviluppare degli obiettivi più a lungo periodo che sono generalmente collegati alla sostenibilità. Questo ovviamente spinge a rivedere anche il modo in cui si prendono le decisioni, andando a valutare l’impatto che la decisione avrà sull’intero ecosistema”, spiega Vittorio D’Amato, Professore associato di leadership e people management della LIUC Università Cattaneo.

In un’azienda che si approccia alla sostenibilità cambiano quindi i modelli manageriali, le pratiche decisionali – anche attraverso la condivisone delle informazioni con tutti gli stakeholder interessati – ma, soprattutto, cambiano i valori.

Emergono quindi, spiega d’Amato, due aspetti fondamentali: la servant leadership (ovvero i leader che si mettono al servizio dell’ambiente) e il rispetto verso tutti gli stakeholder, primi fra tutti i lavoratori.

Un cambiamento a 360 gradi che richiede di rimettere tutto in discussione, a cominciare dagli stessi motivi di esistenza delle organizzazioni. Quello che serve, quindi, è partire da una “rifondazione” del management e della cultura aziendale.

Nuove competenze per nuovi business model

Oltre alla leadership aziendale, questi trend di cambiamento spostano anche gli equilibri delle competenze necessarie all’azienda, sia nelle operazioni già consolidate che nella gestione dei processi di innovazione.

“Come sottolinea una ricerca di McKinsey tuttora in corso, nei prossimi anni le competenze che saranno sempre meno utilizzate saranno quelle connesse ad attività fisiche e manuali, ma anche ad attività cognitive di base, perché la tecnologia è ormai in grado di svolgere questa tipologia di compiti e attività”, spiega Elena Tosca, Direttore del Master in Meccatronica & Management della LIUC Business School.

Viceversa, assumeranno un’importanza sempre maggiore competenze di carattere tecnologico e le cosiddette soft skills cognitive e di capacità emozionali e relazionali.

Competenze che diventeranno sempre più importanti, ma per le quali si riscontra già un mismatch, una non corrispondenza tra la domanda e l’offerta.

Le aziende, infatti, riscontrano una difficoltà sempre maggiore nel reperire competenze di:

  • problem solving, pensiero critico, innovazione e creatività
  • capacità di navigare situazioni complesse e incerte
  • competenze comunicative

Ecco che quindi la sfida per le aziende diventa ancora più ardua: accanto alle competenze necessarie per poter utilizzare le tecnologie, si dovranno costruire nella forza lavoro queste altre competenze che si rivelano sempre più critiche per la buona riuscita del processo di innovazione e la sostenibilità del business model.

In questa sfida si inserisce il compito di attori come l’Industrial Innovation Lab, che offre una piattaforma a disposizione delle aziende per condividere esperienze, percorsi, obiettivi e valori, al fine di creare un ecosistema virtuoso che ruota intorno alla cultura di un’innovazione digitale e sostenibile.

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Industrial Innovation Lab è un laboratorio culturale che ha l'obiettivo di creare un ecosistema imprenditoriale sostenibile, rispettoso dell'ambiente e delle persone, per l'evoluzione dell'industria manifatturiera in Italia.Attraverso progetti sperimentali, di innovazione tecnologica e di evoluzione dei modelli di leadership e organizzativi, Industrial Innovation Lab vuole contribuire all’evoluzione delle piccole e medie imprese che operano sul territorio italiano, in organizzazioni agili, innovative e sostenibili.

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