La RIFLESSIONE

Clark: “L’uomo è un cyborg naturale e l’AI è parte della nostra evoluzione cognitiva culturale”



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Il filosofo Andy Clark contesta la visione pessimistica secondo la quale l’uso dell’IA porterà l’uomo a peggiorare le proprie capacità cognitive, sostenendo al contrario che l’uomo è un “cyborg naturale”, da sempre abituato a espandere la propria mente sfruttando le opportunità offerte da strumenti esterni. L’intelligenza artificiale, secondo Clark, è il next step di questa evoluzione: agisce come un partner cognitivo che, se usato con competenza, permette di esternalizzare compiti e liberare risorse mentali per la creatività e il pensiero critico. La chiave? Diventano le meta-competenze…

Pubblicato il 8 lug 2025



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Immagine da Shutterstock



Il dibattito sull’intelligenza artificiale generativa è spesso inquinato da un pessimismo tecnologico che ne evidenzia quasi esclusivamente i rischi. Il timore di fondo è che questi nuovi strumenti possano renderci intellettualmente pigri, erodendo le nostre capacità cognitive e la nostra stessa creatività. Una prospettiva differente e più strutturata arriva dal filosofo e scienziato cognitivo Andy Clark, professore all’Università del Sussex, che, in un articolo pubblicato sulla rivista Nature, invita a riconsiderare la natura del nostro rapporto con la tecnologia.

Secondo Clark l’avvento dell’IA è un nuovo tassello di un percorso che si inserisce nell’essenza stessa dell’essere umano: quello di “cyborg naturale”, organismo biologicamente predisposto a estendere la propria mente e le proprie capacità attraverso strumenti esterni.

L’uomo come cyborg naturale

L’idea che l’essere umano integri sistematicamente artefatti esterni nei propri processi di pensiero non è nuova, ma costituisce il fondamento della tesi della “mente estesa” (extended mind), di cui Clark è uno dei principali teorici.

La nostra mente – questo è l’assunto di partenza – non risiede unicamente all’interno del cranio, ma si espande per incorporare risorse non biologiche che diventano parti integranti e funzionali del nostro apparato cognitivo.

L’esempio più classico è quello della scrittura: Clark nota come le paure che oggi circondano l’IA riecheggino quelle espresse da Platone nel Fedro. In quell’opera Socrate criticava la scrittura, temendo che avrebbe indebolito la memoria, creando un’illusione di sapienza anziché una vera conoscenza interiore. La storia ha però dimostrato che la scrittura non ha distrutto il pensiero, ma lo ha potenziato: un foglio di appunti o un libro non sono semplici archivi di dati, ma piattaforme esterne che ci permettono di scaricare informazioni, liberando risorse neurali per compiti di più alto livello come la riflessione critica e la sintesi.

La simbiosi uomo-tecnologia è una costante della nostra storia evolutiva. Dall’abaco alla calcolatrice, dalla mappa geografica al navigatore GPS, abbiamo sempre delegato funzioni cognitive a supporti esterni. Lo smartphone, con la sua rubrica, l’agenda e l’accesso istantaneo alla conoscenza, è forse l’esempio contemporaneo più evidente di questa estensione cognitiva. Considerare questi strumenti come entità separate da noi è, secondo Clark, un errore di prospettiva. Questi apparati fungono da “impalcature” cognitive che sostengono e amplificano il nostro pensiero. In questa luce l’intelligenza artificiale generativa non è un’entità aliena destinata a sostituirci, ma il più recente e potente strumento che la nostra natura di cyborg si appresta a integrare.

Superare la paura della “stupidità tecnologica”

Le preoccupazioni che l’uso di tecnologie come i sistemi GPS possa atrofizzare il nostro senso dell’orientamento o che la ricerca online ci illuda di sapere più di quanto non sappiamo sono legittime, ma secondo Clark vanno interpretate correttamente.

Il loro effetto, spiega Clark, non è di degradare le nostre capacità, ma di innescare un processo di “offloading cognitivo”: il cervello umano è un organo straordinariamente plastico e orientato all’efficienza; quando una funzione può essere esternalizzata in modo affidabile, tendiamo a riallocare le nostre preziose risorse verso altre attività.

Invece di memorizzare decine di numeri di telefono, oggi il nostro cervello si concentra su come utilizzare al meglio le funzionalità di comunicazione del nostro dispositivo. Invece di dedicare energie alla navigazione stradale, possiamo concentrarci sull’analisi del traffico o sulla conversazione con un passeggero.

Secondo Clark l’obiezione che questo ci renda dipendenti dalla tecnologia è valida solo in parte. Siamo sempre stati dipendenti dai nostri strumenti, a partire dal linguaggio e dalla scrittura. Il punto non è la dipendenza in sé, ma la qualità della simbiosi che riusciamo a instaurare. Il sistema cognitivo ibrido che emerge dalla fusione tra il nostro apparato biologico e le protesi tecnologiche può essere più potente e versatile del solo cervello biologico.

L’intelligenza artificiale generativa come partner cognitivo

L’integrazione dell’intelligenza artificiale generativa porta questa dinamica a un livello superiore. Strumenti come i modelli linguistici di grandi dimensioni non si limitano a immagazzinare o calcolare dati; possono generare contenuti, strutturare argomentazioni, scrivere codice e creare immagini in modi che servono attivamente i nostri scopi. Il loro valore non risiede però nell’usarli come oracoli o come sostituti del pensiero. La vera abilità consisterà nel diventare “utenti esperti” di questi nuovi partner cognitivi.

Questo richiede lo sviluppo di una nuova forma di alfabetizzazione. Dobbiamo imparare a “conversare” efficacemente con l’IA, a formulare i prompt in modo preciso, a valutare criticamente i suoi output, a riconoscere i bias e le potenziali “allucinazioni”.

Il ruolo umano si sposta dalla creazione di contenuto ex novo alla curatela, alla direzione strategica e alla validazione critica. L’IA diventa uno strumento per potenziare la nostra creatività, non per annullarla. Può aiutarci a superare il blocco dello scrittore, a esplorare rapidamente molteplici soluzioni a un problema o a sintetizzare vaste quantità di informazioni. In questo scenario, le risorse cognitive umane vengono elevate a compiti di secondo ordine: la definizione degli obiettivi, il giudizio etico, la visione d’insieme e la saggezza.

Le sfide della nuova simbiosi uomo-macchina

Il percorso verso questa nuova alleanza cognitiva non è privo di sfide. Il rischio maggiore, che lo stesso Clark riconosce, è quello della passività intellettuale. Se ci affidiamo all’IA in modo acritico, senza esercitare il nostro giudizio e senza mantenere un ruolo attivo nel processo di pensiero, allora sì che le nostre capacità potrebbero risentirne. Per questo motivo, è fondamentale ripensare i modelli educativi e formativi.

Come suggerito dallo stesso Clark, l’enfasi deve spostarsi sullo sviluppo di quelle che vengono definite meta-competenze. Non si tratta più solo di trasmettere nozioni, ma di insegnare a orchestrare il proprio sistema cognitivo ibrido. Si tratta, per esempio, di imparare a scegliere lo strumento giusto per il compito giusto, a interrogare l’IA in modo strategico, a valutare criticamente le informazioni generate e, soprattutto, a sapere quando disconnettersi per affidarsi al proprio ragionamento biologico.

L’obiettivo quindi non deve essere quello di bandire questi strumenti dalle scuole o dai luoghi di lavoro, ma insegnare come utilizzarli in modo consapevole, etico ed efficace.

La simbiosi uomo-macchina deve essere governata da principi umani. L’intelligenza artificiale è un amplificatore di intenti, e sta a noi dirigere questa amplificazione verso scopi costruttivi.

La visione di Clark è, in definitiva, ottimistica ma pragmatica. Ci invita a guardarci allo specchio e a riconoscere che la nostra forza è sempre stata la capacità di trascendere i nostri limiti biologici attraverso l’ingegno e la cultura. L’IA è un nuovo capitolo di questa evoluzione culturale e cognitiva. Non siamo alla vigilia di una sostituzione, ma di una profonda riconfigurazione della nostra intelligenza. Il nostro compito è quello di governare questa transizione, diventando architetti consapevoli dei sistemi cognitivi ibridi del futuro.

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