L’effetto-shock è finito, il Ministero dello Sviluppo Economico studia la riforma del Piano Industria 4.0

La spinta del piano Industria 4.0 sulla domanda di beni strumentali è stata forte. Ma gli indicatori economici sembrano indicare che l’effetto degli incentivi si stia esaurendo. Per questo il Governo sta pensando a una riforma del piano per l’innovazione. Marco Calabrò del MISE spiega i sei elementi di valutazione che si terranno in conto per avviare l’intervento di riordino.

Pubblicato il 03 Lug 2019

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L’effetto-shock che il piano Industria 4.0 doveva avere sulla domanda di beni strumentali, per convincere l’industria italiana a uscire da quello “sciopero degli investimenti” durato oltre dieci anni e a rinnovare il parco macchine, c’è stato e si è sentito. Nel 2017 e poi anche nel 2018 il consumo nazionale di beni strumentali è cresciuto in maniera impressionante, compreso quello dei beni “4.0”. Ma gli indicatori economici sembrano indicare che l’effetto-shock sta esaurendo il suo corso.

A pensarla così è Marco Calabrò, dirigente della quarta divisione della Direzione Generale per la politica industriale, la competitività e le piccole e medie imprese del Ministero dello Sviluppo Economico, intervenuto questa settimana a un convegno organizzato dalla Fondazione Ucimu per discutere del Decreto Crescita appena convertito in legge.

Gli indici a cui fa riferimento Calabrò sono quello degli investimenti in impianti e macchinari (esclusi mezzi di trasporto), che hanno subito una battuta d’arresto dal terzo trimestre 2018, e quello degli ordini di macchine utensili, che invece è in territorio negativo da inizio 2018 (con l’eccezione del secondo trimestre 2018 nel quale è stato sostanzialmente stazionario).

Le misure contenute nel piano Industria 4.0, poi Impresa 4.0, insomma, avrebbero esaurito il loro potenziale propulsivo. Segno, questo, che è ora di voltare pagina per passare a una nuova stagione.

Le sei direttrici della riforma

“L’Italia ha conquistato nel 2018 il primo posto nella classifica dell’attrattività dal punto di vista del fisco a favore dell’innovazione, anche se è indietro su altri fattori di competitività. Complessivamente è il decimo paese per attrattività di investimenti diretti esteri”. Le misure, insomma, ci sono, ma le risorse non sono illimitate e quindi occorre monitorare costantemente i successi e gli insuccessi dei singoli strumenti.

Per questo, considerando l’andamento degli investimenti in beni strumentali, il Governo sta pensando a una riforma del sistema di incentivi per Industria 4.0 e per l’innovazione in generale.

Il che è tanto facile a dirsi quanto difficile a farsi. Se è vero che ormai sono le stesse associazioni di imprese a invocare la trasformazione di incentivi in un “piano strutturale”, è altrettanto vero che poi il rinnovo di iperammortamento, superammortamento e Nuova Sabatini viene puntualmente chiesto e salutato con grande entusiasmo.

Da dove partire allora? Davanti alla platea degli industriali Calabrò snocciola sei questioni pregiudiziali, sei elementi di valutazione da affrontare prima di avviare l’intervento di riordino. Ecco quali sono.

1 – Un piano più inclusivo

“Nel 2017 le medie e le grandi imprese hanno assorbito i due terzi delle risorse del Piano”, rileva Calabrò con riferimento all’indagine congiunta Centro Studi Confindustria – Ministero delle Finanze.

Questa è una questione che l’attuale Governo ha già affrontato nella scorsa legge di bilancio e nel decreto crescita rimodulando alcune misure: l’iperammortamento, in primis, con il tetto a 2,5 milioni e gli scaglioni differenziati per classi di investimento. “Il sistema attuale è più conveniente del vecchio regime per investimenti fino a 3,5 milioni di euro sottolinea Calabrò – e l’investimento medio delle imprese supera questo valore soltanto nel caso delle grandi aziende”.

Poi c’è la rimodulazione del credito d’imposta per la formazione 4.0 e il nuovo voucher per l’Innovation Manager, che prevedono soglie d’incentivo diverse a seconda della classe dimensionale.

Va detto – e questa è l’opinione di chi scrive – che le rimodulazioni finora avvenute sembrerebbero andare più nella direzione di ridurre gli incentivi alle grandi che di favorire le piccole imprese. C’è anche una ragione tecnica: ogni volta che si realizza una misura che discrimina gli incentivi per classi dimensionali, l’agevolazione diventa “aiuto di Stato” e quindi soggetto ai vincoli europei. Viceversa lavorare a tetti e aliquote per classi di investimento consente di restare nel regime de minimis. Vedremo come il capitolo PMI sarà affrontato in questo processo di riforma.

2 – Un piano strutturale

Il secondo capitolo è la necessità di uscire dalla logica degli interventi con rinnovo annuale per passare a un quadro strutturale per gli incentivi all’innovazione. È in questa direzione che vanno le richieste del presidente di Ucimu – Sistemi per Produrre Massimo Carboniero, che sul punto trova la sponda di Calabrò, il quale a sua volta ricorda come sia stato il ministro Luigi Di Maio a porre la questione in occasione della scorsa assemblea degli industriali di maggio, quando disse che “diventa fondamentale, ed è questo il mio impegno per il prossimo anno, mettere le imprese in condizione di effettuare una programmazione di medio-lungo termine nella stabilità di un contesto definito. Il Piano deve passare da un approccio straordinario a un approccio strategico”.

3 – Contrasto degli abusi

C’è poi il tema degli abusi, che stanno iniziando a venir fuori nei primi controlli sul credito d’imposta per le spese in ricerca e sviluppo. “È chiaro che la disciplina in alcuni punti può sembrare complessa, ma è proprio in queste pieghe che si inseriscono anche i comportamenti di chi cerca di ottenere benefici che non meriterebbe”, spiega Calabrò, che rileva anche il costante lavoro di chiarimenti effettuato dal Ministero e dall’Agenzia delle entrate con la pubblicazione di circolari e FAQ.

4 e 5 – Dal macchinario alla filiera e il supporto alle competenze

“Questa è la vera sfida del piano per l’innovazione del Ministero dello Sviluppo Economico: riuscire a passare dalla logica di investimento guidato dalle agevolazioni fiscale a una vera logica di innovazione dell’intero processo produttivo dell’impresa”, ha detto ai nostri microfoni Calabrò.

“Un elemento chiave per poter ottenere un obiettivo di questo tipo è credo quello della diffusione delle competenze perché la rivoluzione 4.0 non è soltanto una rivoluzione tecnologica, ma prima di tutto una rivoluzione culturale che richiede la capacità di gestire processi che sono sempre molto complessi”.

E proprio quello delle competenze sarà un tema centrale della riforma del piano Industria 4.0 – Impresa 4.0. Il credito d’imposta per la formazione, per esempio, “è un fattore importante per il reskilling di chi già lavora in azienda”, ma è partito tardi e può essere migliorato.

Allo stesso tempo, per la formazione dei giovani, bisogna lavorare per aumentare il numero di iscritti agli istituti tecnici e agli ITS, tema sul quale scontiamo un notevole ritardo rispetto, per esempio, alla Germania.

6 – Il credito

Da ultimo, c’è il “nodo” dell’accesso al credito. Un punto, però, sul quale il Ministero può fare ben poco e che dipende invece dall’azione degli Istituti di Credito. Un aiuto in tal senso – o almeno una speranza – potrebbe arrivare dalla recente nomina di Stefano Firpo, ex direttore del Ministero – alla direzione di Mediocredito – Gruppo Intesa Sanpaolo.

L’intervista

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Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

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