Perché il 70% di tutte le trasformazioni digitali fallisce

Nelle imprese di tutto il mondo gran parte dei progetti, attività, percorsi di trasformazione digitale si conclude con un buco nell’acqua, risulta un flop, non porta i risultati pianificati e sperati. Nel libro ‘Perché le trasformazioni digitali falliscono’, pubblicato da FrancoAngeli, Tony Saldanha, manager di multinazionali ed esperto di Digital transformation, spiega come mai molte innovazioni aziendali non funzionano e come correre ai ripari per realizzare strategie di successo

Pubblicato il 29 Dic 2020

Un'immagine dal film muto francese del 1902 'Il viaggio sulla Luna'

Nelle aziende, a livello internazionale, il 70% di tutte le trasformazioni digitali fallisce. Un risultato impietoso, preoccupante, molto significativo. Un dato che Tony Saldanha, manager di multinazionali ed esperto in Digital transformation, ha ricavato da analisi e approfondimenti sul tema realizzati nel corso degli anni da McKinsey e PwC. Secondo quanto riportava qualche anno fa il sito forbes.com, la frequenza dei fallimenti digitali arriva fino all’84% del totale. “È un dato sconvolgente, considerando l’altissima posta in gioco. Dobbiamo fare meglio”, rimarca il manager.

Ora che il dato più preciso e ponderato sia 70 oppure 84 o 68 per cento, un aspetto è comunque evidente: nelle imprese di tutto il mondo gran parte dei progetti, attività, percorsi di trasformazione digitale si conclude con un buco nell’acqua, risulta un flop, non porta i risultati pianificati e sperati. Saldanha – che invece l’innovazione digitale l’ha realizzata e portata a termine con successo in un colosso mondiale come Procter & Gamble – parte proprio da queste evidenze e presupposti per trovare rimedi e soluzioni nel suo libro ‘Perché le trasformazioni digitali falliscono’, pubblicato in Italia da FrancoAngeli.

Essendo un manager navigato e molto concreto, abituato non solo a teorizzare l’innovazione ma anche a metterla in pratica sul campo, nella sua analisi di scenario – ben poco elettrizzante e confortante – mette subito in evidenza 5 punti fondamentali.

Uno: le imprese, durante una rivoluzione industriale, o si trasformano o muoiono.

Due: la trasformazione digitale è il tentativo della nostra generazione – di imprenditori, specialisti e manager –, di far fronte alla quarta rivoluzione industriale, quella appunto 4.0 e super tecnologica.

Tre: come già messo in evidenza, fino al 70% di tutte le trasformazioni digitali falliscono.

Quattro: la risposta sorprendente al perché le trasformazioni digitali falliscano sta nella mancanza di una disciplina nel definire e compiere i passaggi giusti per fare sì che la trasformazione digitale decolli e mantenga il vantaggio competitivo.

Cinque: è possibile, e doveroso, fare meglio: è possibile migliorare, e di molto, il tasso di fallimento del 70%.

La cosiddetta quarta rivoluzione industriale sfrutta le tecnologie digitali per trasformare e fondere tra loro il mondo fisico, biologico, chimico e quello dell’informazione. Si tratta di una forza innovativa che offre nuove ed enormi opportunità in ogni area d’interesse per la società – dai servizi (per esempio, lo shopping online) alla tutela della salute (per esempio, le biotecnologie), dalla sicurezza personale (per esempio, la domotica) alla sicurezza alimentare (per esempio, l’agrotech) e così via. Allo stesso tempo, le tecnologie digitali liberano i lavoratori da compiti noiosi e pesanti, e danno l’opportunità di assumersi ruoli e responsabilità con maggiore valore aggiunto.

La digital disruption, questa rivoluzione in corso, “è la fusione tra il mondo fisico, digitale e biologico”, osserva il manager: “il principale motore di cambiamento è la disponibilità di un’enorme capacità computazionale a costi irrisori e sempre più bassi. Perciò, quello che era in forma fisica – per esempio, i negozi di vendita al dettaglio – può essere digitale – per esempio, eCommerce e shopping online. O anche, ciò che era puramente biologico, per esempio la medicina tradizionale, può essere biotecnologico, come le cure geneticamente personalizzate”. Saldanha mette in guardia: “come con ogni altra nuova tecnologia così potente, c’è senz’altro il potenziale per degli utilizzi distruttivi, per esempio, armamenti, bambini geneticamente modificati, perdita di Privacy, liberazione dei peggiori impulsi umani sui social media, eccetera. Fino a che punto il buono prevalga sul cattivo dipende da noi e al momento ci è ignoto. E tuttavia una cosa è garantita: ci saranno dei cambiamenti sconvolgenti. Come nelle tre precedenti rivoluzioni industriali, gli individui e la società saranno colpiti significativamente e le aziende dovranno trasformarsi o morire”.

Rimarca: “la battaglia per prosperare nella quarta rivoluzione industriale non sarà facile, ma è possibile. Possiamo senza dubbio fare meglio dell’attuale 70% di tasso di fallimento, come ho imparato dalla mia esperienza in Procter & Gamble”.

Correre ai ripari, stare al passo con l’innovazione

L’autore di ‘Perché le trasformazioni digitali falliscono’ sottolinea che la trasformazione digitale è l’odierna lotta per sopravvivere alla minaccia della digital disruption causata dalla rivoluzione industriale in corso. Metà delle aziende della lista dei 500 Big di Fortune – la classifica delle realtà più forti e innovative su scala mondiale – si modificherà entro dieci anni. Il cambio di paradigma è enorme ed è pressante. Per il colosso dei servizi finanziari Credit Suisse la durata media di vita di una società S&P 500 oggi è di 20 anni, contro i 60 degli anni Cinquanta, e questa cifra si sta abbassando in fretta.

“Imprenditori, consigli di amministrazione, dirigenti e organizzazioni sono attivamente consumati da questa prospettiva”, fa notare il manager. Ma qui la questione non è tanto arrivare a 20 anni di ‘anzianità media’ dell’azienda, il punto cruciale è che se un’impresa non riesce a innovarsi, a intercettare e cavalcare il cambiamento, la prospettiva molto concreta è quella di un ‘viale del tramonto’ molto più rapido e precoce.

Per correre ai ripari, per cambiare, riorganizzarsi, stare al passo con i tempi e l’innovazione, l’autore del volume pubblicato da FrancoAngeli indica quindi una serie di considerazioni, indizi, riflessioni, consigli. Innanzitutto: “le trasformazioni che avvengono durante le rivoluzioni industriali esigono modelli di business diversi dall’innovazione che sta nei business model correnti e abituali”. Come dire, a cambiamenti estremi, estremi rimedi. Per questo, “per fare in modo che una trasformazione indotta da una rivoluzione industriale decolli serve un modello di business nuovo, differente e disciplinato. Creare una nuova strategia per un diverso modello di business è soltanto il prezzo d’ingresso. L’esecuzione puntuale, efficiente e disciplinata di questa nuova strategia è ugualmente importante”.

Capacità versus incapacità di sostenere le trasformazioni

La vera trasformazione deve includere la costruzione di competenze per mantenere a lungo il vantaggio sulla concorrenza. “Una trasformazione di successo durante una rivoluzione industriale è un bene, ma la leadership sostenibile deve fare un passo ulteriore. Deve appoggiare il business model. La trasformazione è incompleta se il nuovo modello non può essere costruito con un occhio alla sua costante evoluzione”, ammonisce l’esperto in Digital transformation. Che aggiunge: “il successo raggiunto una volta sola è insufficiente per resistere ai ripetuti cambiamenti radicali che accadono durante ogni rivoluzione industriale. Distinguere tra decollo e mantenere il vantaggio è la chiave”.

Secondo il manager di Procter & Gamble, il “decollo di una trasformazione” è il punto critico “per un’operation di successo dell’impresa, nel passaggio da una generazione della rivoluzione industriale alla successiva. Usando un’analogia aerea, il modello operativo di un’impresa decolla da uno stato – la terra – a un altro – il volo –. Ecco: molte imprese falliscono a questo stadio”.

Mantenere il vantaggio: continuando con l’analogia aerea, un decollo di successo deve essere seguito da un volo prolungato. Molte aziende invece falliscono nel mantenere il vantaggio competitivo durante la rotta. “Raggiungere questo stadio di successo va bene per un breve periodo, ma non garantisce la sopravvivenza in periodi di rapidi cambiamenti”, sottolinea l’autore: “il problema è che basta una nuova tecnologia o un cambiamento dell’ecosistema economico per innescare una nuova disruption”.

Sono due i modi in cui una trasformazione digitale fallisce

Nella sua analisi Saldanha spiega che “sono due i modi in cui una trasformazione digitale fallisce. La mancanza di disciplina causa, prima, il fallimento del decollo e, poi, il mantenimento del vantaggio competitivo durante la rotta e quindi lo schianto. Entrambe le sfide erano la mia preoccupazione principale nel 2015, quando ho accettato il compito di mettere in atto una vera e propria disruption in Global Business Services, l’unità migliore di Procter & Gamble”. In pratica, la risposta giusta per realizzare una costante e duratura trasformazione è il metodo, sia nel decollare sia nel mantenere il vantaggio durante la rotta, la soluzione al problema della costante trasformazione digitale è un’execution metodica. La causa sottostante al tasso di fallimento delle trasformazioni digitali del 70% è la mancanza di un metodo adeguato. Non c’è abbastanza rigore tanto nel decollo quanto nel volo.

“Mi occupo di tecnologia e innovazione di business da quasi trent’anni. In questo periodo ho imparato quanto sia importante l’esecuzione rispetto alla sola ideazione”, rileva anche Augusto Fazioli, partner in Business Integration Partners, nella prefazione del libro: “spesso, quando si pensa all’innovazione, si pensa all’atto creativo come unico motore del cambiamento. La realtà è diversa. Per innovare profondamente dobbiamo anche dimostrare una grande disciplina in fase di execution”. Detto in un altro modo ancora: la questione non è solo il cambiamento, nel breve periodo. Altrettanto delicato e difficile è mantenere qualità e livello del cambiamento e dei suoi risultati nel corso del tempo. Altrimenti, anche i 20 anni di vita media di un’azienda in tempi dell’Economia 4.0 sono una chimera.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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