La fabbrica di automobili più produttiva d’America è marchiata Tesla

Bloomberg ha stilato una classifica degli impianti che hanno prodotto più auto a settimana nel 2021 negli Stati Uniti. Lo storico impianto Tesla di Fremont, in California, è risultato vincitore nell’anno in cui la produzione automobilistica mondiale ha perduto milioni di veicoli per le difficoltà della catena di approvvigionamento

Pubblicato il 26 Gen 2022

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La partita Silicon Valley contro Motor Valley per ora finisce 1 a 0, almeno per quel che riguarda la produttività. Bloomberg ha infatti stilato una classifica degli impianti che hanno prodotto più auto a settimana nel 2021 e lo storico impianto Tesla di Fremont, in California, è risultato vincitore.

Le sue 8.550 auto a settimana sono infatti di poco superiori alle 8.427 del grande impianto Toyota a Georgetown (Kentucky); lo stabilimento BMW a Spartanburg (South Carolina) arriva a 8.343 mentre una delle culle del motorismo, lo stabilimento Ford a Dearborn (Michigani) si ferma a 5.564 ma occorre considerare che produce pickup con telaio a longheroni. L’analisi di Bloomberg ha valutato i dati di produzione di oltre 70 stabilimenti nordamericani e messicani.

Più forte della carenza dei chip

La performance di Tesla è ancor più rimarchevole perché ottenuta in un anno nel quale la produzione automobilistica mondiale ha perduto milioni di veicoli per le difficoltà della catena di approvvigionamento, segnatamente nel settore dei semiconduttori.

Nel difficile 2021 Tesla ha aumentato la sua produzione globale dell’83% rispetto al 2020, soprattutto per merito del suo impianto di Shanghai, che ha prodotto circa 486mila vetture. È inoltre prossimo l’avvio della produzione nei due nuovi stabilimenti Gigafactory Berlin-Brandenburg, il primo in Europa, e Gigafactory Texas ad Austin. Musk ha dichiarato in ottobre che conta di aumentare del 50%la produzione a Fremont e Shanghai.

“Piccolo” stabilimento, grande produzione

L’operoso stabilimento Tesla a Fremont è una sorta di residuato bellico dato che è stato edificato da General Motors negli anni ’60 per poi essere gestito insieme a Toyota fino alla bancarotta di GM nel 2009. Con la gestione Tesla si è ammodernato anche se in maniera quasi paradossale: l’azienda ha acquistato la tedesca Grohmann attiva nel settore dell’automazione (già fornitore di BMW e Daimler) salvo poi riconoscere che un eccesso di robot ha mandato il tilt la fabbrica.

Fremont ha però visto anche l’aggiunta di strutture a “tenda” industriale che ospitano linee aggiuntive altrimenti impossibili da sistemare in una fabbrica già gremita. Bloomberg ha anche paragonato la superficie dei vari stabilimenti, riscontrando come quello di Fremont sia uno dei più piccoli: 492mila metri quadrati contro gli 836mila di Georgetown, i 650mila di Spartanburg o 557mila di quello Nissan nel Tennessee, che produce 4.900 auto/settimana.

La nuova Gigafactory di Austin è molto più grande – 734mila mq – ma ha una forma allungata estremamente regolare che somiglia a quella dell’impianto che produce le batterie in Nevada. Il lato maggiore è di ben 1,2 chilometri e il fattore di forma permette linee di produzione lunghe e diritte e un facile accesso grazie alla larghezza contenuta.

Crederci da subito

Dan Levy, analista di Credit Suisse, ritiene che la strategia di Tesla di costruire grandi impianti produttivi nei suoi mercati principali stia dando i frutti sperati. La domanda globale di auto elettriche è molto alta e gli OEM di ogni continente stanno cercando di garantirsi la fornitura di batterie, materie prime e componenti del powertrain. Tesla è, in questo campo, un incumbent perché ha effettuato grandi investimenti più di 10 anni fa e oggi è il cliente principale di molti fornitori chiave, come STM per i dispositivi al carburo di Silicio.

La visione di Elon Musk della sua fabbrica ideale prevede poi che essa abbia una “densità”alta e sia integrata verticalmente e con una forma monolitica. Il tema dell’integrazione verticale, più agevole per la relativa semplicità dei veicoli elettrici, è anche una delle chiavi di volta delle resilienza di Tesla nei confronti della carenza dei chip, una difficoltà che non si risolverà a breve. Tesla progetta hardware e software delle sue automobili e questo le ha consentito di modificare in corsa i suoi componenti per usare chip diversi da quelli introvabili. Gli OEM classici comprano “centraline” e simili da fornitori esterni e questo ha reso quasi improponibile una soluzione alla Tesla.

Produzione più snella

Ma la grande produttività di Fremont è facilitata anche dalla già citata semplicità delle automobili elettriche, che semplifica le linee e gli approvvigionamenti. È anche in questa chiave che si possono leggere gli sforzi per esempio di Volkswagen: una volta “calmierate” le batterie, le elettriche assicureranno margini più alti e impianti più snelli.

In effetti della Gigafactory Berlin si è iniziato a parlare alla fine del 2019 mentre la preparazione del terreno sul quale sarebbe sorto il nuovo impianto è terminata a metà aprile 2020, in piena pandemia. Elon Musk corre forte, si sa, ma anche la produzione più semplice contribuisce alla velocizzazione della costruzione delle fabbriche prima e delle automobili dopo. Una curiosità: la Model Y ha grandi pressofusioni che inglobano in un sol pezzo parte del pianale, i passaruota e molti altri particolari (circa 70) e la loro produzione è resa possibile da GigaPress fornite dall’italiana Idra Presse.

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Nicodemo Angì

Metà etrusco e metà magno-greco, interessato alle onde (sonore, elettriche, luminose e… del mare) e di ingranaggi, motori e circuiti. Da sempre appassionato di auto e moto, nasco con i veicoli “analogici” a carburatore e mi interesso delle automobili connesse, elettriche e digitali.

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