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Dalle tecnologie all’energia all’Automotive, l’allarme degli industriali sulla dipendenza strategica dell’UE e sula competitività



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I vertici di Dompé Farmaceutici, IBM Italia, Marcegaglia Holding, A2A, Mapei e Pirelli lanciano l’allarme sulla vulnerabilità strategica dell’Europa, dalla dipendenza tecnologica dagli USA alla delocalizzazione produttiva. Per recuperare competitività l’Europa deve ritrovare la visione e la capacità di fare sistema…

Pubblicato il 9 set 2025



tavola rotonda assolombarda 8 settembre 2025



“Scusate, abbiamo regalato l’elettrico alla Cina”. La frase, tagliente e priva di giri di parole, non arriva da un analista politico, ma da Marco Tronchetti Provera, Vicepresidente Esecutivo di Pirelli. È una dichiarazione che condensa in poche parole il senso di frustrazione e urgenza emerso da una tavola rotonda che ha riunito alcuni dei nomi più pesanti dell’industria italiana. L’occasione, un incontro organizzato da Assolombarda, ha visto sfilare amministratori delegati e presidenti di colossi come Dompé Farmaceutici, IBM Italia, Marcegaglia Holding, A2A, Mapei e Pirelli. Il tema sul tavolo era l’autonomia strategica, un concetto diventato centrale dopo anni di crisi pandemiche e geopolitiche, ma la discussione è andata ben oltre la teoria, trasformandosi in una diagnosi a tratti spietata dello stato di salute competitivo del continente.

Dai brevetti al cloud, l’autonomia perduta

L’affondo di Tronchetti Provera sull’automotive è purtroppo solo un esempio di una vulnerabilità a livello di sistema che l’Europa si è costruita con le sue stesse mani. Lo stesso top manager di Pirelli ha rincarato la dose sul fronte del Digitale, descrivendo una dipendenza quasi totale dagli Stati Uniti. “Oggi l’Europa dice di avere un 15% di autonomia sui cloud, ma dietro c’è molto ancora di americano. L’altro 85% è tutto americano. Se girano la chiave, con i nostri telefonini ci facciamo le foto, però poi non le possiamo spedire”.

Una percezione, questa, supportata anche dai dati. Sergio Dompé, Presidente di Dompé Farmaceutici, ha fornito le cifre del declino. “Nel 2010 l’Europa deteneva il 22% di tutti i brevetti a livello globale, oggi siamo al 12%”. Un crollo verticale che nel suo settore, il farmaceutico, è ancora più evidente: la quota europea è passata dal 31% al 20%, mentre quella cinese è balzata dal 17% al 28%, avvicinandosi a quella statunitense. Secondo Dompé, questa emorragia di innovazione è figlia di precise scelte politiche. “In 40 anni di politica green abbiamo deciso di delocalizzare produzioni in cui noi italiani eravamo i secondi al mondo”, ha affermato, riferendosi alle materie prime farmaceutiche e agli antibiotici. E oggi arriva il conto da pagare per questa scelta. La reazione? Deve arrivare subito. Dompé usa una metafora automobilistica: in un Gran Premio non ci si può permettere “un pit stop con la pausa caffè”, perché gli altri concorrenti sono già in fuga.

Investire controcorrente tra reshoring e la tenaglia dei dazi

Emma Marcegaglia ha voluto sottolineare come la reazione di alcune imprese sia stata coraggiosa, con un’inversione di rotta rispetto al dogma della globalizzazione efficiente. La sua holding, storicamente trasformatrice di acciaio importato, sta investendo 800 milioni di euro per produrre internamente al continente il 35-40% della propria materia prima. “Ci siamo resi conto che non avere una parziale integrazione upstream era un posizionamento più debole”, ha detto. Questa mossa di “reshoring” non è sì una risposta ai rischi di interruzione delle catene di fornitura, ma è anche un “adattamento” strategico alle nuove normative sulla decarbonizzazione come il CBAM.

Nel frattempo però il contesto globale si è fatto ancora più ostile a causa delle tensioni geopolitiche e commerciali. Proprio Marcegaglia ha messo in luce la nuova minaccia dei dazi, che rischia di vanificare gli sforzi fin qui avviati. Con riferimento ai dazi USA spiega che “sul contenuto di acciaio di molti prodotti si paga il 50% e non il 15%. È un tema molto importante, perché rischiamo di pagare dazi veri molto più alti, con effetti devastanti”. A questo si aggiunge la preoccupazione che l’acciaio asiatico, respinto dal mercato USA, si riversi in Europa, deprimendo ulteriormente il mercato.

L’effetto dei dazi è trasversale, come sottolineato da Renato Mazzoncini di A2A, che ha citato “i costi aggiuntivi che paghiamo per trasportare e rilavorare il gas liquido che acquistiamo dagli Usa”. Anche settori apparentemente non toccati direttamente, come quello di Mapei, ne subiranno le conseguenze. “Quando i prezzi dei prodotti aumenteranno, il potere di acquisto delle famiglie si ridurrà”, ha sottolineato Veronica Squinzi, evidenziando l’effetto a catena sull’economia reale.

Oltre l’emergenza: serve un’alleanza per le infrastrutture e la tecnologia

Se la diagnosi è chiara e le contromisure individuali sono già in atto, la vera soluzione non può che essere a livello di sistema. È Renato Mazzoncini a tracciare la via, richiamando lo spirito del dopoguerra italiano, quando una visione condivisa portò alla costruzione delle grandi infrastrutture del Paese. Oggi, secondo l’AD di A2A, serve una “grande e leale alleanza tra operatori economici, tra chi consuma e chi produce”. Un patto a lungo termine in grado di sostenere investimenti infrastrutturali, come quelli nel nucleare, che richiedono orizzonti di 50-60 anni. “Noi ad oggi non riusciamo a fare neanche le alleanze a 15 anni su un pannello solare”, è stata la sua amara constatazione.

Questa alleanza deve necessariamente avere una forte componente tecnologica. Nico Losito di IBM ha insistito sulla necessità per le aziende europee di passare da un ruolo di “user” a quello di “creator” di tecnologia. L’autonomia, secondo Losito, si costruisce facendo “scelte di tecnologia open”, gestendole su “piattaforme ibride” e sviluppando le competenze interne per costruire i propri modelli, ad esempio nel campo dell’intelligenza artificiale. Significa smettere di essere semplici consumatori di soluzioni progettate altrove e iniziare a costruire un vantaggio competitivo proprio.

L’industria italiana ed europea insomma ha bisogno di risposte: dopo aver perduto asset strategici, dalla produzione di base alla tecnologia digitale, ora avverte tutta la sua fragilità. Le risposte individuali, per quanto significative, non bastano. La domanda che resta aperta è se l’Europa riuscirà a ritrovare quella visione e quella capacità di fare sistema che Mazzoncini ha evocato, prima che la corsa per la competitività globale sia definitivamente persa.

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