L’Italia attraversa infatti una fase di relativa stabilità con un PIL previsto in aumento dello 0,6% nel 2025. Sebbene il dato sia stato leggermente rivisto al rialzo, il Paese continua a crescere alla metà della velocità media dell’Eurozona, stimata all’1,0%.
Si profila dunque una finestra di opportunità che l’Italia deve sfruttare con urgenza per affrontare i nodi della crescita potenziale, prima che l’economia si assesti su un incremento strutturale di appena lo 0,5% nel medio periodo (dopo la crescita dello 0,7% attesa nel 2027), tornando ai livelli modesti che hanno caratterizzato il periodo pre-pandemia.
È questo lo scenario evidenziato dal Rapporto di previsione di Prometeia di per il dicembre 2025.
A livello globale, l’economia sta dimostrando una capacità di assorbimento dell’impatto dei dazi statunitensi superiore alle attese, favorita dalla stabilizzazione dei flussi commerciali e da un’inflazione che rimane sotto controllo.
Nonostante il dinamismo dei mercati azionari, sostenuti dalle prospettive dell’AI (che rappresenta, tuttavia, anche un fattore di rischio) e dai costi contenuti dell’energia, per il 2026 si attende una decelerazione dell’espansione mondiale.

Indice degli argomenti
Gli scenari per l’economia italiana
L’economia italiana beneficia attualmente di alcuni pilastri di sostegno fondamentali: l’attuazione dei progetti legati al PNRR continua infatti a fungere da volano per la domanda interna, garantendo una tenuta dei livelli occupazionali sia nel comparto delle costruzioni che nei servizi correlati.
A questo si aggiunge un quadro finanziario in parziale miglioramento, grazie alla stabilizzazione dei prezzi e a una riduzione dei tassi d’interesse che, per quanto proceda con maggiore timidezza rispetto alla media dell’Eurozona, offre un respiro necessario a imprese e famiglie.
Nel brevissimo periodo, la traiettoria positiva dovrebbe proseguire, alimentata dal completamento dei cantieri europei e da una spesa delle famiglie che resta resiliente, favorita da un’inflazione che a novembre è scesa all’1,1%.
Tuttavia, all’orizzonte si addensano nubi legate al commercio estero. Esaurito l’effetto di accelerazione degli ordini registrato nei mesi scorsi, le esportazioni verso gli Stati Uniti mostrano segnali di stanchezza.
I dati di ottobre confermano questa tendenza, con una produzione industriale in calo dell’1% su base mensile e un generale indebolimento dell’interscambio commerciale.
Sebbene il rapporto riveda leggermente a rialzo le stime per il 2025, portando la crescita del PIL allo 0,6%, il confronto con la media dell’Eurozona, prevista all’1,0%, evidenzia un Paese che continua a muoversi a metà velocità rispetto ai partner europei.

Le proiezioni per il 2025 evidenziano come, una volta esaurito il rimbalzo post-Covid alimentato da massicci stimoli fiscali, l’Italia sia rientrata nei ranghi di una crescita strutturalmente debole.
Si tratta di un equilibrio fragile: le analisi suggeriscono che senza l’apporto del PNRR l’economia nazionale sarebbe rimasta sostanzialmente ferma nel biennio 2024-2025. Per il prossimo futuro, dopo un lieve picco dello 0,7% atteso per il 2026, si prevede che il PIL torni a stabilizzarsi intorno a un incremento dello 0,5%.
Sul fronte dei conti pubblici, la gestione appare ordinata ma priva di una visione di lungo respiro. La legge di bilancio per il triennio 2026-2028 mantiene l’impostazione prudente concordata con le autorità europee, con un deficit previsto al 2,8% per il 2026.

Restano però delle incognite rilevanti, come la necessità di finanziare l’aumento della spesa militare, destinata a pesare per mezzo punto di PIL entro il 2028, i cui costi non sono ancora stati pienamente integrati nei documenti contabili. La manovra per il 2026 mobiliterà circa 18 miliardi di euro concentrandosi sul lato della spesa, ma l’impatto macroeconomico complessivo rimane contenuto.

L’appello a cogliere questa piccola finestra di opportunità
L’attuale “luna di miele” con i mercati andrebbe pertanto sfruttata per avviare le riforme strutturali necessarie in un contesto internazionale cambiato, prima che l’effetto del PNRR svanisca.
La priorità resta la produttività, vero punto debole del sistema Italia. Sebbene l’attuale dinamica occupazionale sostenga i redditi nel breve termine, essa non appare sufficiente a bilanciare le sfide demografiche, segnate dal calo della popolazione attiva e dal crescente peso dell’indice di vecchiaia.
Senza un cambio di passo nell’efficienza del sistema, i segnali di cedimento già visibili sul mercato del lavoro rischiano di trasformarsi in un ostacolo insormontabile per la tenuta sociale ed economica del Paese.
Lo scenario globale: una stabilità apparente tra dazi e riallocazione commerciale
Il quadro internazionale beneficia di una fase di assestamento che ha mitigato l’impatto delle politiche commerciali statunitensi.
Un ruolo determinante è stato giocato dal cosiddetto front-loading, ovvero la scelta strategica delle imprese di anticipare massicciamente l’acquisto e il trasporto di merci all’inizio dell’anno per evitare l’aggravio dei dazi annunciati per i mesi successivi.
Prevedere quale sarà l’impatto di questi dazi, evidenzia il rapporto, non è un esercizio semplice.
Ad oggi l’architettura del commercio globale è attualmente condizionata dall’accordo siglato a fine ottobre tra Stati Uniti e Cina. Il provvedimento prevede una riduzione delle tariffe di dieci punti percentuali, valida esclusivamente fino al 10 novembre 2026, ma lascia inalterato un impianto protezionistico pesante: la tariffa media per le importazioni cinesi verso gli USA resta infatti ancorata intorno al 40%.
Oltre alla dimensione puramente doganale, l’accordo tocca asset strategici come le terre rare – con la rimozione del bando cinese all’esportazione – i semiconduttori e il settore agricolo.
L’area euro mantiene una posizione meno esposta ma comunque rilevante, con tariffe medie intorno al 15%, stabilizzate grazie a un accordo raggiunto tra l’Unione Europea e Washington lo scorso luglio.
“La percezione del mercato è quella di una pausa che però non risolve i problemi in quanto le tariffe sono ancora confermate e continuano a esercitare una pressione costante sulle catene del valore internazionali”, spiega Lorenzo Forni, Segretario Generale dell’Associazione Prometeia.
Le aspettative sull’inflazione negli Stati Uniti
Uno degli aspetti più controintuitivi analizzati nel rapporto riguarda la reazione dei prezzi al consumo negli Stati Uniti di fronte all’innalzamento delle barriere doganali.
Nonostante l’introduzione dei dazi, l’inflazione americana non sta registrando le fiammate che la teoria economica classica suggerirebbe: mentre l’inflazione reale si attesta intorno al 3%, anche le aspettative ad un anno restano contenute (attorno al 2,5%).
Un fenomeno che indica che l’aumento dei costi all’importazione non si sta trasferendo automaticamente sui prezzi finali, ma viene verosimilmente assorbito lungo la catena del valore o compensato da altri fattori deflazionistici interni.
La tenuta dei prezzi, unita a un mercato del lavoro che, seppur in rallentamento, non crolla, contribuisce a mantenere un clima di relativa fiducia, smentendo per ora le previsioni più pessimistiche su una stagflazione indotta dal protezionismo.
Il boom delle esportazioni cinesi
La risposta di Pechino alle restrizioni americane si sta traducendo in una aggressiva diversificazione geografica dei propri sbocchi commerciali.
I dati evidenziano una riallocazione dei flussi senza precedenti, con le esportazioni cinesi verso l’Europa e verso l’Italia in forte crescita negli ultimi mesi.
Una dinamica che conferma che la capacità produttiva di Pechino, lungi dall’essere compressa dai dazi USA, si sta riversando sui mercati alternativi, sfruttando prezzi competitivi per guadagnare quote di mercato in Europa e nelle economie emergenti.

Competizione internazionale tra sistemi finanziari
Sul fronte valutario, la prevista svalutazione del dollaro non si è materializzata. Al contrario, il biglietto verde mantiene la sua centralità, sostenuto anche da nuove strategie finanziarie che vedono negli Stati Uniti un’apertura verso l’uso delle stablecoin per favorire la circolazione del dollaro al di fuori dei confini nazionali e sostenere la domanda di titoli di stato americani.
Un approccio pragmatico che si scontra con la visione europea, molto più cauta e regolamentata, focalizzata sullo sviluppo dell’Euro digitale.
Questa divergenza riflette una competizione non solo tra valute, ma tra architetture finanziarie: da un lato il modello statunitense che integra la finanza decentralizzata per rafforzare l’egemonia del dollaro, dall’altro quello europeo che privilegia la sovranità e la sicurezza delle infrastrutture di pagamento pubbliche.
L’intelligenza artificiale e il rischio di una nuova bolla
L’AI, evidenzia il rapporto, rappresenta oggi il principale motore di ottimismo per i mercati, ma anche una potenziale fonte di instabilità.
Il mercato si trova ora in una fase classica di “picco del ciclo di investimenti”, dove l’abbondanza di utili porta le aziende a investire massicciamente in hardware e infrastrutture (data center e semiconduttori).
Tuttavia, Prometeia mette in guardia contro il rischio di una “bolla”: se questi investimenti non dovessero tradursi in tempi brevi in un aumento concreto della produttività e dei profitti, le aziende sarebbero costrette ad ammortizzare i costi, innescando un brusco calo degli investimenti e una correzione dei mercati azionari.

Al momento, la percezione del rischio è estremamente bassa, ma un eventuale cambio di sentiment costringerebbe a un rapido processo di riduzione dell’indebitamento (deleveraging), con conseguenze pesanti sulla ricchezza globale, data l’enorme quantità di capitali oggi immobilizzati in titoli legati all’AI.
Tre fattori, sottolinea il rapporto, rendono una correzione potenzialmente più pericolosa rispetto al 2001 durante la bolla dot-com: la ricchezza in gioco è molto maggiore (e concentrata in mano a pochi azionisti), i margini fiscali sono più ridotti, e il sistema finanziario è più interconnesso con il settore non bancario, rendendo difficile contenere le fragilità.












