INDUSTRIA 4.0

Integrazione verticale: come funziona uno dei fattori chiave della smart factory

Tutto quello che c’è da sapere sull’integrazione verticale: le tipologie, il funzionamento, i vantaggi e gli svantaggi della quinta tecnologia abilitante dell’Industria 4.0.

Pubblicato il 13 Ott 2023

Integrazione

I tratti più caratterizzanti del paradigma di Industria 4.0 sono senza dubbio l’interconnessione degli asset aziendali e l’integrazione orizzontale, tra macchine e linee diverse, e l’integrazione verticale, che avviene tra lo shopfloor e topfloor, ovvero tra il sistema di fabbrica, da un lato, e i sistemi gestionali (ERP, PLM, WMS, CRM, SCM, ecc.) dall’altro, in una combinazione di ambienti, tecnologie e competenze.

Ma si parla di integrazione verticale anche a livello di filiera, quando cioè un’azienda integra processi a monte o a valle rispetto a quelli per i quali è specializzata.

Integrazione verticale nel settore manifatturiero

Grazie all’interconnessione e all’integrazione verticale i dati possono fluire dal piano della produzione e dei sistemi embedded nei processi produttivi ai livelli esecutivi dell’organizzazione, dalla logistica interna fino ai servizi post-vendita, lungo tutta la supply chain, superando la gerarchia dei livelli di produzione e facendo sì che i processi decisionali possano essere guidati dai dati.

L’integrazione verticale è quindi una strategia attraverso la quale l’impresa mira ad acquisire il controllo dell’intero flusso produttivo al suo interno oppure anche a estendersi verso i fornitori della materia prima (a monte), gli intermediari e/o ai distributori (a valle).

Nel settore manifatturiero, l’esigenza di una migliore integrazione verticale, che in ottica Industria 4.0 rappresenta la colonna portante del processo di digitalizzazione delle smart factory, nasce per ovviare a flussi di lavoro inefficienti, eventi imprevisti e scarsa flessibilità dei processi di produzione che non consentono rapidi adeguamenti alle esigenze dei mercati, tipici delle aziende tradizionali. Grazie all’unione di tutti i livelli logici all’interno dell’organizzazione, alla convergenza tra tecnologia operativa (OT) a livello di produzione e quella informatica (IT) a livello aziendale e al controllo del valore lungo la supply chain, dalla logistica interna fino ai servizi post-vendita, i dati possono fluire liberamente e in modo trasparente fra i diversi livelli, permettendo di prendere decisioni strategiche e tattiche “data-driven”.

Questo comporta una maggiore competitività per le aziende che adottano questo modello di integrazione. Con clienti e fornitori il processo di integrazione si realizza mediante una serie di tecnologie chiave, proprie del paradigma Industria 4.0, quali:

  • Internet of Things (IoT), che fornisce l’architettura di base per il dialogo e la trasmissione dei dati raccolti dai dispositivi IoT e dai sensori installati su macchinari e impianti produttivi consentendo la comunicazione e la correlazione tra fonti diverse nell’ambito di un processo produttivo;
  • Cloud Computing, per migliorare flussi di lavoro e livelli di flessibilità (SaaS, DaaS e HaaS), riducendo le inefficienze;
  • Big data e Data Analytics, per ottimizzare i processi, migliorare l’efficacia delle azioni intraprese e incrementare la produttività;
  • Blockchain per monitorare meglio la tracciabilità dei prodotti.
  • Realtà Aumentata che, grazie alla sovrapposizione di informazioni tramite smartphone tablet e visori, supporta gli operatori nella manutenzione dei macchinari in caso di guasto, assicurando tempi rapidi di ripristino;
  • Intelligenza artificiale, in tutte le sue declinazioni, dal Machine learning al Deep learning, dalla robotica alle reti neurali.

Le applicazioni IoT abilitano anche la manutenzione predittiva degli impianti e dei sistemi, grazie alla quale è possibile ridurre fermi macchina e assicurare la continuità operativa della produzione e del business. Fondamentale per l’ottimizzazione e l’efficientamento dei processi, anche la simulazione realizzata tramite i Digital twin di macchinari e impianti.

L’integrazione verticale nel settore dei servizi: opportunità e sfide

La globalizzazione dei mercati sta spingendo le aziende verso una riorganizzazione continua, necessaria per affrontare contesti sempre più competitivi, e un arricchimento del flusso delle informazioni verticali lungo la catena gerarchica, con l’obiettivo di acquisire maggiore rapidità di risposta ai mutamenti delle esigenze del cliente, maggiore flessibilità, efficienza e competitività sul mercato.

L’integrazione verticale consente di completare la propria filiera, con l’obiettivo di fornire un prodotto o servizio completo e concorrenziale, grazie ad una maggiore trasparenza e visibilità su quanto accade all’interno della fabbrica e lungo l’intera supply chain resa possibile dalle tecnologie digitali. È così possibile creare processi di filiera integrati, tracciabili ed efficienti, e più resilienti ai cambiamenti della domanda e del mercato, a vantaggio di una maggiore competitività.

È proprio nel settore della logistica 4.0 e dei servizi che l’integrazione verticale esprime le sue grandi potenzialità, grazie a soluzioni di analytics, che rendono più efficiente il manufacturing e valorizzano la conoscenza di tutti i processi, e di Real Time Location System (RTLS) che consentono il rilevamento e il tracciamento in tempo reale del prodotto nonché del suo ciclo di vita, dalla produzione al cliente finale, in termini di specifiche di conformità, possibilità di risalire alle cause di eventuali difetti, tempistiche relative all’evasione delle commesse, ecc. Il monitoraggio dei dati relativi al prodotto, anche nella fase di post-vendita, permette inoltre di fornire servizi a valore aggiunto al cliente.

Come l’integrazione verticale può ridurre i costi di produzione

I vantaggi economici che derivano dall’adozione di un modello di integrazione verticale sono legati alla capacità dell’azienda di realizzare tutte le fasi che compongono il prodotto finito internamente ai propri confini, a fronte della possibilità di disporre dei capitali di investimento e del personale necessari. Maggiore è la quantità di prodotti realizzati, minore sarà il costo unitario di produzione per via della possibilità di distribuire i costi fissi su più unità produttive.

La pianificazione strategica che è necessaria per l’internalizzazione di tutte le fasi che compongono il ciclo produttivo, comporta una più efficiente ripartizione di costi, compiti e responsabilità, ed una ottimizzazione di strutture, macchinari e uomini, a cui consegue una ulteriore riduzione dei costi. Inoltre, grazie al collegamento tra tutti i livelli logici dell’azienda, al continuo fluire dei dati lungo l’intero processo produttivo e allo scambio di informazioni dai reparti OT a quelli decisionali, risulterà possibile prendere decisioni strategiche basate sui dati (Data Strategy) e utilizzarle al meglio per supportare uno sviluppo efficace del proprio piano di business e ridurre i costi di produzione.

Sfruttando i benefici della Data Strategy, è possibile essere in grado di far fronte a continui imprevisti, come la scarsità di materie prime, l’aumento dei costi e aspettative sempre più alte da parte dei clienti. Inoltre consente una gestione ottimale degli scarti, l’ottimizzazione delle tempistiche e della logistica interna, il monitoraggio real-time e il controllo qualità. Tutti fattori che concorrono ala riduzione dei costi di produzione. Anche l’analisi predittiva rappresenta un fattore importante grazie alla riduzione dei fermi macchina la riduzione tempi di attrezzaggio.

Con l’introduzione di processi di lean production i risparmi possono essere significativi. L’automatizzazione di operazioni manuali e ripetitive riduce gli errori e snellisce i processi, contribuendo alla riduzione dei costi di produzione.

L’integrazione verticale lungo la filiera

Esistono diversi modelli con cui un’azienda può implementare un’integrazione verticale lungo la filiera.

Se infatti si considera il processo a ritroso mediante il quale un’impresa assume il controllo di determinati processi produttivi antecedenti alle operazioni di produzione normalmente svolte, si parla di integrazione verticale a monte o ascendente; se, invece, si fa riferimento alla fase di distribuzione, oppure se l’azienda subentra in processi produttivi successivi all’area di sua normale competenza, si parla di integrazione verticale a valle o discendente.

Per rendere meglio l’idea con un esempio pratico, il primo caso, si riferisce ad un’azienda che assembla computer e decide di produrre monitor. Il secondo, a quello in cui un’azienda che produce computer decide di aprire un punto vendita.

Riassumendo quindi:

  • l’integrazione verticale a monte è rivolta al controllo e alla proprietà della produzione degli input;
  • l’integrazione verticale a valle, al controllo e alla proprietà della produzione degli output.

Perciò, se l’intento dell’impresa è quello di assicurarsi fonti di approvvigionamento, al fine di ridurre i relativi costi e, al contempo, garantire al ciclo di produzione una continuità di rifornimento, dovrà attuare un modello di integrazione verticale ascendente, internalizzando processi di produzioni precedentemente acquistati all’esterno. Quando invece l’obiettivo è l’incremento del margine di contribuzione e l’immissione in un mercato prossimo a quello finale, per migliorare la previsione ed esercitare un controllo più efficace della domanda, le imprese dovrebbero attuare una strategia di integrazione verticale discendente.

Accanto a queste due forme di integrazione verticale, che identificano le due tipologie principali del modello, la stessa si può anche definire come:

  • completa, quando tutta la produzione del primo stadio di una filiera viene trasferita al secondo senza acquisti o vendite che coinvolgano terze parti;
  • parziale (o incompleta), quando gli stadi di produzione a monte e a valle, rispettivamente, non sono internamente autosufficienti al soddisfacimento integrale del fabbisogno espresso dallo stadio preesistente (integrazione ascendente) oppure non è tale da assorbire tutto l’output generato dal preesistente stadio a monte (integrazione discendente).

Integrazione verticale vs. esternalizzazione: quale strategia scegliere

Non esiste un modello di produzione industriale migliore di un altro. Per un’azienda, la scelta sarà funzione di una serie di fattori, tra i quali, la dimensione e il grado di maturità, il capitale disponibile, il tipo di mercato, ecc.

Prima di implementare un’integrazione verticale, un’azienda dovrebbe quindi eseguire un’analisi “make or buy”. La scelta tra integrazione verticale e esternalizzazione si riconduce, infatti, ad una tipica decisione di “make or buy”, ovvero di valutazione tra l’alternativa di produrre in proprio, internalizzando la realizzazione di attività (make) oppure di esternalizzare attività già svolte all’interno della propria organizzazione aziendale a terze imprese (outsourcing), acquistando presso un fornitore (buy). L’analisi “make or buy” serve proprio per comprendere le capacità dell’azienda di realizzare il prodotto, sia dal punto di vista esperienziale che economico, di scegliere i fornitori, di individuare di mezzi e modi per ridurre i costi e realizzare processi in modo più efficiente.

L’outsourcing o de-integrazione verticale consiste nel trasferire attività proprie di un’azienda, non determinanti per il raggiungimento di vantaggi competitivi, a fornitori esterni esterna che possiedono le capacità tecniche ed organizzative per svolgerle. Il ricorso all’outsourcing permette di concentrare le risorse sul core business dell’azienda, delegando ai soggetti terzi la gestione di settori secondari, ridefinendo così i confini dell’impresa.

Ricorrere all’esternalizzazione consente una gestione più elastica dei costi, aumentando la disponibilità di risorse finanziarie da utilizzare per ulteriori iniziative, e fa sì che la struttura organizzativa sia più flessibile ai cambiamenti del mercato. È bene comunque precisare che questa operazione non è esente da rischi connessi ad errori di valutazione sia del partner che delle attività da esternalizzare; inoltre, occorre anche valutare attentamente i problemi connessi alla perdita di controllo del processo produttivo del servizio ceduto. In alternativa, le PMI potrebbero valutare l’opzione dell’integrazione verticale parziale, che consente loro di scegliere quali fasi del ciclo produttivo svolgere all’interno della catena verticale (insourcing – strategia “make”) e quali invece delegare esternamente ad altre imprese (outsourcing – strategia “buy”). Con la globalizzazione dei mercati, l’outsourcing è una strategia in continua crescita. Per molte PMI del settore manifatturiero rappresenta ancora oggi una scelta produttiva vincente che consente loro di mantenere un vantaggio competitivo grazie a costi più bassi di quelli praticati dalla concorrenza (leadership dei costi).

Vantaggi e svantaggi dell’integrazione verticale: cosa sapere

Adottare e implementare in azienda un modello di integrazione verticale comporta una serie di vantaggi, tra i quali, i principali sono:

  • Vantaggio competitivo: le soluzioni tecnologiche e le strategie derivanti da un approccio verticale all’integrazione consentono di rispondere con tempestività e agilità all’evoluzione del mercato e alle nuove opportunità, permettendo all’impresa di avanzare rispetto alla concorrenza in un contesto di mercato sempre più competitivo, il cui obiettivo è l’efficientamento produttivo aziendale.
  • Abbattimento dei silos: l’introduzione nell’area di produzione di sistemi di automazione e macchine tecnologicamente avanzate provenienti da diversi fornitori, richiede, perché possano essere interconnessi e dialogare in una integrazione di tipo verticale che garantisce il flusso dei dati e l’eliminazione dei sistemi isolati e indipendenti, protocolli di comunicazione comuni e una uniformità dei livelli di automazione. È necessario quindi configurare una meta-rete che superi le disparità nelle comunicazioni.
  • Scalabilità dell’infrastruttura IT: per supportare il percorso dell’impresa verso la digitalizzazione è necessario modificare i sistemi e le infrastrutture IT introdotti dall’integrazione verticale, parallelamente all’aumento del volume e della velocità dei dati.
  • Migliore coordinamento: a sistemi IT e processi di produzione progressivamente sempre più integrati e complessi, corrisponde necessariamente l’adozione di solide piattaforme di coordinamento e condivisione dei dati in grado di fornire visibilità end-to-end e fruibilità delle informazioni su diversi sistemi e entità distribuiti.
  • Maggiore velocità di arrivo del prodotto al consumatore: l’integrazione verticale consente di accelerare l’arrivo di un nuovo prodotto al consumatore, soprattutto quando il mercato di inserimento è giovane.
  • Maggiore agilità della supply chain: il maggiore controllo sul processo produttivo permette di ridurre i tempi di consegna e fornitura, migliorando l’elasticità dell’offerta.
  • Riduzione dei costi: l’economia di scala favorisce la diminuzione dei costi di produzione e di consegna. In generale, l’integrazione verticale genera dei risparmi di costo, in termini di trasporto, di energia, ecc., che sono generati dalle cosiddette economie tecniche, prodotte dall’integrazione fisica dei processi.

È bene evidenziare anche gli eventuali svantaggi in cui potrebbero incorrere le aziende in seguito all’implementazione di un modello di integrazione verticale, premettendo che la sua adozione comporta un discreto livello di complessità gestionale. Ampliare la propria linea di lavoro, a monte e/o a valle, richiede, infatti, delle competenze specifiche, spesso, di non facile o immediato reperimento. Per questo non è raro assistere a dismissioni finalizzate a riportare il business alla sua principale area di competenza. Una soluzione potrebbe essere rappresentata dall’outsourcing ad aziende in possesso di competenze tecniche più specifiche, come forma di integrazione verticale parziale di più facile applicazione per le PMI del settore manifatturiero.

Non bisogna sottovalutare anche i costi relativi all’investimento iniziale, che può essere importante e richiedere in alcuni casi un aumento del debito per le spese in conto capitale. Inoltre, per quelle aziende il cui core business rappresenta uno specifico processo industriale, l’adozione di un modello di integrazione verticale potrebbe distogliere risorse e attenzione da tale area di lavoro, compromettendone il successo.

I rischi in termini di sicurezza sono principalmente legati al contesto di industria 4.0 in cui l’integrazione verticale si cala e sono connessi alla Safety dei lavoratori e alla Cyber-security dei macchinari interconnessi.

  • La Safety riguarda la tutela dei lavoratori in quanto l’interazione con macchinari e tecnologie all’avanguardia potrebbe esporli a potenziali pericoli che non vano sottovalutati, adeguando struttura e personale alle norme vigenti.
  • La Cybersecurity riguarda la sicurezza dei sistemi IT dell’azienda, per tutelarsi da minacce e attacchi informatici. Tanto più numerose sono le tecnologie integrate e quanto più estesa è l’infrastruttura di rete, tanto maggiore sarà il rischio a cui si è esposti. La condivisione dei dati con l’esterno necessaria per l’integrazione verticale rappresenta una fonte di rischio aggiuntivo per la privacy.

Come valutare il successo dell’integrazione verticale in azienda

Infine, se l’integrazione verticale consiste nell’internalizzazione di una serie di attività verticalmente correlate, quanto maggiori sono la proprietà e il controllo esercitato da un’impresa sulle fasi successive della catena del valore, tanto maggiore sarà il grado di integrazione verticale dell’impresa stessa. Il successo dell’integrazione verticale in azienda è funzione del grado raggiunto ed è misurato dall’indice di Adelman, calcolato dal rapporto fra il valore aggiunto creato dall’impresa e il suo fatturato.

In pratica, più alto è il numero di lavorazioni svolte all’interno dell’impresa, minore sarà lo spazio per gli scambi di mercato perché aumentano i passaggi di beni che vengono presumibilmente effettuati all’interno dell’azienda. Con l’aumento del numero di fasi svolte dall’impresa cresce il valore aggiunto da essa prodotto. In funzione di ciò il rapporto tra valore aggiunto/fatturato può essere considerato un indicatore del grado di integrazione verticale dell’organizzazione.

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Patrizia Ricci

Laureata in Ingegneria con un Dottorato di Ricerca in Meccanica delle Strutture, ha perfezionato i propri studi presso l’Università di Bologna e l’Imperial College di Londra, dove ha svolto attività di ricerca nel campo della dinamica delle strutture e della meccanica della frattura. Appassionata di tecnologia e innovazione, dal 2007 collabora regolarmente con diverse testate nei settori Automotive, Construction e Industry come autrice di articoli e approfondimenti tecnici.

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