In un’intervista rilasciata il 17 gennaio al Sole 24 Ore l’ex-Presidente Romano Prodi tocca i temi dell’istruzione tecnica e della “ricerca mirata allo sviluppo dell’Industria 4.0”. Non è mancato il solito impietoso paragone con il sistema di istruzione tedesco e con i centri Fraunhofer. “Sono vent’anni che mi batto perché venga incentivata l’istruzione tecnica – sottolinea Prodi – prima si parlava di periti, oggi anche di ingegneri. Alla nostra industria mancano queste figure”. Ed ecco arrivare la stoccata pop del professore: “Forse, per convincere i giovani a scegliere queste carriere, bisognerebbe fare una serie televisiva sui periti industriali, non solo sui carabinieri”.
Primo punto. Ma è proprio vero che alla nostra industria mancano periti e ingegneri? Andiamo a vedere i numeri. In Italia ci sono 45 mila periti industriali e 200 mila ingegneri iscritti agli albi professionali (oltre 500 mila in totale). I dati OCSCE e ISTAT ci dicono che la quota dei laureati in discipline tecnico-scientifiche è di circa il 13%, percentuale in linea con la media europea . È vero che ci sono decine di migliaia di posti di lavoro vacanti, in particolare nell’IT e nell’ingegneria industriale. Ma è anche vero che ogni anno dei circa 25 mila laureati in ingegneria, quasi un terzo se ne va all’estero in cerca di condizioni di lavoro migliori e generalmente le trova. C’è poi il dato di fondo che vede il sistema Italia assorbire in media 23 milioni di lavoratori su 60 milioni di abitanti. Per raggiungere la normalità dovrebbero lavorare dai 3 ai 7 milioni di persone in più. Per tornare ai tecnici e agli ingegneri, a nostro parere il punto vero è che domanda e offerta di lavoro in Italia non si incontrano e non si capiscono: retribuzioni, mansioni, condizioni di lavoro e prospettive di carriera sono percepite in modo profondamente diverso da chi il lavoro lo offre e da chi lo cerca. La mancanza di un piano di formazione tecnica nazionale e soprattutto di una politica industriale fa il resto.
Secondo punto. La questione delle serie televisive evocata da Prodi ha invece un fondamento più solido. L’intrattenimento popolare contribuisce a definire l’immaginario e i modelli di riferimento di un Paese. E in questa narrazione la scienza e la tecnica sono fondamentalmente assenti.
I carabinieri, come giustamente osserva il professore, sono onnipresenti. Ma se parliamo di serie TV, talk show e reality bisogna prendere nota anche del dominio di preti, suore, cantanti, cuochi, tronisti, rich kids, ballerine, stilisti, ex calciatori e opinionisti di dubbia provenienza. Per completezza del catalogo.
Eppure esiste una notevole eccezione: “The Big Bang Theory”, pluripremiata serie TV americana. Successo planetario i cui protagonisti sono tre fisici, un ingegnere, due biologhe e una ragazza molto attraente ad equilibrare il resto della compagnia. La sitcom vanta come consulente l’astrofisico David Saltzberg della Ucla e guest star del calibro di Stephen Hawking, Michael Massimino, George Smoot, Steve Wozniac. Le equazioni, le battute, le citazioni e i dialoghi scientifici sono curati nel minimo dettaglio. Per sfruttando abilmente la comicità e l’orgoglio nerd, The Big Bang Theory funge da vero e proprio canale di divulgazione scientifica.
Ciò è reso possibile anche dall’epica individuale che accompagna la rappresentazione tipicamente americana delle professioni. Nella quotidianità lavorativa italiana contornata di frustrazioni, furberie e dinamiche opache tutto questo sarebbe più complicato. Una serie TV italiana costruita intorno a scienziati e tecnici sarebbe probabilmente un flop anche per la difficoltà di adattare il registro dell’ironia al contesto scientifico e alle rivalità professionali. Come quando Sheldon Cooper (l’eccentrico e geniale fisico interpretato da Jim Parsons) chiede all’amico Howard Wolowitz “Vorrei davvero avere il parere un ingegnere. Questa sedia cigola. Cosa mi consigli? La faccio aggiustare o ne compro una nuova?”.
Concordo con Franco: purtroppo si collega l’attività tecnica/pratica allo “sporcarsi le mani”… molto meglio avere un figlio manager, no?
Fa niente se poi scopri che un operatore specializzato, un tecnico manutentore o un saldatore capace hanno un buon stipendio, possono scegliere se e quando cambiare azienda (trovando più facilmente posto di un laureato in altre materie) e risultano mediamente più soddisfatti del proprio lavoro.
E lo dico da perito meccanico che – ahimè – non ha fatto esperienza di officina ma si è trovato da subito nel mondo del giornalismo tecnico (che adoro, sia chiaro! 😀 )
Tornando in topic, c’è da dire che ci sono molti programmi TV di carattere tecnico (i vari “come è fatto” e via discorrendo) che stanno attirando l’attenzione del pubblico. Speriamo che con la prossima generazione qualcuno impari ad apprezzare anche i lavori manuali…
Il problema è proprio culturale. Siamo tutti bravi a dire che ci vogliono più periti, ma chi di noi vorrebbe mandare i propri figli all’istituto tecnico invece che al liceo? Ti ricordi “bella factory” della Fondazione Ergo, di cui abbiamo parlato su questo sito? Ecco bisogna ridisegnare l’immaginario dell’industria e anche capire che la cultura tecnica non è (necessariamente) sottocultura