Formazione, la pandemia ha spinto gli investimenti delle aziende: nel 2020 quasi il 70% ha svolto corsi e attività

Secondo l’Istat nel 2020 il 68,9% delle imprese attive in Italia con almeno dieci addetti ha svolto attività di formazione professionale, con la percentuale che sale al 90% tra le grandi imprese. La formazione ha giocato un ruolo cruciale proprio per i cambiamenti (sia tecnologici che organizzativi) che le imprese hanno adottato in risposta all’emergenza sanitaria.

Pubblicato il 30 Dic 2022

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Nel 2020 il 68,9% delle imprese attive in Italia con almeno dieci addetti ha svolto attività di formazione professionale, con la percentuale che sale al 90% tra le grandi imprese (250 addetti e più): è quanto sottolinea il rapporto dell’Istat sulla formazione nelle imprese nel triennio 2018-2020.

La pandemia non ha quindi interrotto gli investimenti delle imprese in formazione. Al contrario, per rispondere all’emergenza sanitaria, molte imprese hanno adottato nuove tecnologie e rivisto i processi interni.

L’investimento in formazione è divenuto quindi necessario per rendere la forza lavoro in grado di adattarsi a questi cambiamenti e per creare internamente le competenze necessarie, che mancano in molte aziende.

La spinta accelerativa che la pandemia ha dato alla digitalizzazione delle aziende ha inoltre portato a nuove modalità di formazione (come la formazione a distanza), che si sono affiancate alle modalità più tradizionali.

Formazione fondamentale per la trasformazione organizzativa e tecnologica delle imprese

Nel triennio 2018-2020 quasi tutte le imprese italiane hanno dichiarato di aver effettuato cambiamenti significativi che, per sette imprese su dieci (e per quasi il 90% di quelle di grandi dimensioni), hanno interessato i processi e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

In particolare, il 43,4% delle imprese riferisce di averlo fatto come risposta alla crisi pandemica.

Le trasformazioni in corso negli ultimi anni hanno avuto impatto anche sul contesto gestionale delle imprese, modificandone i metodi di lavoro e le prassi organizzative (es. team autonomi, telelavoro, organizzazioni orizzontali), interessando due terzi delle imprese, soprattutto per l’emergenza sanitaria (il 60,3% delle imprese la segnala infatti come causa del cambiamento).

Inoltre, quasi i due terzi delle imprese hanno ridefinito i propri processi produttivi, riconvertendo la produzione o sviluppando nuovi prodotti o servizi e il 48,8% ha modificato o ampliato i propri canali di vendita o metodi di fornitura/consegna dei prodotti o servizi (es. passaggio ai servizi online, e-commerce e modelli distributivi multi-canale).

In questo quadro di forte evoluzione tecnologica e organizzativa la formazione ha giocato un ruolo fondamentale. Infatti, ha svolto attività formative nel 2020 oltre il 70% delle imprese che hanno innovato i processi e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (74,3%) e di quelle che hanno cambiato metodi di lavoro e prassi organizzative (73,4%).

Per supportare le nuove attività sono stati introdotti strumenti per la formazione a distanza degli addetti circa nella metà delle imprese (due terzi delle quali a causa della crisi pandemica) con valori superiori alla media nazionale in alcune regioni del Sud (Abruzzo 67,0%, Puglia 56,1%) e delle Isole (Sardegna 59,7%).

Situazione eterogenea per settori e distribuzione geografica

Alcune differenze si osservano in termini di settore di attività. Se i settori delle ICT e dei servizi professionali emergono tra quelli che hanno introdotto i cambiamenti più rilevanti, le imprese attive in alloggio e ristorazione risaltano per aver utilizzato la formazione a supporto delle innovazioni, in percentuale maggiore (85,2%) rispetto ad altri settori.

Nel dettaglio, presentano un’incidenza superiore all’80% le imprese attive nei settori Servizi finanziari e assicurativi (96,4%); Fornitura di elettricità, gas, acqua e gestione rifiuti; Apparecchi meccanici, elettrici, elettronici (83,7%); Costruzioni (82,1%); Telecomunicazioni, editoria, informatica (82,0%).

Sotto la media nazionale si pongono i settori dell’Industria della carta, cartone e stampa (54,1%); i Servizi di alloggio e ristorazione (48%); il settore del Tessile e abbigliamento (47,6%).

Per quanto riguarda l’analisi degli investimenti per distribuzione territoriale, hanno fatto formazione soprattutto le imprese situate nel Nord-est (74,5%) e nel Nord-ovest (72,3%), in linea con le precedenti rivelazioni.

Sotto la media nazionale, ma in aumento rispetto al 2015, le imprese che hanno svolto attività formative nel Centro (65,3% contro 55,5% nel 2015), nel Sud (62,2% e 48,4) e nelle Isole (56,9% e 44,3%). Tra le regioni, sono sopra la media i valori delle imprese di alcune Regioni del Sud (Abruzzo 77,1%; Molise 75,0%, Basilicata 73,4%).

Nuove tipologie di formazione durante la crisi pandemica

La modalità più diffusa per la formazione nelle imprese è ancora quella “tradizionale”, ossia quella di tipo frontale (59,5% delle imprese), ma nel 2020 ha assunto rilevanza l’utilizzo di attività formative diverse dai corsi nella metà delle imprese (con un incremento di 10 punti percentuali rispetto al 2015).

Emerge la formazione a distanza, adottata da quasi un terzo delle imprese, ossia di quelle realtà produttive che grazie all’utilizzo del digitale hanno potuto investire sul proprio capitale umano anche durante la crisi pandemica e con l’interruzione delle attività ordinarie.

Nell’ambito delle attività formative utilizzate dalle imprese rientrano anche la formazione in situazione di lavoro, l’affiancamento e rotazione nelle mansioni, la partecipazione a convegni, seminari e workshop (fruibili online durante la pandemia) e la partecipazione a circoli di qualità.

Il periodo pandemico ha infatti accresciuto l’utilizzo di momenti di aggiornamento delle proprie conoscenze e competenze attraverso gli strumenti di collaborazione e interazione digitale, da un lato, e, dall’altro, favorito anche il cambiamento in termini di organizzazione del lavoro.

Il settore di attività e la dimensione d’impresa influiscono sul tipo di attività formative realizzato. Ad esempio, ad aver optato per l’utilizzo di strumenti digitali sono in misura maggiore le grandi imprese e, dal punto di vista settoriale, quelle che operano nel settore delle Attività finanziarie e delle Telecomunicazioni, editoria e informatica.

Tra gli ostacoli allo svolgimento della formazione le imprese hanno segnalato i costi elevati (8,6%), la mancanza di tempo (8,0%), la mancanza di risorse finanziarie a disposizione (7,1%) e le difficoltà tecniche nell’organizzazione della formazione (7,2%), queste ultime dovute, per un terzo delle imprese, all’insorgere dell’emergenza sanitaria da Covid-19.

Stabile il costo medio per ora di formazione

La spesa complessiva per i costi dei corsi di formazione sale, in termini nominali, del 37,8% rispetto al 2015 (da 4.513 a 6.218 milioni di euro nel 2020). Le singole componenti di costo riguardano:

  • i costi diretti, che arriva a 463 euro (da 366 del 2015)
  • il costo del lavoro dei partecipanti ai corsi per le ore dedicate alla formazione, che passa dal 58,9% del 2015 al 60,4%
  • il saldo tra i contributi versati per attività formative (stazionario rispetto al 2015) e finanziamenti ricevuti (in diminuzione rispetto al 2015)

Dall’analisi di questi fattori ne segue che il costo medio per ora di formazione è pari a 56 euro, sostanzialmente uguale, in termini nominali, rispetto al 2015, con lievi variazioni tra i vari settori economici. Il costo risulta più alto per le imprese di grandi dimensioni e leggermente sopra la media nazionale per quelle che operano nelle regioni del Nord e del Centro.

Determinante il ruolo delle soft skills per superare la crisi post-pandemia

Un terzo delle imprese dichiara che, nel 2020, una parte dei propri addetti non aveva le competenze adeguate allo svolgimento del proprio lavoro secondo il livello richiesto. Nelle imprese di grandi dimensioni, il deficit di competenze riguarda due terzi delle unità.

Tra le competenze da migliorare, quelle tecnico-operative emergono per la loro rilevanza (32,0%) rispetto al settore in cui le imprese operano. A queste si affiancano le competenze trasversali, come la capacità di contribuire al lavoro di gruppo (31,2%) e l’attitudine mirata alla soluzione dei problemi (29,8%), il cui ruolo è divenuto cruciale nella situazione emergenziale del 2020.

Oltre alle competenze manageriali e gestionali (23,3%) le soft skills assumono dunque una valenza strategica per affrontare cambiamenti repentini e inaspettati, come quelli che l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha portato nel contesto produttivo, e non solo.

Nonostante la pandemia abbia accelerato la transizione digitale, le imprese scontano un deficit in tema di competenze informatiche professionali (26,1%) il cui aggiornamento è necessario per tutte.

Rispetto al settore di attività, si osservano valori più alti sulle competenze tecnico-operative richieste nelle imprese nei servizi ICT (45,0%), dell’Industria (circa 43%) e nella Finanza (38,0%), e di quelle sul lavoro di squadra per il raggiungimento di un obiettivo comune in settori molto diversi tra loro come quello di trasporti e magazzinaggio (36,9%) e dei servizi finanziari (35,8%).

Più di un terzo delle imprese (35,5%) indica inoltre le competenze tecnico-operative, ossia specifiche del lavoro, tra le competenze professionali importanti per lo sviluppo dell’impresa nei prossimi anni (dato in calo ma in continuità con il 2015).

Di contro, rispetto alla passata edizione dell’indagine, cresce l’importanza attribuita per il futuro alle competenze informatiche professionali (che passano da 19,4% a 24,1%).

Dopo le competenze tecnico-operative seguono in ordine di rilevanza la capacità nella gestione della clientela (32,0%), le competenze relative al team-working (28,5%) e al problem solving (25,2%), l’abilità nell’autogestire la propria attività lavorativa (18,9%) e la capacità di produrre idee originali (6,9%) rilevate per la prima volta nell’edizione 2020.

Le competenze manageriali e gestionali, che sono indicate come importanti per il futuro dell’impresa dal 22,8% in media, lo sono per più del 50% delle grandi imprese con almeno 500 addetti.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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