L’incentivo cambia in corsa, ma la nuova norma può essere retroattiva? La bussola per orientarsi

Sempre più spesso si sente parlare di modifiche retroattive alle leggi vigenti. Il che contribuisce a quell’incertezza che è il più grande nemico di chi sta pianificando degli investimenti. In questo articolo vi spieghiamo perché troppo spesso si usa a sproposito la parola “retroattività”. Gli esempi riferiti a quello che a breve accadrà con la nuova modifica del Piano Transizione 4.0

Pubblicato il 15 Feb 2021

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Sempre più spesso si sente parlare di modifiche retroattive alle leggi vigenti. Il che contribuisce a quell’incertezza che è il più grande nemico di chi sta pianificando degli investimenti. In questo articolo vi spieghiamo perché troppo spesso si usa a sproposito la parola “retroattività”.

Prima di entrare nel vivo occorre fare una doverosa e speriamo non troppo noiosa premessa di natura generale, che non ha ovviamente la pretesa di essere un trattato di diritto, ma di spiegare a chi non è un giurista le basi di certi principi del diritto.

Nell’ordinamento giuridico italiano le leggi sono pensate per disciplinare i comportamenti dei cittadini a partire dalla loro entrata in vigore. La ragione è questa: se a una certa data la legge consente di fare una determinata attività, il cittadino non può successivamente essere chiamato a rispondere di quel comportamento in forza di una legge che, al momento dell’atto, non esisteva. La massima espressione di questa regola di civile convivenza è riassunta da una massima del diritto romano, Tempus regit actum, di cui è figlia un’espressione contenuta nell’articolo 25 della Costituzione Italiana: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.

Dello stesso tenore l’art. 11 delle preleggi: “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. E l’art. 2 del codice penale: “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo, in cui fu commesso, non costituiva reato”.

A questo principio ci sono alcune eccezioni. Si tratta del principio del favor rei, espresso sempre dall’art. 2 del diritto penale, che recita al comma 2: “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”. In pratica se un fatto cessa di essere reato, ne beneficia anche chi l’ha commesso al tempo in cui era reato. Dunque la retroattività è ammessa, ma solo in pochi e limitati casi in cui la nuova disciplina apporta un beneficio al cittadino.

Una legge di bilancio scritta… male

Fatta questa doverosa premessa, occupiamoci delle cose dei tempi nostri, che non attengono a reati né al diritto penale, ma agli incentivi per l’innovazione delle imprese introdotti nella legge di bilancio.

Qual è la questione? Che la legge di bilancio in alcuni punti consente maldestramente cose che non intendeva consentire. Scrivo “maldestramente” perché è proprio un problema di “destrezza”, cioè di capacità di rendere in linguaggio normativo ciò che si intendeva prevedere. E qui occorre distinguere due casi e fare un’ulteriore premessa. Perché non è certo la prima volta che una disposizione di legge sia di non chiara e univoca interpretazione. Che cosa succede in questi casi?

Molti di voi diranno, per esperienza, che arriverà qualche circolare dell’Agenzia delle Entrate. Ebbene, non è questa la regola. Ci sono diversi tipi di disposizioni maldestre: quelle scritte “maluccio” formalmente, ma il cui intento reale può facilmente essere desunto, magari con l’ausilio dei documenti di lavoro allegati agli atti parlamentari (relazioni ecc.); e quelle scritte così male che dicono proprio chiaramente altro. Nel primo caso, la risposta all’interpello dell’Agenzia delle Entrate, o la circolare (meglio se in forma di decreto direttoriale, che è norma di rango regolamentare) o anche delle semplici e informali FAQ (che, ricordiamo non hanno un reale valore giuridico) sono più che sufficienti. Così non è nel secondo caso. Ma basta accademia e vediamo concretamente di che cosa stiamo parlando con alcuni esempi.

L’avvio anticipato al 16 novembre 2020

Come è ormai noto, la legge di bilancio ha disposto la partenza anticipata degli incentivi previsti dalla nuova edizione del piano Transizione 4.0 per il 2021 a partire già dal 16/11/2020. La ratio della norma era di buon senso: evitare che, nell’attesa di nuove e più convenienti norme, le imprese fermassero gli investimenti nell’ultimo mese e mezzo dell’anno scorso.

Il vero problema è che l’annuncio della legge non è esso stesso legge, per parafrasare un noto motto. Nonostante le bozze del disegno di legge di bilancio fossero note a metà novembre, quelle disposizioni sono effettivamente diventate legge solo il 30/12/2020, con la pubblicazione in gazzetta ufficiale della legge 178/2020.

Che cosa succede quindi per gli investimenti effettuati nel periodo compreso dal 16/11/2020 al 31/12/2020? Evidentemente, l’impresa che voglia avvalersi dei nuovi incentivi già per quegli investimenti può farlo perché la legge lo consente. Ma chi invece ritenesse di attenersi al vecchio regime, è altrettanto libero – a parere di chi scrive questo articolo – di fare riferimento alla legge di bilancio 160/2019 che era la legge vigente al momento dell’investimento.

Non è questo il parere del Ministero dello Sviluppo Economico. Rispondendo a una serie di quesiti delle imprese, il dirigente del Mise Marco Calabrò ha infatti detto che presto arriverà una norma che chiarirà che il 16/11 va considerato uno spartiacque: gli investimenti avvenuti prima di quella data o anche quelli confermati con un acconto pari al 20% ricadono nel vecchio regime; i successivi nel nuovo regime. E’ una soluzione di assoluto buon senso, che avrebbe però dovuto essere contenuta nel testo della legge e non arrivare a febbraio 2021.

L’incentivo per lo smart working

Il secondo nodo riguarda la maggiorazione del credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali per gli investimenti finalizzati all’implementazione di logiche di smart working: in questo caso, dice la legge, il credito d’imposta per l’acquisto di passa dal 10% al 15%. Ma come lo dice? Leggiamolo.

La misura del credito d’imposta è elevata al 15 per cento per gli investimenti in strumenti e dispositivi tecnologici destinati dall’impresa alla realizzazione di forme di lavoro agile ai sensi dell’articolo 18 della legge 22 maggio 2017, n. 81.

Quali sono questi “strumenti e dispositivi tecnologici”? Poiché la disposizione è contenuta in un comma che parla di “beni strumentali materiali aventi a oggetto beni diversi da quelli indicati nell’allegato A”, cioè tutti i beni strumentali non 4.0, stiamo evidentemente parlando di tutti quei beni non 4.0 che però sono “tecnologici”. L’acquisto dunque di una scrivania, per quanto finalizzata alla realizzazione di forme di lavoro agile, non sarà agevolabile al 15%. L’acquisto di un computer invece sì, perché il computer è un bene tecnologico. Dai documenti di lavoro collegati alla legge di bilancio non vi sono altre tracce che possano far propendere per un’interpretazione diversa. Eppure sappiamo che il Ministero dello Sviluppo Economico ha intenzione di cambiare le carte in tavola in un provvedimento di prossima emanazione (probabilmente già nel decreto Ristori 5). La modifica prevederà l’eliminazione di quelle righe dal comma 1054 e l’aggiunta di determinate merceologie all’elenco degli hardware e software considerati “4.0” negli allegati A e B, come ci ha anticipato Calabrò. Un’operazione legittima, ma che mai potrà essere retroattiva. Che cosa significa? Che se un’impresa ha acquistato un computer dal 16 novembre 2020 a quando entrerà in vigore la nuova norma, avrà diritto – e nessuno glielo può togliere – a fruire del credito d’imposta al 15%. Anche se la nuova disposizione, per esempio, non considerasse i computer degni dell’agevolazione.

Il credito d’imposta per ricerca, sviluppo e innovazione

Diverso il discorso relativo al credito d’imposta per ricerca, sviluppo e innovazione. La nuova edizione del Piano introduce la nuova disciplina facendo una correzione “ab origine della vecchia legge di bilancio (la 160/2019). In teoria quindi le nuove aliquote sarebbero valide anche per le spese del 2020.

A differenza del precedente, qui il problema è evidentemente di “destrezza”, poiché appare chiaro, dal contesto, l’intento del legislatore di “prorogare” con maggiorazione aliquote e tetti della vecchia disciplina. Non sappiamo come interverrà il Governo nel decreto ristori, ma tutto lascia pensare che, per maggiore chiarezza, sarà apportata una correzione formale (una norma primaria che modifica una precedente norma di pari rango) che però in questo caso avrà effetti retroattivi, o meglio, annullerà l’effetto retroattivo della precedente, perché ne fornirà nella sostanza quella che si definisce “interpretazione autentica” passando anche per una riscrittura della norma.

La vicenda dei fondi del Recovery per l’incentivo sui beni strumentali

Un terzo, interessante caso è quello del credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali non 4.0. L’agevolazione per questi beni, di cui si occupa il già citato comma 1054 della legge 178/2020, è stata inserita insieme a tutte le altre misure del pacchetto Transizione 4.0 prevedendo un costo complessivo di 23,8 miliardi da prelevare da un Fondo creato appositamente per sfruttare le prime risorse in arrivo dall’Europa nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

In questo casi chi ha scritto la norma ha fatto i conti senza l’oste, perché l’Europa ha precisato di non avere alcuna intenzione di considerare questo credito d’imposta come incentivo alla digitalizzazione e, di conseguenza, sancendo che le risorse di quel fondo non potranno essere utilizzate per questo incentivo.

Il Governo ha scoperto il problema prima del varo della legge di bilancio, ma per ragioni di opportunità politica e di tempistiche non ha ritenuto di intervenire per tempo con un correttivo in extremis prima del varo della manovra. E così la previsione del comma 1054 è diventata legge.

Il “buco” di bilancio, a norme invariate, è di circa 8 miliardi: queste sono le cifre presenti nella relazione tecnica in relazione agli impatti di questo credito d’imposta sul bilancio dello Stato

202120222023202420252026Totale
Credito d’imposta beni strumentali non 4.0-3.271,60-2.214,10-1.745,30-1.092,90-125,715,1-8.434,50

Che cosa succederà adesso? Nel prossimo dispositivo legislativo in arrivo il Governo dovrà destinare una parte dei 32 miliardi di extra deficit autorizzato dal Parlamento per coprire questa norma, almeno in parte. Perché al momento pare che l’intenzione sia di confermare questo incentivo solo per un anno e non per due, riducendo così a una cifra compresa tra 4 e 6 miliardi le risorse necessarie.

Sempre stando ai “si dice”, dunque, non dovrebbero essere toccate le aliquote. Ma che cosa accadrebbe se lo fossero? E qui torniamo al punto di questo articolo: se avete effettuato acquisti di beni tra il 16/11 e l’entrata in vigore della prossima misura, avrete diritto a fruire dell’aliquota esistente al momento dell’effettuazione dell’investimento: nessuna “retroattività”, dunque, al contrario di quello che trovate scritto in qualche altro articolo.

Ricordatelo, è dai tempi dei Romani che Tempus regit actum.

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Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

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