Il 90% delle PMI europee non ha le competenze adeguate per sfruttare le nuove tecnologie

La mancanza di formazione specialistica, la carenza di vision da parte di molti imprenditori e i budget inadeguati rischiano di far naufragare le PMI sulla rotta della digitalizzazione, proprio quando avrebbero maggior bisogno di cogliere le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Se ne parla nel report “Supporting specialised skills development” supportato dalla Commissione Europea

Pubblicato il 02 Apr 2020

EU_competenze

La mancanza di formazione specialistica, la carenza di vision da parte di molti imprenditori, budget inadeguati: sono le barriere e i driver dell’implementazione delle nuove tecnologie nelle PMI analizzati nel report “Supporting specialised skills development”, un lavoro supportato dalla Commissione europea e condotto da Capgemini Invent con la European Digital Sme Alliance e Technopolis. L’obiettivo è quello di valutare la situazione delle PMI europee nei confronti della digitalizzazione, in particolare riguardo a innovazioni come intelligenza artificiale, IoT, Big data e nel campo della cyber security.

Un dato emerge su tutti: il 90% delle PMI europee si considera in ritardo nell’applicazione delle nuove tecnologie.

PMI e competenze tecnologiche, un rapporto difficile

Il report si pone come una guida destinata alle PMI europee per capire come sfruttare al meglio le occasioni offerte dalle nuove tecnologie, mantenendosi competitive sul mercato nonostante la pressione delle realtà industriali più grandi.

La situazione non è rosea: la maggior parte delle piccole-medie imprese ritiene di essere “indietro”. Emerge dal report la forte necessità di competenze specializzate, che tuttavia non vengono completamente offerte dai sistemi educativi tradizionali. Oltretutto, la tendenza rilevata tra le PMI è quella di non stanziare fondi per una formazione completa e continua del personale, perciò questa è demandata al singolo, privatamente.

Nel report si spiega che l’uso delle nuove tecnologie non è solo un “extra” interessante da approcciare, ma dovrebbe essere una priorità. In generale, il quadro indica la necessità di una presa di coscienza sul tema da parte degli imprenditori.

Un partenariato europeo per le competenze

Nel documento si avanza la proposta di un partenariato europeo per le competenze delle PMI (Skills4SMEs) per un’alleanza più forte tra il settore pubblico e quello privato. Le azioni raccomandate sono raccolte in quattro pilastri.

  • Una piattaforma per la formazione (training & education), punto di accesso unico alle informazioni sullo sviluppo delle competenze delle PMI a livello europeo.
  • Un sistema di intelligence e monitoraggio per raccogliere le esigenze delle PMI e l’offerta di formazione e competenze
  • Un set di misure per rafforzare e facilitare l’ecosistema e che consentano di coinvolgere tutti i soggetti interessati nel partenariato.
  • Per favorire lo sviluppo della sovranità digitale dell’UE occorre stimolare la collaborazione delle PMI innovative con l’industria e il mondo accademico attraverso consorzi dedicati a progetti di innovazione

Obiettivo cyber-resilienza

Uno dei capitoli dello studio è dedicato all'”urgenza” di sostenere le PMI perché diventino cyber-resilienti. Dall’inizio del 2016 si sono verificati più di 4.000 attacchi ransomware in tutto il mondo ogni giorno. Si tratta di un aumento del 300% dal 2015. Parlando di incidenti informatici in generale, circa l’80% delle aziende in Europa ha subito almeno un incidente di sicurezza informatica nel 2016.

I costi della criminalità informatica per le persone colpite sono elevati e in crescita. Le stime indicano che i costi globali annuali della criminalità informatica aumenteranno fino a circa 4,8 trilioni di euro entro il 2021. Tuttavia, il danno alla reputazione delle aziende colpite è spesso anche maggiore del danno monetario diretto.

E le PMI non sono certamente immuni al rischio, anzi. Proprio loro dipendono sempre più dai sistemi informatici e dalle reti per fornire i loro servizi e prodotti.

Andrea Zapparoli Manzoni, membro del consiglio direttivo del Clusit, è uno degli specialisti che ha partecipato alla ricerca: “Riguardo alla cyber security, per la mia esperienza le PMI italiane hanno principalmente un problema legato al budget: si pensa ancora troppo spesso che i fondi per la sicurezza possano essere calcolati come una percentuale del budget IT, ma in questo modo il valore non è mai adeguato. Dovrebbe essere invece stanziato un budget commisurato alla percentuale di fatturato che l’azienda fa grazie all’implementazione dei propri sistemi IT, per proteggerli adeguatamente”.

Questo di conseguenza “incide anche sulla qualità e remunerazione delle persone. Le PMI italiane tendono quindi a prendere persone sotto-specializzate perché costano meno. Ne risulta che la qualità è bassa: in una realtà piccola la differenza la fanno i singoli”.

Un terzo problema è che “in Italia non c’è ancora una diffusa comprensione dell’importanza dell’analisi del rischio. Le PMI spesso al riguardo non hanno gli strumenti e la vision. Quando succede qualche incidente, rischiano di andare in crisi scontando una carenza di percezione dell’utilità dell’analisi del rischio”.

Qui potete scaricare il report completo (in Inglese).

Qui invece potete ascoltare una recente chiacchierata del direttore Franco Canna con Andrea Zapparoli Manzoni in occasione della presentazione del rapporto del Clusit in cui si toccano anche questi temi.

Valuta la qualità di questo articolo

P
Nicoletta Pisanu

Giornalista, collabora da anni con testate nazionali e locali. Laureata in Linguaggi dei Media e in Scienze sociali applicate all'Università Cattolica di Milano, è specializzata in cronaca.

email Seguimi su

Articoli correlati

Articolo 1 di 5