Smart working, le aziende che erano già pronte al lavoro agile hanno saputo reagire meglio alla pandemia

Un gruppo di ricercatori americani ha mostrato che le aziende che prima della pandemia già adottavano forme di lavoro agile hanno saputo assorbire gli effetti del Covid-19 in modo migliore rispetto a quelle che non avevano le tecnologie digitali adatte per implementare lo smart working. Questo è stato determinante soprattutto per le organizzazioni operanti nei settori “non essenziali” dell’economia, che sono state maggiormente colpite dalle limitazioni agli spostamenti imposte dai governi per contenere i contagi. Tuttavia, la pandemia ha anche accentuato le disuguaglianze tra le organizzazioni, sia tra i vari settori dell’economia che all’interno dello stesso settore, con le grandi aziende che in media hanno saputo assorbire meglio lo shock, grazie a un livello di digitalizzazione maggiore.

Pubblicato il 22 Mar 2021

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Le tecnologie digitali possono rendere alcuni incarichi, lavori e aziende più resistenti agli shock imprevisti: è quanto emerge dalla ricerca “Resilienza digitale: come la fattibilità del lavoro da remoto influisce sulle performance aziendali” di J. Bai, E. Brynjolfsson, W. Jin, S.Steffen e C. Wan, che costituisce una delle prime evidenze su come la capacità di adottare il lavoro da remoto, o smart working, permetta alle aziende di saper affrontare shock sociali ed economici inattesi, quantificando l’impatto di questi effetti sulla singola organizzazione e tra i vari settori economici.

Per questa ricerca, sono stati estratti dati da oltre 200 milioni di annunci di lavoro negli Stati Uniti per costruire un indice di resilienza delle aziende alla pandemia di Covid-19, valutando la fattibilità del lavoro da casa (in inglese work from home, WFH) della forza lavoro.

L’indice WFH è costruito dai ricercatori a partire dai dati raccolti attraverso il portale Burning Class Technology, un database di annunci di lavoro attivo dal 2010 e che sta diventando una fonte di dati sempre più popolare tra i ricercatori. Ogni annuncio è associato al codice specifico dell’azienda, per cui è stato possibile analizzare lo storico degli annunci pubblicati da ogni singola organizzazione, comparando gli annunci del periodo pre pandemico (2019) a quelli pubblicati durante la pandemia.

I dati raccolti sono stati successivamente analizzati incrociandoli con i dati della ricerca “Quanti lavori possono essere fatti da casa?” di Jonathan I. Dingel e Brent Neiman (pubblicata nel settembre 2020).  Infine, è stata calcolata la media ponderata degli indici WFH occupazionali di ciascuna azienda, in base al numero di annunci di lavoro per ciascuna occupazione, che ha permesso di costruire, per ogni azienda, la percentuale della sua domanda di lavoro che ha fattibilità di lavorare da remoto.

Le aziende che hanno saputo adottare il lavoro agile hanno reagito meglio alla pandemia

Dalla ricerca è emerso che le aziende che prima della pandemia avevano un alto punteggio nell’indice WFH hanno saputo raggiungere livelli di prestazione più alti durante la pandemia, con il 15% in più di vendite rispetto alle aziende con un punteggio WFH inferiore e circa il 4% in più di ricavi.

Questo è stato determinante soprattutto nei settori “non essenziali”, dove la capacità aziendale di poter lavorare da remoto ha determinato la capacità di assorbire lo shock o meno: le aziende di questi settori che prima della pandemia avevano un indice WFH più alto hanno, in media, registrato vendite più alte del 18,3% rispetto alle aziende meno pronte al lavoro da remoto e ricavi superiori del 5,9%. Inoltre, queste aziende hanno avuto prestazioni migliori anche in termini di rendimenti azionari e volatilità dei rendimenti.

Il livello di digitalizzazione delle aziende prima della pandemia ha influenzato anche la strategia degli investimenti delle organizzazioni: le aziende che prima della pandemia avevano un punteggio WFH più basso hanno mantenuto i livelli di investimenti in tecnologie digitali alti nel corso del 2020 (è aumentata soprattutto la spesa in software), proprio per cercare di mantenere l’operatività anche durante i periodi di lockdown. Una tendenza che mostra come gli investimenti in IT siano fondamentali per abilitare il lavoro da remoto.

Oltre alle tecnologie, importante è stata anche la capacità dei lavoratori di saper adottare le pratiche del lavoro da remoto, soprattutto per quei lavoratori non essenziali, che si sono dovuti adattare alla “nuova normalità” e alle limitazioni imposte dal governo per ridurre i contagi.

La pandemia ha accentuato le disuguaglianze tra le aziende

La ricerca ha evidenziato disuguaglianze tra i vari settori economici, con il settore dell’informazione, della finanza, dell’istruzione e dei servizi professionali sono tra i settori con gli indici WFH più alti, mentre i settori della vendita al dettaglio, dell’assistenza sanitaria e dell’alloggio hanno gli indici WFH medi più bassi, sia per il 2019 che per il 2020.

Dai risultati è emerso anche che la pandemia ha accentuato le disuguaglianze tra le aziende all’interno dello stesso settore, con le organizzazioni più grandi (comprese le “superstar digitali”, come Amazon, Microsoft, Apple, IBM, Google e Facebook per citarne alcune) che hanno saputo reagire allo shock con più facilità, in quanto avevano già adottato prima della pandemia alcune soluzioni di lavoro da remoto.

Alla luce di queste disuguaglianze, trovare il giusto equilibrio tra l’efficienza dei costi e il sostegno alle aziende e agli individui che hanno sofferto di più a causa della pandemia sarà fondamentale per assicurare una ripresa più rapida ed equa, sottolineano gli autori.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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