Censimento delle imprese: in Italia sempre meno industria, mentre crescono i servizi

Dai risultati del censimento permanente 2019 dell’Istat sulle imprese italiane emerge che dal 2011 al 2018 le aziende di servizi sono passate dal 65,6% al 70,3%, mentre l’industria scende dal 20,7% del 2011 al 18,9% del 2018. Dai dati dell’Istat emerge inoltre come il sistema produttivo italiano sia ancora fortemente legato al modello familiare.

Pubblicato il 07 Feb 2020

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Più servizi, meno industria. Questa la fotografia dell’impresa italiana che emerge dai risultati del censimento permanente 2019 dell’Istat. L’analisi, riferita al 2018 e condotta su un campione di circa 280.000 unità da 3 o più addetti, rappresentativo di circa un milione di imprese, evidenzia come sia in atto una crescente terziarizzazione delle attività produttive: dal 2011 al 2018 si è passati dal 65,6% di aziende appartenenti ai servizi al 70,3%, arrivando a impiegare il 64% degli addetti (lavoratori dipendenti o indipendenti), il 5% in più rispetto al 2011.

Una crescita a spese delle imprese che si occupano di industria e costruzioni. Le prime infatti scendono dal 20,7% del 2011 al 18,9% del 2018, le seconde passano dal 13,7% al 10,7%. Inoltre tra i settori che evidenziano flessioni occupazionali maggiori del 10% troviamo i comparti industriali, con riduzioni particolarmente marcate in segmenti dei settori dell’elettronica, del legno e dei prodotti in legno, della lavorazione dei minerali non metalliferi.

Dati che confermano una tendenza già in atto con l’inizio del millennio: nell’arco di quasi un ventennio, dal 2001 al 2018, si registra una crescita dei settori dei servizi pari a 158.000 imprese e oltre 2 milioni di addetti.

A fare da traino a questa crescita sono settori come le attività artistiche, sportive, di intrattenimento (+41,3% di imprese e +16,7% di addetti), oltre ai servizi di alloggio e ristorazione (in crescita del 23,3%). Al contrario il settore dell’industria ha perso 63.000 imprese e oltre 1 milione di addetti in 20 anni, mentre le costruzioni hanno perso circa 30.000 imprese e 220.000 addetti.

I numeri dell’impresa italiana

Il censimento di Istat, per la prima volta triennale e non più decennale, evidenzia come in Italia, tra il 2011 e il 2018, sia diminuito il numero di imprese con 3 o più dipendenti (-1,3%, pari a 13.000 unità) ma anche aumentato quello degli addetti in esse impiegati (+1,3%, pari a 160.000 persone).

Secondo l’istituto di statistica, tra le cause principali di questa tendenza vi è l’elevato e persistente grado di instabilità globale, che alimenta un contesto di grandi cambiamenti strutturali a cui l’Italia non è estranea. Le imprese italiane, infatti, reagiscono in modo dinamico cercando di adattarsi ai cambiamenti globali.

“Vogliamo garantire il nostro supporto alle piccole imprese italiane”, assicura Stefano Buffagni, Viceministro dello Sviluppo Economico, intervenuto durante la presentazione dei dati. “Le piccole imprese devono poter riuscire a investire e svilupparsi con l’obiettivo di avvicinarsi alle grandi. Del nostro Paese raccontiamo troppo spesso le cose che non vanno, mentre dovremmo imparare a riconoscere i nostri limiti, ma anche le grandi opportunità che spesso non riusciamo a valorizzare. All’estero viene dato un credito quasi preventivo alla qualità delle imprese italiane, ma troppo spesso non riusciamo a sfruttarlo a pieno, perché non riusciamo a fare sistema come paese, a creare dei team di imprese”.

Gestione familiare

Dai dati dell’Istat emerge inoltre come il sistema produttivo italiano sia ancora fortemente legato alla gestione familiare dell’impresa: nel 2018 il 75,2% delle unità produttive italiane con almeno 3 addetti è controllato da una persona fisica o una famiglia. Percentuale che scende a 63,7% nel caso di imprese con almeno 10 addetti.

Anche nelle grandi imprese (almeno 250 addetti) rimane alta la presenza del controllo individuale o familiare, pari al 37%. Questo aspetto dell’imprenditoria italiana restituisce un dato significativo: tra il 2013 e il 2023, oltre il 20% delle imprese del campione sarà interessato dal fenomeno del passaggio generazionale alla guida dell’attività.

“I dati confermano il carattere familiare del capitalismo italiano, anche a livello di grandi imprese, non solo quelle medio-piccole”, spiega Roberto Monducci, direttore del Dipartimento per la produzione statista dell’Istat. “I passaggi generazionali sono un fattore importante che fa registrare preoccupazioni nelle imprese”.

La formazione

Quasi due terzi delle imprese italiane effettua investimenti: nel triennio 2016-2018 il 64,8% delle imprese ha investito in almeno un campo tra ricerca e sviluppo, tecnologie e digitalizzazione, capitale umano e formazione, internazionalizzazione, responsabilità sociale e ambientale. Formazione e tecnologia sono gli ambiti su cui si concentrano di più le aziende (rispettivamente 54,3% e 46,7%).

Il dato però deve tener conto di un aspetto importante: se si esclude la formazione obbligatoria del personale, quella cioè prescritta dalla legge, l’aggiornamento effettivamente deciso e finanziato delle imprese nel 2018 si ferma al 22,4%, coinvolgendone poco più di 230.000 su un totale di oltre un milione.

“Vogliamo far comprendere all’imprenditore l’importanza culturale della acquisizione delle competenze”, ha spiegato Carlo Robiglio, vicepresidente di Confindustria e presidente di Piccola Industria. “Bisogna fargli acquisire le best practices e farlo crescere. Purtroppo esiste uno scarto molto profondo tra scuola e industria: dobbiamo abbattere questo divario. C’è una necessità quotidiana di formazione: l’imprenditore si deve mettere continuamente in discussione per imparare da altri imprenditori, per sfruttare le nuove tipologie di competenze, sempre più necessarie nell’era della trasformazione digitale”.

Ancora poca innovazione

L’analisi dell’Istat prende in considerazione anche l’estensione del processo di trasformazione tecnologica dell’impresa italiana, rivelando un mondo ancora troppo indietro nel campo dell’innovazione tecnologica e della digitalizzazione. La maggior parte delle imprese infatti utilizza un numero limitato di tecnologie, dando priorità agli investimenti infrastrutturali (soluzioni cloud, connettività in fibra ottica o in mobilità, software gestionali).

Solo il 16,6% delle aziende ha adottato almeno una tecnologia tra Internet delle cose, realtà aumentata o virtuale, Big Data, automazione avanzata, simulazione e stampa 3D.

Proprio in questa area però ci si aspetta un maggiore potenziale di crescita in termini di numero di imprese che adottano queste tecnologie: tra il 2019 e il 2021 si attende una crescita del 180,7% per le tecnologie immersive, del 117,6% per la stampa 3D, del 111,9% peri Big Data e 109,9% per la robotica.

Dall’analisi dell’Istat emerge chiaramente che, sebbene anche le imprese con bassa intensità di digitalizzazione siano impegnate (per il 65,8%) in almeno un’attività di innovazione, è nelle aziende dove la digitalizzazione è più avanzata che si trova maggiore innovazione.

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Francesco Bruno

Giornalista professionista, laureato in Lettere all'Università Cattolica di Milano, dove ha completato gli studi con un master in giornalismo. Appassionato di sport e tecnologia, compie i primi passi presso AdnKronos e Mediaset. Oggi collabora con Dazn e Innovation Post.

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