Sostenibilità ambientale: il ruolo dell’intelligenza artificiale da Agenda 2030 al Green Deal

Che cos’è veramente la sostenibilità ambientale? Ecco le le tappe principali che hanno segnato l’evoluzione del concetto, gli indicatori per misurarla, gli impegni internazionali che guidano la transizione green e gli obiettivi dell’Agenda 2030, il Green Deal e il ruolo che la tecnologia può avere al servizio dell’ambiente.

Pubblicato il 12 Lug 2023

Sostenibilità ambientale, il ruolo dell'intelligenza artificiale

Il concetto di sostenibilità ha subito un’evoluzione nel corso del tempo. In passato, infatti, il termine era comunemente associato unicamente all’ambito ecologico, e quindi sinonimo di sostenibilità ambientale.

Oggi, al contrario, il concetto di sostenibilità abbraccia anche una dimensione economica e sociale.

Infatti, nell’ambito degli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti nel 2015 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite con Agenda 2030, si affrontano molteplici temi oltre alla tutela degli ecosistemi e della biodiversità.

Tra questi, si parla della riduzione delle disuguaglianze, della povertà, della salute, del lavoro, delle infrastrutture, dell’industria, delle città e molto altro.

È indubbio che l’aspetto ambientale rimanga al centro del dibattito, specialmente perché i governi e le società civili hanno iniziato a constatare gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici.

A giocare un ruolo di primo piano è l’intelligenza artificiale.

Grazie alle nuove tecnologie, infatti,  è possibile monitorare i cambiamenti ambientali e orientare le decisioni verso  misure preventive, compensatorie o correttive per affrontare queste dinamiche.

Con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale sarà possibile fornire soluzioni per affrontare meglio le crisi socio-economiche e ambientali.

L’IA può essere utilizzata per prevedere le tendenze, simulare scenari futuri e sviluppare soluzioni innovative che possano aiutare le persone nell’affrontare le crisi ambientali attuali ed emergenti.

Cosa si intende per sostenibilità ambientale

Nel 1987, la Commissione sull’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite definì la sostenibilità come: “una condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri“.

In quegli stessi anni, l’economista Herman Daly pubblicò una sua teoria su quali dovessero essere le caratteristiche di un sistema sostenibile. Secondo tale teoria, nota come Herman Daly’s three rules, le tre regole per una società sostenibile sono:

  • un uso sostenibile delle risorse rinnovabili. Questo significa che il ritmo di utilizzo dovrebbe essere inferiore alla velocità con cui le risorse sono in grado di rigenerarsi
  • uso sostenibile delle risorse non rinnovabili, vale a dire che il loro esaurimento deve essere compensato dal passaggio a risorse rinnovabili
  • un tasso di emissione sostenibile per l’inquinamento e i rifiuti. Secondo questo principio, il ritmo della produzione di emissioni e di rifiuti non dovrebbe essere più veloce del ritmo al quale i sistemi naturali possono assorbirli, riciclarli o renderli innocui

Quando nasce il concetto di sostenibilità?

Il concetto di sostenibilità ha, tuttavia, origini molto più antiche. In un suo saggio, Jacobus Du Pisani, Professore di Storia presso la North-West University di Potchefstroom (South Africa) spiega che alcuni filosofi (tra cui Platone e Plinio il Vecchio) già ne discutevano nel periodo tra il V secolo a.C e il I secolo d.C.

I filosofi non solo erano consapevoli del danno provocato all’ambiente dalle attività dell’uomo, ma discutevano anche sulle pratiche per tutelare “l’eterna giovinezza della Terra”.

Con le Rivoluzioni Industriali, si inizia a diffondere l’idea che il progresso tecnologico porterà l’uomo a una sua “età d’oro”. Al tempo stesso, tuttavia, iniziano ad emergere le prime consapevolezze delle ripercussioni ambientali e sociali di questo sviluppo senza freni.

Ne sono esempio i saggi che trattano di questi temi nel XVIII secolo. Tra i tanti ricordiamo “Sylvicultura Oeconomica” ad opera di Hans Carl von Carlowitz, nel 1713. Qui compare per la prima volta il termine “uso sostenibile”, che Carlowitz utilizza per indicare la necessità di sostituire gli alberi abbattuti con alberi nuovi.

In quegli anni diverse furono le pubblicazioni che affrontarono temi simili, come “An Essay on the Principle of Population” di Thomas Malthus (1798). Nell’opera, l’economista inglese esponeva il problema dell’eccessiva crescita demografica rispetto alle risorse disponibili.

Da uso sostenibile a sviluppo sostenibile

Si afferma l’idea che questo sviluppo non può continuare in eterno, né può avvenire senza alcuna forma di controllo. Nel 1969 si parla per la prima volta di sviluppo sostenibile in un documento ufficiale, firmato da 33 Paesi africani. 

Nello stesso anno, negli Stati Uniti fu istituita l’Agenzia per la protezione dell’ambiente, le cui linee guida hanno influenzato lo sviluppo delle teorie e delle pratiche delle politiche ambientali globali.

Giungiamo così al 1987 e al Rapporto Brundtland sopra citato, ad opera della Commissione sull’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite. La definizione di sostenibilità contenuto nel rapporto, viene ripresa e integrata nel 1992.

In quell’anno a Rio de Janeiro si tiene la Conferenza Onu su Ambiente e sviluppo, dalla quale emerge l’idea che il concetto di sviluppo sostenibile non può essere racchiuso all’interno della sola accezione ambientale, ma che deve includere anche i principi di giustizia ed equità sociale

Dall’Agenda 21 all’Agenda 2030

Concetti che vengono racchiusi nell’Agenda 21, un documento adottato da 170 Paesi che ha l’obiettivo di guidare gli interventi di sviluppo sostenibile nel decennio successivo.

Nel 2015, l’Agenda 21 viene sostituita dall’Agenda 2030, un documento sottoscritto dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU.

Il documento delinea 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, anche chiamati Sustainable Development Goals (SDGs), inquadrati in un programma di azione di 169 target. Questi delineano obiettivi da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030.

Obiettivi che hanno una validità globale: riguardano e coinvolgono tutti i Paesi e tutte le componenti della società, dalle istituzioni pubbliche alle imprese private, alle industrie.

Gli obiettivi dell’Agenda 2030: oltre la sostenibilità ambientale

I 17 SGDs prendono in considerazione in maniera equilibrata le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: economica, sociale e ambientale. All’interno del primo ambito possiamo racchiudere:

  • lavoro dignitoso e crescita economica (SDG 8)
  • imprese, innovazione e infrastrutture (SDG 9)
  • consumo e produzione responsabile (SDG 12)
  • partnership per gli obiettivi (SDG 17)

Nella dimensione sociale possiamo raggruppare i seguenti obiettivi:

  • sconfiggere la povertà (SDG 1)
  • sconfiggere la fame (SDG 2)
  • salute e benessere (SDG 3)
  • istruzione di qualità (SDG 4)
  • parità di genere (SDG 5)
  • acqua pulita e servizi igienico-sanitari (SDG 6)
  • ridurre la disuguaglianze (SDG 10)
  • pace, giustizia e istituzioni solide (SDG 16)

Infine, nell’ambito della sostenibilità ambientale rientrano i seguenti obiettivi:

  • energia pulita e accessibile (SDG 7)
  • città e comunità sostenibili (SGD 11)
  • lotta contro il cambiamento climatico (SDG 13)
  • vita sott’acqua (SDG 14)
  •  vita sulla terra (SDG 15)
sostenibilità ambientale i 17 obiettivi di Agenda 2030
sostenibilità ambientale i 17 obiettivi di Agenda 2030

Obiettivi che tuttavia devono essere considerati in un’ottica trasversale: le tre componenti (e gli SDGs associati) sono strettamente interconnesse tra loro. Ogni obiettivo, insieme ai 169 sotto-obiettivi individuati dall’Agenda 2030, è un tassello strettamente interconnesso agli altri, che contribuisce a raggiungere il fine più ampio.

Che cos’è il Green Deal europeo

Ma questo non basta. La pandemia è stata soltanto uno dei campanelli di allarme riguardo ai rischi legati al mancato rispetto dell’ambiente. Per questo, l’Unione Europea ha rivisto la sua strategia di crescita, adottando una politica volta ad accelerare la transizione verso una società sostenibile. 

La scelta del nome è emblematica: Green Deal, per richiamare il New Deal che guidò la ricostruzione del continente al termine del secondo conflitto mondiale. Allo stesso modo, il Green Deal, che la Commissione ha adottato il 14 luglio 2021,  punta a ricostruire la società europea dopo la pandemia, in un’ottica sostenibile.

L’obiettivo ampio è trasformare l’Europa nel primo continente a impatto climatico zero entro il 2050, in linea con gli impegni assunti nel quadro degli Accordi di Parigi. Questo vuol dire che entro il 2050 la quantità di emissioni emesse nel continente dovrà bilanciarsi con la capacità del Pianeta di assorbirle.

Che cosa prevede il Green Deal Europeo, il quadro generale

Cruciale è quindi il target delle emissioni, che l’Unione punta a ridurre del 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030  con il pacchetto Pronti per il 55 (Fit for 55). Un traguardo che l’Ue intende raggiungere attraverso interventi specifici per clima, ambiente e oceani, agricoltura, industria, energia, trasporti, finanza e sviluppo regionale, ricerca e innovazione.

Per raggiungere questi obiettivi, il Green Deal prevede strumenti legislativi e non, azioni mirate e incentivi. Nell’ambito climatico, ad esempio, la Commissione sta lavorando alla Legge Europea sul Clima, per vincolare gli Stati membri al raggiungimento dei target comuni.

Ma l’obiettivo del Green Deal europeo è molto più ampio, ricalcando le tre dimensioni della sostenibilità già indicate nell’Agenda 2030.

Il piano punta infatti a creare nuovi lavori e crescita economica, diminuire la dipendenza energetica dell’Unione e affrontare così il problema della povertà energetica. Al tempo stesso, si prefigge lo scopo di migliorare la salute e il benessere dei cittadini.

Sostenibilità ambientale, alcuni esempi

Per raggiungere la sostenibilità ambientale, dunque, occorre fare molto di più che tagliare le emissioni. Si deve intervenire a 360 gradi sul nostro modo di vivere, dalla produzione dei prodotti al modo di consumarli e smaltirli, al nostro modo di spostarci e interagire con l’ambiente. 

Di seguito alcuni esempi di gestione sostenibile delle risorse, anche in luce di quanto prevede il Green Deal europeo in questi ambiti.

Green Deal: gestione dei rifiuti

In media ogni cittadino europeo produce 5 tonnellate di rifiuti l’anno. Di questi, solamente il 38% viene riciclato, mentre in alcuni Paesi oltre il 60% dei rifiuti finisce ancora in discarica.

Nell’ambito della raccolta differenziata dei rifiuti, l’Italia è il Paese europeo più virtuoso: il 79% dei rifiuti viene infatti riciclato, contro il 56% della Francia e il 43% della Germania.

Il riciclo e il corretto smaltimento dei rifiuti è tra i temi cardini del Green Deal Europeo, regolamentato dal nuovo Patto europeo per l’Economia Circolare (CEAP).

Le azioni previste nel CEAP intervengono su tutto il lifecycle dei prodotti: dal design, ai metodi produttivi, al loro smaltimento. Lo scopo è quello di “garantire che i rifiuti siano evitati e che le risorse utilizzate siano mantenute nell’economia dell’Ue il più a lungo possibile”.

Anche per questo, il Piano prevede misure legislative e interventi per stabilire un nuovo “diritto alla riparazione” per il consumatore.

Green Deal: edifici sostenibili

Gli edifici ammontano al 40% del consumo totale di energia nell’Unione europea e producono circa il 36% di CO2. Gli edifici europei sono vecchi e poco efficienti: l’85% degli immobili ha infatti oltre 20 anni e soltanto il 25% è efficiente dal punto di vista energetico. 

Per questo, il Green Deal europeo prevede anche una a vera e propria “ondata di ristrutturazioni”, come la definisce la Commissione, che mira a raddoppiare i tassi annuali di rinnovamento energetico nei prossimi 10 anni. Gli edifici intelligenti, o smart buildings, sono al centro di questa strategia. 

Si tratta di edifici che grazie a sistemi di building automation riescono a gestire l’illuminazione, il riscaldamento, la ventilazione e tutti gli altri impianti in maniera intelligente. La gestione efficiente dell’edificio a 360 gradi porta a un maggior comfort e a un miglioramento della qualità della vita per le persone che utilizzano gli ambienti. 

Green Deal: aziende sostenibili

La transizione verso una società sostenibile richiederà lo sforzo di tutti i stakeholder. Un ruolo di primo piano lo hanno le imprese, che possono essere promotrici attive del cambiamento, invece di limitarsi a subirlo.

Nel contesto manifatturiero italiano, non mancano gli esempi di imprese sostenibili dove il concetto di profitto lascia il posto ad una nuova accezione di valore. Aziende che valorizzano i propri dipendenti, offrendo orari flessibili e/o ridotti, curandosi del loro benessere e condividendo con loro il successo aziendale.

Imprese che investono nel proprio territorio, con progetti a favore dell’ambiente e della comunità che li ha accolti e delle comunità più bisognose. Realtà impegnate nella riduzione e nel riciclo delle risorse necessarie alla produzione, oltre che nell’efficientamento dei processi produttivi.

Trasporti, decarbonizzazione del settore per promuovere la sostenibilità ambientale

Il settore dei trasporti contribuisce al PIL europeo per il 5%, fornendo lavoro al 10% della popolazione. Allo stesso tempo, è responsabile di circa il 25% delle emissioni di gas serra dell’Unione europea.

In questo ambito, l’Europa punta a ridurre la dipendenza del settore dai combustibili fossili, promuovere forme di mobilità alternativa e adeguare i prezzi all’impatto ambientale.

Nel primo ambito, l’Ue intende immettere sul mercato 30 milioni di auto e 80 mila camion a emissioni zero. Inoltre, l’Ue ha stabilito che entro il 2030 gli spostamenti collettivi organizzati sotto i 500 km dovranno essere ad emissioni zero e che entro il 2035 saranno immessi sul mercato i primi aerei ad emissioni zero.

All’interno della strategia per la decarbonizzazione del settore, l’idrogeno (fonte di energia più pulita e affidabile rispetto ai combustibili fossili) giocherà un ruolo fondamentale. L’Italia ha elaborato una sua strategia nazionale per la produzione di idrogeno con lo scopo di trasformare il Paese nell’hub di riferimento del Mediterraneo.

Un modo più sostenibile di muovere persone e merci

Anche il trasporto delle merci, che incide pesantemente sul totale delle emissioni di Co2 del settore, dovrà cambiare.

Entro il 2050, infatti, l’Unione intende raddoppiare il trasporto merci su rotaia, mentre quello per vie navigabili interne e trasporto marittimo a corto raggio aumenterà del 25% entro il 2030.

Stessa “sorte” per il trasporto passeggeri, con l’obiettivo di duplicare il trasporto ferroviario ad alta velocità entro il 2030.

Infine, l’internalizzazione dei costi esterni dei trasporti – da realizzare massimo entro il 2050 – garantirà che il costo ricadrà sui consumatori effettivi e non più su tutti i membri della società.

Promuovere la sostenibilità ambientale attraverso una mobilità condivisa e intelligente

Dato il peso che le città hanno sulla produzione di emissioni, cambiare il modo di muoversi e di vivere all’interno del loro territorio è fondamentale.

Negli ultimi anni anche le principali città italiane hanno visto moltiplicarsi i servizi di car e bike sharing.

Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale sulla Sharing Mobility, i servizi di car sharing hanno registrato dal 2015 al 2021 una crescitacostante.

Anche questo settore, tuttavia, è stato colpito dalla pandemia. Infatti, le restrizioni agli spostamenti e alle interazioni sociali nel 2020 fecero registrare il primo dato negativo dei servizi di car sharing (-22% rispetto al 2019).

Tuttavia, la domanda di monopattini elettrici dopo la pandemia è aumentata, contribuendo così  ad una variazione positiva in termini di numero di servizi e veicoli in flotta mai registrata fino a questo momento.

Dati dell'Osservatorio Nazionale Sharing Mobility

L’impegno europeo per la creazione di città a impatto zero

Entro il 2030, inoltre, ogni città di medie e grandi dimensioni all’interno dell’Unione europea dovrà implementare il proprio piano di mobilità sostenibile.

Anche le città giocano un ruolo di primo piano nella produzione delle emissioni e, di conseguenza, nella lotta alla loro riduzione. Secondo le stime della Commissione europea, infatti, entro il 2050 il 70% della popolazione dell’Ue vivrà nei territori urbani.

Una percentuale che si stima salirà all’85% entro il 2050. A fronte di questo, le città sono attualmente responsabili  del 70% delle emissioni di gas serra prodotte a livello mondiale.

Ecco perché una delle Missioni dell’Ue –  parte integrante del programma Horizon Europe 2021 – è dedicata proprio alle città. Ricordiamo che le Missioni dell’Ue sono programmi d’azione che affrontano temi trasversali a vantaggio di tutti i cittadini come, ad esempio, la lotta contro il cancro.

La Missione riguardante le città punta a creare, entro il 2030, 100 città a impatto zero.

Il modello 15-minutes city, un nuovo modo di vivere la città

Trasformare le città in un’ottica green richiederà anche un cambiamento nella progettazione urbana, per diminuire il bisogno dei cittadini di spostarsi.

Questo è l’obiettivo del modello 15-minutes cities, o “città da 15 minuti”. Si tratta di un modello di sviluppo urbanistico in cui tutti i servizi di cui il cittadino ha bisogno sono alla distanza massima di 15 minuti a piedi o in bici.

In questo modo i quartieri si trasformano in cellule complete di vita urbana, dove il cittadino ha a disposizione tutto quello di cui ha bisogno: servizi, intrattenimento, lavoro e molto altro.

Un modello che permette di valorizzare il territorio in un’ottica di sostenibilità ambientale e sociale, permettendo la creazione di nuovi legami all’interno del tessuto cittadino.

I primi esperimenti di 15-minutes cities sono presenti anche in Italia, a Milano, Napoli, Roma e Venezia, dove sono stati avviati progetti di riqualificazione di alcuni quartieri.

Un’industria più resiliente e sostenibile

La pandemia ha sottolineato la fragilità delle catene di approvvigionamento, nonché la loro interconnessione. La strategia europea industriale punta dunque a proteggere e rafforzare il mercato unico e ad affrontare il problema delle dipendenze in alcuni settori strategici.

Per delineare le dimensioni del problema, la Commissione ha realizzato la prima analisi dettagliata sulle dipendenze nei settori strategici. La relazione individua 137 prodotti in ecosistemi sensibili per i quali l’Ue dipende fortemente da fonti estere (soprattutto Cina, Vietnam e Brasile).

Tra questi troviamo materie prime (metalli e minerali), principi attivi farmaceutici, batterie al litio, semiconduttori, idrogeno, Cloud e Edge Computing.

Problemi che l’Ue intende risolvere attuare attraverso partenariati internazionali diversificati e alleanze industriali, con particolare attenzione a PMI e start-up innovative. Ne sono un esempio le alleanze per le tecnologie per i processori e semiconduttori e dell’alleanza per i dati industriali, l’Edge e il Cloud, a cui la Commissione sta lavorando.

Gli indicatori di sostenibilità ambientale

Nel 1990 l’Ocse pubblicò per la prima volta un set di indicatori di sostenibilità ambientale. Si tratta di strumenti essenziali per tracciare il progresso ambientale, sostenere la valutazione delle politiche e l’informazione del pubblico.

Da allora, anche grazie alla cooperazione con gli Stati membri, questi indicatori sono stati continuamente aggiornati e rivisti. Gli indicatori si dividono in:

  • Core Environmental Indicators (CEI), gli indicatori ambientali di riferimento. Questi sono progettati per aiutare a tracciare il progresso ambientale e i fattori che lo determinano, oltre che per analizzare le politiche ambientali. La loro finalità è quella di monitorare i dati sull’ambiente e i  progressi nella sostenibilità ambientale
  • Key Environmental Indicators (KEI), gli indicatori ambientali chiave. Questi sono selezionati dai CEI e servono a fornire indicatori chiave per le politiche ambientali e a informare il pubblico
  • Sectoral Environmental Indicators (SEI), gli indicatori ambientali settoriali. Ogni set si concentra su un settore specifico, con lo scopo di aiutare integrare le preoccupazioni ambientali nelle politiche settoriali
  • Indicators derived from environmental accounting, indicatori derivati dalla contabilità ambientale. Questi sono progettati per aiutare a integrare le preoccupazioni ambientali nelle politiche economiche e di gestione delle risorse
  • Decoupling Environmental Indicators (DEI), gli indicatori ambientali di disaccoppiamento. Questi misurano il livello di disaccoppiamento della pressione ambientale dalla crescita economica

Una banca dati non irrilevante. Come accennato, per aiutare la diffusione di consapevolezza sul tema tra la popolazione si fa riferimento in particolare agli indicatori ambientali chiave.

Questi sono: cambiamento climatico, qualità dell’aria, risorse di acqua dolce, rifiuti e materiali, risorse biologiche e biodiversità e risorse oceaniche. Ogni indicatore ambientale chiave contiene al suo interno altri indicatori, per fornire a governi e cittadini un quadro completo.

Ad esempio, per il cambiamento climatico sono elencati indicatori di: emissioni gas serra, emissioni di Co2 derivanti da fonti energetiche, utilizzo energetico, tasse rilevanti al cambiamento climatico, strumenti a supporto della decarbonizzazione, tassi di carbonio, innovazioni e sviluppo tecnologico e target di aiuto ufficiale allo sviluppo.

Indicatori OCSE di sostenibilità ambientale

L’Intelligenza Artificiale aiuterà l’ambiente

L’Intelligenza Artificiale (AI) può giocare un ruolo chiave nel raggiungere l’efficienza e la sostenibilità in numerosi ambiti. Il suo contributo è cruciale, ad esempio, nell’efficientamento delle risorse delle Smart City per aiutare a ridurre il consumo e lo spreco di energia.

Anche nell’industria gli algoritmi di Intelligenza Artificiale giocano un ruolo fondamentale nell’efficientamento dei processi e nella riduzione degli sprechi. Permettono, ad esempio, di abilitare la manutenzione predittiva dei macchinari, che consente di prevenire i guasti, allungando così la vita della macchina e riducendo sprechi di energia e di prodotti.

Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communication (rivista scientifica peer-reviewed) nel gennaio 2020 tratta proprio di questo argomento. Nell’ambito degli SDGs inerenti la sostenibilità ambientale, secondo il gruppo di studiosi l’AI potrebbe svolgere da fattore abilitante nel raggiungere il 93% degli obiettivi stabiliti dagli SDGs.

Tuttavia, Accanto a numerosi vantaggi persistono anche numerose sfide e rischi. Per affrontarli, sottolineano i ricercatori, è necessario uno sforzo normativo in un’ottica di comprensione e supervisione della tecnologia. “In caso contrario, potrebbero verificarsi lacune nella trasparenza, nella sicurezza e negli standard etici”, sottolineano.

Come l’Intelligenza Artificiale può aiutare a raggiungere la sostenibilità ambientale

Secondo lo studio pubblicato su Nature, la possibilità di poter utilizzare database interconnessi su larga scala potrebbe abilitare, attraverso l’AI, azioni congiunte volte a tutelare l’ambiente.

Nell’ambito della tutela del clima, ad esempio, l’AI consente di elaborare modelli predittivi in grado di individuare i possibili effetti dei cambiamenti climatici e di valutare l’efficacia delle politiche di contrasto.

Altro campo di applicazione individuato è nella tutela della salute degli ecosistemi, sia terrestri che marini. L’AI potrebbero aiutare, ad esempio, ad individuare rapidamente i fattori di contaminazione, come lo scarico o le perdite di agenti inquinanti.

In un case study realizzato dai ricercatori della facoltà di Scienze Forestali dell’Università di Istanbul (2016), inoltre, si sottolinea come l’AI può aiutare a tutelare la vegetazione.

Infatti, grazie alla possibilità di elaborare grandi quantità di immagini satellitari in poco tempo, l’AI potrebbe migliorare la classificazione dei tipi di vegetazioni presente. Questo consentirebbe di individuare la tendenza alla desertificazione in determinate aree geografiche e ad implementare politiche di intervento mirate.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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