L’Italia occupa una posizione geografica che, sulla carta, dovrebbe renderla una potenza logistica e commerciale naturale: ponte tra Europa, Africa e Asia. Eppure, come ha sottolineato Mario Pozza, Presidente di Assocamerestero, durante il Made in Italy Summit 2025 organizzato da Il Sole 24 Ore, “sfruttiamo pochissimo la nostra posizione al centro del Mediterraneo”.
Le potenzialità di connessione con il continente africano, con i mercati arabi e con l’Asia sono enormi, ma rimangono in gran parte latenti per mancanza di infrastrutture, politiche coordinate e strategie di lungo periodo.
Pozza insiste su un punto: l’Italia deve “potenziare le proprie reti istituzionali e associative per dare opportunità reali alle imprese”. Le Camere di Commercio italiane all’estero, spiega, rappresentano una leva diplomatica ancora sottoutilizzata. “Abbiamo appena aperto una Camera in Mozambico e un’altra nel Congo”, aggiunge, “ma bisogna mirare a settori specifici, costruendo presenze stabili dove possiamo offrire qualità, tempi brevi e assistenza post-vendita”.
La strategia non può essere solo commerciale: deve essere industriale. La qualità del Made in Italy, se accompagnata da presenza sul territorio e servizi, può generare relazioni economiche di lungo periodo e rafforzare l’influenza italiana in regioni dove altri, come Cina e Russia, hanno già costruito infrastrutture e catene di valore.
Indice degli argomenti
La nuova geoeconomia dell’Africa
Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano per il Polo Territoriale Cinese e ospite del Summit insieme a Pozza, vede nell’Africa “il più grande continente in termini di crescita potenziale”. Ma, avverte, “ogni giorno sentiamo parlare del Piano Mattei, eppure non vediamo imprese italiane che lo applicano”.
Mentre l’Italia discute, spiega Noci, “la Cina investe decine di miliardi in infrastrutture e logistica, costruendo una presenza economica permanente”.
L’analisi del docente è lucida: il ritardo italiano non è solo politico ma culturale. “Noi dichiariamo continuamente le intenzioni, gli altri agiscono.”
Questo atteggiamento rischia di trasformare un vantaggio geografico in una marginalità strategica. La posizione dell’Italia al centro del Mediterraneo, un tempo considerata un punto di forza, “diventerà un fattore secondario con l’apertura della rotta artica, che sostituirà quella mediterranea”.
La sfida, quindi, non è più quella di essere “la porta Sud dell’Europa”, ma di diventare “la piattaforma di connessione verso l’Africa”.
È una prospettiva che rovescia il paradigma: non guardare più al Mediterraneo come a un confine, ma come a un corridoio economico.
Il Piano Mattei tra diplomazia e industria
Il Piano Mattei per l’Africa, citato più volte nel dibattito, viene considerato dai relatori un banco di prova decisivo.
Per Pozza, rappresenta “un’occasione per unire le politiche industriali italiane con una visione estera strutturata”. Tuttavia, deve uscire dal perimetro della dichiarazione d’intenti: “non servono più annunci, ma progetti concreti e strumenti operativi per le imprese”.
L’approccio suggerito è quello della diplomazia economica: creare ponti di valore tra Italia e Africa attraverso la cooperazione tecnologica, la formazione e le infrastrutture produttive.
Giovanni Bozzetti, presidente di Fiera Milano, riprende questa idea: “di fronte ai muri commerciali, dobbiamo rispondere con la costruzione di ponti di valore”.
Il Made in Italy, spiega, “non deve competere sul prezzo ma sulla qualità, sulla creatività e sull’innovazione”.
In questo senso, il Piano Mattei può diventare un modello di partnership industriale più che di aiuto allo sviluppo, capace di generare occupazione, investimenti e scambio tecnologico. Ma per funzionare, deve essere guidato da una logica di reciprocità e non di assistenza.
Un continente giovane e in espansione
Le dinamiche demografiche rafforzano questa urgenza. Secondo le stime citate nel panel, “entro il 2050 un abitante su quattro della Terra sarà africano”.
Questa crescita rappresenta una delle più grandi trasformazioni economiche dei prossimi decenni: un aumento esponenziale della forza lavoro, dei consumi e della domanda di infrastrutture, energia e beni di largo consumo.
Per l’Italia, il rischio è quello di rimanere spettatrice di un’espansione che potrebbe valorizzare proprio le sue eccellenze.
Dalla meccanica alla moda, dall’agroalimentare alle tecnologie ambientali, i settori in cui il Made in Italy può costruire partnership industriali in Africa coincidono con quelli più richiesti nei piani di sviluppo del continente.
Pozza lo riassume con una formula efficace: “Se andiamo in ordine sparso, non portiamo a casa nulla. Se andiamo insieme, vinciamo tutti.”
Una lezione che vale per l’internazionalizzazione in generale, ma che nel contesto africano diventa decisiva.
Superare i limiti della frammentazione
La frammentazione resta uno dei principali ostacoli alla crescita internazionale delle imprese italiane.
Noci ricorda che “la cultura della microimpresa, se non si apre all’aggregazione, non potrà mai competere con i grandi gruppi globali”.
Il problema non è la qualità dei prodotti, ma la scala. “In Cina, anche una sola catena distributiva ha bisogno di forniture per cinquemila punti vendita”, spiega. “Con la mozzarella del Beneventano, non si riesce nemmeno a coprire la produzione pilota.”
In Africa, il rischio è analogo: senza piattaforme produttive condivise, l’offerta italiana non sarà in grado di rispondere alla domanda crescente.
Le strategie di export Made in Italy, in questa prospettiva, devono passare da un modello individuale a uno consortile, dove imprese, banche e istituzioni lavorino insieme per garantire continuità operativa, servizi e credito.
Pozza conferma: “Per le PMI, affrontare da sole i nuovi mercati sarebbe un’avventura. Serve accompagnamento, conoscenza e una presenza solida nei territori.”
Diplomazia economica e capitale umano
Nel confronto con le nuove potenze economiche, il capitale umano resta un vantaggio competitivo dell’Italia.
Bozzetti sottolinea che “vivendo circondati dalla bellezza artistica e culturale, abbiamo un senso del bello e dell’eleganza che si riflette nei nostri manufatti”.
Questo patrimonio culturale deve tradursi in valore economico attraverso formazione, export e partnership.
Le fiere internazionali, aggiunge, possono svolgere un ruolo strategico. “Sono luoghi di incontro, di diplomazia economica, dove la domanda e l’offerta si confrontano.”
La promozione fieristica, se integrata con il Piano Mattei, può diventare una leva per attirare buyer africani e creare reti di relazioni industriali dirette.
L’obiettivo, ribadisce Pozza, è essere presenti: “In questi paesi vogliono assistenza, continuità e presenza. Non basta esportare un prodotto, bisogna costruire relazioni.”
Tra rotta artica e Mediterraneo: il tempo che stringe
Noci lancia un monito finale: “Il tempo è scaduto per giocare la carta del Mediterraneo”.
La competizione globale si sta spostando verso Nord, con la progressiva apertura della rotta artica che renderà meno centrale il traffico marittimo nel Mare Nostrum.
Per l’Italia, la via d’uscita non è nostalgia del passato ma visione del futuro: “La prospicienza verso l’Africa è l’unica strategia di lungo periodo. Il resto del mondo si muove, noi non possiamo più limitarci a osservare.”
L’immagine scelta da Noci è storica: la Serenissima Repubblica di Venezia, un tempo al centro del commercio mondiale, declinò quando cambiò la geografia dei traffici.
Il rischio, spiega, è di ripetere lo stesso errore: “Restare fermi a guardare mentre gli assi si spostano altrove.”
Un banco di prova per il futuro del Made in Italy
Il Piano Mattei può rappresentare il passaggio da una politica estera economica di annunci a una strategia di presenza reale.
Se sarà attuato con coerenza, potrà collegare diplomazia, impresa e innovazione, offrendo all’Italia la possibilità di tornare protagonista nel nuovo equilibrio globale. Ma, come ricordano i relatori, le opportunità esistono solo per chi decide di coglierle.











