La coperta è corta: da un lato c’è il desiderio condiviso della politica e delle imprese di un incentivo che sia di ampia portata (come platea e come stimolo fiscale), aggiornato e duraturo; dall’altro ci sono sempre solo 4 miliardi di euro. Ed è proprio in queste ore che si decide il futuro – e l’attrattività reale – del piano Transizione 4.0 / Transizione 50 2026, basato sul meccanismo dell’iper ammortamento, che entro una settimana dovrà essere licenziato dal Senato.
Indice degli argomenti
A che punto siamo ora
Ma facciamo un passo indietro per chi non sia informatissimo sulle ultime novità. L’articolo 94 del disegno di Legge di Bilancio, attualmente all’esame della Commissione Bilancio al Senato, introduce un nuovo incentivo fiscale per gli investimenti delle imprese, basato sulla maggiorazione delle quote di ammortamento (un “iperammortamento” rivisto) per gli investimenti in beni materiali e immateriali 4.0 e nelle fonti di energia rinnovabile. Ed è prevista una premialità ulteriore per quei beni che migliorano l’efficienza energetica, oltre che per alcune tipologie di beni.
Attualmente l’inventivo riguarda gli investimenti effettuati nel 2026, con possibilità di completamento nel 2027 se entro fine 2026 verrà versato un acconto minimo del 20%.
Per quanto riguarda i beni incentivati, si fa riferimento ai beni “4.0” già elencati negli allegati A e B delle precedenti norme, oltre che alle fonti rinnovabili “stand alone”, purché rispettino determinati requisiti di efficienza intrinseca e, per alcuni profili, di localizzazione nella UE.
Le questioni sul tavolo della Politica
La presentazione del disegno di legge di bilancio ha sollevato alcune perplessità. In primo luogo il sistema della maggiorazione degli ammortamenti si applica a una platea di imprese significativamente inferiore rispetto a quelle che possono godere dei crediti d’imposta. Questo perché il sistema funziona attraverso una super deduzione degli utili, il che significa che le aziende che non producono utili (non solo quelle sane, ma anche per esempio le start-up) sono escluse dai vantaggi di questo incentivo. Sono anche escluse le aziende che determinano il reddito in maniera diversa, per esempio le aziende agricole e quelle che operano con il sistema forfettario.
La seconda perplessità riguarda invece la durata dello strumento. Come abbiamo accennato la misura ha una durata di un anno, il 2026, con una coda nei primi sei mesi del 2027 per la consegna. Su questo punto sia il Ministro dell’Economia Giorgetti sia il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Urso si sono impegnati a prolungare la durata dell’incentivo per renderlo pluriennale.
Una terza questione riguarda l’elenco delle merceologie ammissibili agli investimenti agevolati. Gli allegati A e B risalgono sostanzialmente al 2016, anno in cui fu predisposta la normativa del piano Industria 4.0 e sono stati aggiornati solo in piccola parte nei primissimi anni di operatività del piano. Nel frattempo la tecnologia ha avuto un’enorme evoluzione: di qui la richiesta da parte degli industriali di rivedere significativamente i beni inclusi nei due allegati.
Un’ultima questione riguarda invece la richiesta da parte degli industriali di offrire una maggiore tutela ai beni prodotti nell’Unione Europea. Si tratta dell’ormai nota questione relativa al fatto che questi incentivi premiano il consumo di tecnologie. Consumo che spesso finisce per rivolgersi all’offerta proveniente dall’estremo oriente, più competitiva grazie, in alcuni casi, a pratiche di commercio sleale e ai sussidi provenienti dai governi che permettono loro di operare in regime di dumping.
A queste istanze il governo si è impegnato a rispondere con un emendamento che andrà a modificare l’attuale testo del disegno di legge di bilancio.
Dalle promesse al realismo
Le prime indiscrezioni vedevano in pista le seguenti modifiche: allungamento del piano su orizzonte triennale; revisione e ampliamento significativo dei beni inclusi negli allegati A e B; eliminazione della necessità di predisporre un decreto interministeriale per l’entrata in vigore del piano nel 2026, in modo da rendere il piano immediatamente operativo già dal 1 gennaio 2026; eliminazione della certificazione “preventiva” del risparmio energetico per i progetti che puntano alle aliquote più alte grazie al conseguimento di un risparmio energetico pari al 3% dei consumi della struttura produttiva o al 5% dei consumi del processo interessato. Il risparmio andrà dimostrato solo nella certificazione ex post di chiusura.
Queste “nobili idee” si sono però andate a scontrare sul muro della disponibilità economica. Il Ministero dell’Economia e la Ragioneria Generale dello Stano hanno a più riprese ricordato che qualsiasi modifica alla legge di bilancio dovrà essere apportata a saldi invariati, il che significa che non si potranno prevedere ampiamenti delle misure che comportino maggiori uscite.
Va da sé che la maggior parte delle modifiche che abbiamo appena visto comportano sicuramente un aggravio della spesa.
E così si attende una versione decisamente meno ambiziosa di questo emendamento governativo. Ma che cosa prevederà?
Ci sarà la pluriennalità del piano, perché è una promessa fatta dai più alti vertici della politica. Le promesse di un piano triennale sanno però rispettate solo formalmente: il piano dovrebbe infatti avere una durata biennale con sei o nove mesi di coda nel 2028. In questo modo il governo potrà vantare di essere riuscito a portare l’incentivo su tre anni solari, ma di fatto l’estensione sarà soltanto di un anno rispetto a quanto previsto dall’attuale testo dell’articolo 94.
Ci sarà l’allargamento degli allegati, ma con ogni probabilità riguarderà un numero di beni, soprattutto software, inferiore rispetto a quello delle prime idee. Tanto per fare nomi e cognomi a quanto pare non ci saranno più i sistemi gestionali tout court (ERP, CRM ecc.).
Potrebbe infine anche arrivare un elemento di favore alle produzioni Made in Europe. Il che potrebbe avvenire attraverso diversi meccanismi, da una restrizione pura della platea dei beni incentivati a forme di maggiore incentivazione riservate a beni che siano appunto prodotti in Europa.
Ma il vero modo riguarda le aliquote. A quanto pare il governo starebbe pensando di eliminare le maggiorazioni attualmente previste per gli investimenti in grado di generare un risparmio di consumi energetici. Si tratterebbe di un colpo di spugna clamoroso, visto che proprio la maggiorazione del 40% dedicata a questi beni è l’elemento che permette a questo piano di sostituire sia il piano Transizione 4.0 sia quello 5.0.
Una possibile alternativa potrebbe essere invece una riduzione orizzontale di tutte le aliquote, mantenendo però una maggiorazione per gli investimenti 5.0.
L’emendamento è atteso in Commissione Bilancio al più tardi domenica sera. Tra lunedì e martedì, infatti, la Commissione dovrà ultimare l’esame del provvedimento per passarlo al vaglio dell’aula. Il disegno di legge così modificato dovrà poi passare alla Camera dei Deputati e poi alla firma del Presidente della Repubblica e alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il tutto entro la scadenza tassativa del 31 dicembre. I tempi insomma sono molto stretti e non c’è più tempo per ulteriori riflessioni o modifiche in corso d’opera.












