Agenda Digitale, l’Italia deve accelerare e spendere meglio

La trasformazione digitale del Paese è in forte ritardo rispetto agli altri membri dell’Unione Europea. C’è stato un cambio di passo rispetto al passato, ma molto resta da fare

Pubblicato il 13 Dic 2018

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La trasformazione digitale del Paese è un’impresa titanica, qualcosa è stato fatto e si sta facendo, ma il lavoro da realizzare per la cosiddetta Agenda Digitale è ancora grande. Come il divario da colmare nei confronti degli altri Paesi europei.

In particolare, bisogna migliorare la capacità di spesa delle risorse economiche già disponibili: l’Europa ha messo a disposizione 1,65 miliardi di euro l’anno per l’attuazione dell’Agenda Digitale italiana (complessivamente 11,5 miliardi di euro dal 2014 al 2020), ma a fine del 2017 abbiamo speso meno del 3% dei fondi strutturali a disposizione e vincolato alla spesa solo il 10%.

Diverse urgenze su cui intervenire

È inoltre necessario accelerare l’attuazione normativa: solo 45 dei 93 provvedimenti attuativi previsti dalla normativa sull’attuazione dell’Agenda Digitale sono stati recepiti (7 entro le scadenze previste). Ne sono stati abrogati 13, ma se ne potrebbero abrogare altri 5 il cui contenuto è ormai obsoleto.

Il Piano Triennale, la strategia di digitalizzazione della P.A. italiana, mostra invece un buon livello di attuazione: a un anno dal rilascio, ha raggiunto 45 dei 108 risultati prefissati. È quanto emerge dalle analisi dell’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano.

Secondo gli ultimi dati del Digital Economy and Society Index (Desi), l’Indice dell’Unione europea con cui sono misurati i progressi degli Stati membri, l’Italia è quartultima (25esima su 28) per risultati raggiunti nell’attuazione della propria Agenda Digitale. Lontana da Paesi come Regno Unito, Spagna, Germania e Francia. Ha perso posizioni in connettività (26esimo posto), capitale umano (25esimo) e digitalizzazione delle imprese (20esimo). Mentre conserva il penultimo posto nell’area dell’uso di Internet, e il 19esimo in quella dei servizi pubblici digitali.

Ma è velleitario pensare di migliorare in poco tempo la nostra posizione nel Digital Economy and Society Index. Anni di miopia sul fronte del digitale non possono essere corretti in poco tempo, soprattutto se si pensa che gli altri Paesi non stanno fermi a guardare il nostro recupero ma investono parecchio, e in molti casi più di noi.

Proseguire, accelerare

Nel 2018 si è insediato il nuovo direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale (Agid), Teresa Alvaro, è finito il mandato di Diego Piacentini come Commissario straordinario per l’attuazione del programma, gli è succeduto Luca Attias, e si è insediato un nuovo Governo. A fronte di queste discontinuità, è importante dare continuità ai progetti intrapresi per evitare che questo sia un nuovo “Anno zero” dell’innovazione digitale.

Analizzando gli sforzi fatti, l’Italia è allineata al resto d’Europa nelle infrastrutture: la banda larga fissa di base ha raggiunto il 99% delle abitazioni, mentre rimaniamo indietro sulla copertura a oltre 100 Mbps, il 3G avanzato copre il 99,4% del nostro Paese, il 4G l’89%.

Siamo allineati al resto d’Europa anche per la digitalizzazione della PA. Migliorano in particolare i servizi pubblici digitali offerti, con un forte avanzamento sul fronte degli Open data. Infine, siamo simili agli altri Paesi europei anche per gli sforzi fatti nel rendere le nostre imprese più digitali, grazie soprattutto ai piani Industria 4.0 e Impresa 4.0.

Italiani ancora poco digitali

Risultano invece insufficienti le azioni per rendere più digitali i cittadini italiani: siamo terzultimi in Europa per capacità di gestire File e informazioni digitali (solo il 58% degli italiani lo sa fare contro il 74% degli europei), e fatichiamo a produrre contenuti digitali (solo il 48% degli italiani sa creare o modificare contenuti digitali contro il 59% degli europei).

I risultati ottenuti in tutti questi ambiti sono parecchio sotto la media europea, con la sola eccezione della digitalizzazione delle imprese. Nella digitalizzazione dei cittadini, in particolare, solo il 68% degli italiani usa Internet tutti i giorni contro il 70% della media europea; solo il 13% degli italiani ha cercato lavoro tramite Internet contro il 17% della media europea; solo il 23% degli italiani ha usato servizi di Storage online contro il 30% della media europea.

Lo Switch-off dei servizi pubblici

Nel 2018, solo il 12% dei 163 Comuni esaminati, sempre secondo i dati dell’Osservatorio Agenda Digitale, ha effettuato lo Switch-off di almeno un servizio, cioè ha smesso di erogarlo in modalità tradizionale ripensandone la gestione esclusivamente attraverso canali digitali. Un ulteriore 21% ha in cantiere progetti di Switch-off per il 2019. Oltre il 65% dei Comuni, invece, non ha ancora fatto e non intende attivare iniziative di Switch-off a breve.

“Si tratta di un dato qualitativo ma comunque significativo di un cambio di approccio da parte dei Comuni italiani, che stanno cominciando a superare la logica dei servizi online quale mero adempimento”, rileva Giuliano Noci, responsabile scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale. Che sottolinea: “d’altra parte, i grandi benefici economici conseguibili dalla digitalizzazione dimostrano quali possano essere i ritorni tangibili per gli enti pubblici”.

L’Osservatorio del Politecnico milanese ha stimato i risparmi relativi alla digitalizzazione di tre servizi di pagamento, grazie all’adozione di pagoPA. Si tratta di 89 milioni l’anno per il servizio mensa, 157 milioni per la Tari, e 82 milioni per le multe. Complessivamente, risparmi potenziali per 328 milioni di euro l’anno solo su questi tre servizi di pagamento, anche se ad oggi appena il 23% di questi risparmi è stato conseguito.

Le principali motivazioni identificate dai Comuni per realizzare lo Switch-off sono la volontà di migliorare l’erogazione dei servizi e l’interesse politico, mentre le difficoltà maggiori riguardano la scarsità di risorse economiche e la necessità di trovare meccanismi e modalità per superare la mancanza di competenze digitali da parte dei cittadini.

Il mercato digitale della PA

Il mercato digitale della PA italiana vale 5,5 miliardi di euro e rappresenta solo l’8% del mercato digitale italiano. La spesa pro-capite in tecnologie digitali è pari a 85 euro a cittadino, quasi quattro volte meno del Regno Unito (323 euro a cittadino), due volte e mezzo meno della Germania (207) e due volte meno della Francia (186).

Meno di 15 mila degli oltre 100 mila fornitori italiani di soluzioni digitali lavorano con la PA. Oltre a essere di modeste dimensioni, sia economiche che per numero di fornitori attivi, il mercato delle soluzioni digitali offerte alla PA italiana è concentrato nelle mani di pochi attori: 13 fornitori coprono il fabbisogno informatico del 75% dei Comuni. I primi tre per numero di software offerti arrivano al 52%. I prezzi sono tendenzialmente molto bassi e si registra una forte variabilità.

Ma che tipo di acquisti digitali compiono le PA? Nel 2017 oltre la metà del valore degli acquisti digitali era relativo a servizi ICT e software On premise. I fornitori di queste soluzioni sono quelli con cui si registrano le maggiori criticità, anche se il 75% delle PA non ne misura mai le performance, e le procedure con cui collaborare meglio con i privati sono usate ancora pochissimo.

Nonostante l’assenza di una valutazione strutturata, la PA si dichiara mediamente poco soddisfatta: il 53% degli enti è insoddisfatto dei fornitori digitali nel suggerire nuove soluzioni, e il 54% giudica ancora insufficiente la capacità delle imprese di collaborare nel definire e attuare idee innovative.

Fatturazione elettronica e Open data

La Fatturazione elettronica verso la PA (FatturaPA) è ormai un progetto consolidato, con oltre 100 milioni di fatture elettroniche gestite dal Sistema di Interscambio (erano 600 mila a marzo 2015, quando il passaggio è stato reso obbligatorio, e 80 milioni a fine 2017). Solo il 2% di queste è scartato perché non conforme agli standard. La prossima sfida da cogliere riguarda l’obbligo di fatturazione elettronica tra soggetti privati, obbligatoria a partire da gennaio 2019.

Gli Open data pubblicati su www.dati.gov.it sono oltre 22 mila (erano 18 mila a fine 2017; dovranno essere almeno 25 mila entro il 2020). Il portale importa automaticamente nel proprio catalogo i Dataset in formato aperto resi disponibili dalle singole PA che aderiscono all’iniziativa (solo 400 PA finora). Oltre il 70% dei dati è prodotto a livello regionale o comunale.

È poi ancora in fase di sperimentazione il Data and Analytics Framework (Daf), con cui ottimizzare e promuovere i processi di analisi di dati pubblici.

I numeri in gioco, in sostanza, riflettono un sistema che sembra aver “cambiato passo” rispetto a due anni fa, e che finalmente si muove, con tutti i suoi limiti, verso un nuovo scenario in cui le tecnologie digitali cominciano a trasformare in modo irreversibile i processi con cui è creato valore in ambito pubblico e privato.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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